mercoledì 2 luglio 2025

L'ombra di Ettore

Virgilio
Eneide

II, 268-297

Traduzione di Giuseppe Albini

Era l'ora che il primo sonno scende agli affranti mortali e, divin dono, soave si diffonde. Ecco, mi parve mestissimo vedere Ettore in sogno con grande pianto, qual già strascinato fu da la biga e nero di cruenta polvere e per gli enfiati piè trapunto da le redini. Ahimè qual era! quanto cangiato da quell'Ettore che torna de le spoglie d'Achille rivestito, o messo il frigio fuoco a' legni achei! Fosca la barba, il crin grumi di sangue, con le tante ferite che d'intorno a' muri de la patria ebbe per lei. E mi parve che primo io lo chiamassi piangendo e mesto prorompessi: - O luce de la Dardania, o la piú salda speme de' Teucri, quale ti trattenne indugio sí lungo? da che terra, sospirato Ettore, vieni? Oh come, dopo molte morti de' tuoi e dopo il vario affanno de la città, te lassi rivediamo! Qual malvagia cagione ha guasto il tuo volto sereno? e che ferite vedo? - Ei nulla, e al vano chieder mio non bada; ma con un grido e un gemito profondo - Ah! fuggi, figlio de la Dea, mi dice, e scampa a queste fiamme. È tra le mura il nemico; precipita dal sommo l'alta Troia. Fu fatto per la patria e per Priamo assai. Se si potesse or Pergamo difendere col braccio, era difesa già dal braccio mio. Troia ti affida le sue sacre cose e i suoi Penati: prendili compagni de' fati e cerca lor novelle mura che grandi, corso il mare, al fin porrai -.

Traduzione di Enzio Cetrangolo

Tempo era che il primo sonno comincia ai mortali
infelici e sui corpi stanchi dono celeste
dolcemente serpeggia.
In sogno ecco al mio sguardo Ettore apparve
in largo pianto effuso, imbrattato di sangue
e di polvere il viso come quando
fu trascinato per terra dai cavalli
e aveva i piedi gonfi, legati con le briglie
dietro le ruote della biga:
ruvido nella barba, il sangue raggrumato
tra i capelli, il corpo tutto pieno di piaghe,
quelle che lo avevano ucciso
sotto le mura della patria.
Oh quanto diverso da quell'Ettore che arduo
tornava vestito delle spoglie di Achille,
rosso ancora del fuoco gettato sulle navi
curve dei Greci.
E mi pareva che anch'io piangessi
e lo chiamassi con voce di dolore:
"O luce dei Dàrdani, tu baluardo
della nostra speranza, dove sei stato finora
immemore? Da quali lontananze ritorni,
desiderato? Dopo tanta morte dei tuoi,
dopo tante fatiche umane, stanchi noi ti guardiamo.
Chi ha turbato il tuo viso sereno?
Perché tutte queste ferite che vedo?".
E nulla rispondeva. Solo un grave sospiro
mise fuori dal petto:
poi quel sospiro si fece un gemito: "Fuggi,
tògliti alle fiamme, o nato di madre celeste.
Il nemico è dentro le mura, dalle somme vette
la città rovina. abbastanza fu dato
alla patria e a Priamo. E se la patria ancora
si potesse difendere, certo io 
con questo mio braccio lo farei. Ecco:
ti affido i Penati di Troia e queste cose
sacre; prendile compagne al destino
cerca per loro altre mura:
più grandi le farai di là dal mare".

