Gian Enrico Rusconi
Papa Francesco, la solitudine del rivoluzionario
Bergoglio e i cambiamenti nella Chiesa, bestseller al Salone. Ma un libro di Marco Politi: quale sarà l’approdo?
La Stampa, 8 maggio 2014
Si sente una nuova sottile amarezza nelle espressioni pubbliche di papa
Francesco alla fine del suo «primo anno di grazia». I temi della
«tenerezza» e della «misericordia» lasciano il posto all’accorata
denuncia della ricerca della vanità, del potere, del denaro.
Particolarmente dure ed esplicite sono le critiche agli uomini di Chiesa
che non sono all’altezza della loro missione.
Nell’enfasi pubblica
che accoglie sistematicamente ogni parola o raccomandazione del
Pontefice, si percepisce la delusione che alle parole non seguono gli
attesi pronti mutamenti concreti nella realtà ecclesiale e sociale.
Bergoglio è troppo intelligente per non capire che la continua
evocazione della sua «rivoluzione» a fronte dell’immobilismo della
comunità ecclesiale e civile, cui è rivolta, rischia di logorarsi come
mero annuncio mediatico.
«Si sentono applausi scroscianti da tutte
le parti e al contempo si avverte una grande inerzia nelle strutture
ecclesiastiche», scrive Marco Politi nel suo libro Francesco tra i lupi.
Il segreto di una rivoluzione (Laterza, 2014), uno studio che è tra i
più informati e attenti al fenomeno Bergoglio.
L’interesse del
lavoro sta anche nel modo in cui è costruita la narrazione e la
documentazione. Testimonia – forse senza volerlo – l’evoluzione di
giudizio degli osservatori simpatetici verso il Papa. Si trovano davanti
ad una personalità che si rivela assai più complessa e difficile da
capire, dotata di qualità e limiti che contrastano sia le entusiastiche
valutazioni iniziali che le irritate stroncature.
Del libro di
Politi vorrei qui mettere in evidenza soltanto alcuni passaggi, che
portano a quesiti cruciali aperti. Dopo una acuta analisi del
predecessore Ratzinger e della dinamica interna del Conclave («Il colpo
di stato di Benedetto XVI», «I segreti del conclave anti-italiano»)
sorge il dubbio se tutti i cardinali elettori conoscessero davvero il
nuovo eletto Bergoglio. A questo proposito sono preziose le pagine del
libro dedicate alla sua biografia, le vicende pregresse di Superiore
generale dei gesuiti, il difficilissimo periodo della dittatura
argentina e l’esperienza di arcivescovo di Buenos Aires. Viene fuori una
personalità di pastore tutt’altro che politicamente disarmato, ma abile
nel muoversi in una società complessa, civile e clericale. «A Buenos
Aires negli ambienti cattolici e no, il giudizio sulle qualità di
Bergoglio come dirigente è unanime. E’ un uomo di comando, dicono». Ma
non meno straordinaria è l’autocritica che Bergoglio fa
retrospettivamente proprio su questo punto, ripromettendosi di avere un
atteggiamento di paziente attenzione verso tutti.
Il Papa che viene
dalla «fine del mondo» non è uno sprovveduto né per esperienza, né per
cultura, né per dottrina. Ma probabilmente ha sottovalutato la
resistenza ( dei suoi stessi grandi elettori) a innovare davvero gli
atteggiamenti pastorali, riaprendo anche implicitamente una riflessione
dottrinale. Ma su questo punto sembra solo. Non a caso gli si rimprovera
una certa leggerezza dottrinale nella controversa problematica della
«pastorale della famiglia». Su questo si arriverà presto ad un
confrontoscontro sulla questione (apparentemente marginale)
dell’eucarestia per i credenti divorziati e risposati.
Credo che
Papa Bergoglio sia consapevole che la posta in gioco non sia soltanto
pastorale ma dottrinale . Ma è un modo concreto di affrontare il tema
del «peccato» , che è stato toccato soltanto genericamente in uno dei
dialoghi «laici» dell’inizio del suo pontificato che tanto hanno
contribuito a creare la sua immagine pubblica. Non è stata semplicemente
la sua personalità umana ma i suoi strappi verbali e una implicita
ermeneutica dottrinale innovativa a sdrammatizzare il contrasto tra
credente e non credente, spiazzando anche molti laici nostrani. «Al Papa
argentino è del tutto estranea l’idea che l’essere atei provochi
sofferenza e porti alla decadenza dell’umano» – ricorda Politi. Ma mi
chiedo quali conseguenze pratiche avrà questo atteggiamento sul
contenzioso sempre aperto nel nostro paese sui diritti civili e
personali che sinora ha dovuto fare i conti con la barriera dei «valori
non negoziabili»?
Il giudizio di Politi sembra sospeso come su altre
questioni. Parlando del «programma della rivoluzione» lo sintetizza
così: riformare la Curia rendendola più snella ed efficiente, fare
pulizia nella banca vaticana e promuovere la collegialità, instaurando
consultazioni frequenti tra il Pontefice, il collegio cardinalizio
(istituito, con esplicito compito di sostegno al Pontefice) e le
conferenze episcopali. Notoriamente sono iniziative di cui si parla in
continuazione e di cui si vedono soltanto i primi passi. Ma il bilancio
del primo anno di pontificato vede crescere le difficoltà. «Benchè abbia
un programma, Francesco in realtà ignora l’approdo a cui perverrà»,
scrive Politi.
In realtà la carta vincente non sarà la persona del
Papa, per quanto straordinaria essa sia, ma l’attivazione di una
effettiva collegialità dei vescovi. Ma è una prospettiva che al momento è
remota.
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