martedì 1 luglio 2025

Le cornacchie di Paestum


Nei suoi appunti di viaggio nel sud della Campania Albert Camus una volta giunto a Paestum nota la presenza dei corvi tra i templi, registra "il volo nero dei corvi". Il particolare salta all'occhio e forma un amaro sottofondo acustico che accompagna la contemplazione del tramonto in quei luoghi. Ad esso allude Enzio Cetrangolo quando scrive:

Stormi nutriti d'alte solitudini
vaganti idoli neri della polvere (I miti del Tirreno, Mondadori, 1958, Paestum)

Parecchi anni prima di Camus e Cetrangolo, nel 1934, era stato da quelle parti Giuseppe Ungaretti. Aveva scritto per la Gazzetta del Popolo una serie di articoli poi raccolti in volume: Il deserto e dopo (Mondadori 1961) e, in una versione ridotta, Viaggio nel Mezzogiorno (Guida, 1995). E qui le cornacchie acquistano tutta la loro importanza, addirittura arrivano a dominare la scena:

 “Circondandoli [parla dei templi, ovviamente] di febbre, seminando per tante miglia all’ingiro la paura, il tempo ha difeso per noi dalla morte il miracolo della loro forza. Che vediamo crescere, dominare, farsi arida, tremenda, disumana, e farsi pura idea via via che ci avviciniamo. Ora che siamo vicini, avviene che uno stormo di cornacchie si mette in fuga dal tempio di Poseidone; e appena in aria, una prima cornacchia lancia il suo gracchio; le altre rispondono rifacendo più e più volte quel verso. Di nuovo il corifeo strazia l’aria: questa volta i gracchi erano due, di tono nettamente più acuto; e il coro ripete i versacci accelerando il ritmo. Dopo, esse, in una confusione di strilli, spariscono… Sarà per averci fatto il nido da tante mai generazioni, sarà caso, sarà natura di questi uccelli atri, ma la metrica del loro canto è quella del tempio. […] Ed allora girandogli intorno, l’uomo raggiunge l’ultimo limite dell’idea del suo nulla, al cospetto d’un’arte che colla sua giusta misura lo schiaccia”.

L'immagine dei corvi o cornacchie tra i templi di Paestum al tramonto possiede una forza evocativa  di grande fascino: richiama la decadenza del sacro, la persistenza della natura su ciò che resta di una antica presenza umana e una poetica del sublime e del rovinoso. Non è difficile allora produrre una descrizione tipica dell'effetto causato dal clamore delle cornacchie in quel momento particolare. Ungaretti istituisce una sorta di armonia tra il richiamo della natura e la forma svettante delle colonne. Manca nel suo testo la carezza della luce che si insinua tra le sagome dorate dei monumenti. Il travertino butterato assume la tinta dell’ambra e acquista una evidenza viva che non ha durante le ore del giorno. Nell’aria increspata dal chiarore rossastro del sole che si abbassa, le cornacchie — ali nere, nervose — solcano lo spazio tra le architravi nude e l’erba selvatica. Il loro gracchiare squarcia la quiete e risuona tra gli alberi intorno, eco di un tempo che si prende gioco della nostra vanità più frivola, ridendo delle nostre illusioni e dei nostri rimpianti. Eppure, in quel volo frenetico e ostinato, c’è la forza di chi rifiuta di cedere alla polvere: un frammento di presenza, un residuo di sacro che si aggrappa ai resti dell’antico splendore, come un filo di memoria teso tra il mondo degli uomini e l’eterno mistero del tempo.

https://www.doppiozero.com/giacomo-ceccarelli-il-volo-delle-cornacchie

 

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