COMMENTO

Questo canto, tanto commovente quanto famoso, è tratto dal libro II dell'Eneide ed è conosciuto come l’episodio de L’OMBRA DI ETTORE. Questi versi rappresentano, forse, il canto più alto, più toccante, più coinvolgente di tutto il poema insieme a quello de LA MORTE DI DIDONE nel libro IV e a pochi altri che non è il caso di menzionare qui, dilungandosi troppo. Esso piacque e divenne famoso quasi fin da subito. Perché? E’ un canto triste, malinconico, e l’episodio specifico è di una tragicità che fa tremare le ossa, sembra sconvolgere e a volte produrre un senso di angoscia infinito. Eppure in questo canto vi è tutto il pathos della concezione latina della vita e della morte, forse dell’intero pensare e agire del mondo mediterraneo al tempo della Grecia classica e di Roma imperiale.
Enea si trova alla corte di Didone regina di Cartagine, naufrago ed errante, ospite forse temporaneo forse duraturo. Per sdebitarsi dell’ospitalità concessa dalla regina, egli racconta la presa di Troia da parte dei greci; la fine dell’antica e nobile stirpe di Priamo; come riuscì a fuggire dalla città in fiamme e il suo errare alla ricerca di una nuova patria in terre lontane. Ettore era stato l’eroe per eccellenza della città di Troia, colui che era ritornato trionfante con le armi di Achille sottratte all’amico di lui Patroclo ucciso in duello, ma che era stato ucciso, a sua volta, da un Achille furibondo, per essere poi straziato nel corpo, appeso per i piedi alla biga del vincitore e trascinato, quale macabro spettacolo, sotto le mura della città. E’ precisamente in questa veste che appare in sogno ad Enea: lacero, sanguinante, desolato. Non nella gloria ma nella sconfitta. Per esortarlo a lasciare la città ormai perduta e a portare con sé quello che essa ha di più sacro: i Penati, gli dei del focolare; le sacre bende che cingevano l’effigie della dea Vesta e il fuoco a lei sacro. Quasi una trasmissione di testimone rispetto a un mondo e a una civiltà ormai perduti, ma che il Destino vuole rinascano, un giorno lontano e in terre lontane, nella potenza e nella grandezza di Roma dominatrice del mondo. Questo è forse l’intento più nascosto e più sentito di Virgilio: celebrare, per mezzo del Canto, la potenza raggiunta da Roma; dare alla civiltà romana che ha conquistato il mondo allora conosciuto un giusto riconoscimento e l’immortalità attraverso la Poesia. Eppure sembra anche voler dire che tanta conquista e tanta fama sono state possibili con le battaglie più cruente e le guerre più logoranti; spargimenti di sangue; sacrifici immani e la disciplina guerriera più dura. Ettore è solo un’ombra, in sogno; un Ettore vinto e pietoso, ed Enea, altro eroe troiano forse secondo solo allo stesso Ettore, in quel momento, nel suo sonno agitato non è da meno. Il pianto accomuna i due eroi troiani ormai perduti. Il dolore sembra animarli, renderli vivi e ancora capaci di lottare affinché Troia non scompaia per sempre dalla memoria degli uomini; la sofferenza dell’anima e del cuore infonde loro una speranza quasi impossibile e assurda in mezzo alla morte e alla distruzione. Allora Ettore non è più un’ombra che viene dall’Oltretomba ma si trasforma in essere ancora vivo, forse mai morto. Nell’immediata percezione di Enea,  egli costituisce una presenza viva, agisce come una persona in carne ed ossa, parla come qualcuno che ha sofferto e umanamente soffre per le ferite e per le umiliazioni subite, ma che ancora manifesta il desiderio di salvare il salvabile, incarnando sempre l’eroe prediletto sul quale Troia sapeva di poter contare per la propria salvezza o la propria sopravvivenza.
L’episodio dell’ apparizione di Ettore ad Enea è stato definito da Chateaubriand “un compendio dell’arte di Virgilio” perché il poeta latino ha saputo conciliare “l’ora in cui gli uomini nel primo sonno assaporano la quiete così necessaria alle loro membra stanche” con quella fase del sonno in cui, lentamente, i sogni affiorano e prendono forma, restituendo a noi tutti l’immagine amata di persone care ormai scomparse i quali vengono a noi per esortarci, consigliarci e farci capire che non hanno smesso di seguirci dalla dimensione ultraterrena e misteriosa dove la morte li ha portati. Napoleone Bonaparte vedeva, nell’ ombra di Ettore che appare in sogno ad Enea in questo canto dell’Eneide, il destino dei popoli; la fugacità delle conquiste; l’effimero dispiegarsi della gloria e della potenza che passando lasciano posto ad una strana vicinanza, nuda e ultima, fra uomini soltanto affranti, colpiti e rinnovati dall’esperienza forte e intensa del dolore. Nel 2000, il regista inglese Ridley Scott ha girato il film Il gladiatore, con l’attore neozelandese Russell Crowe come protagonista maschile. Forse uno dei rari prodotti cinematografici in grado di descrivere con pertinenza il mondo romano fatto di conquiste sanguinose al prezzo di sacrifici enormi; di una civiltà cruenta che poggia sulla schiavitù e la sopraffazione dell’uomo; sui combattimenti fra gladiatori quali spettacoli gratuiti nelle arene sparse per l'impero, e nonostante ciò portatore, per chiunque sappia coglierla, di quella pietas latina e tutta mediterranea “trasmessa”, quale eredità preziosa, in sogno da Ettore ad Enea e “portata” da quest’ultimo veramente ai confini dello spazio e del tempo.

https://www.poesiaeletteratura.it/wordpress/2012/10/lombra-che-esorta-alla-vita-publio-virgilio-marone/


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