Fabio Gambaro
Democrazia il paradosso dell'antipolitica
la Repubblica, 15 dicembre 2008
«La democrazia non è solamente il voto nell'urna. Nella complessità
del mondo contemporaneo, la vita democratica si decentra, dando vita a
una varietà di azioni e istituzioni al di là del solo suffragio
universale». È questa la conclusione cui è giunto Pierre Rosanvallon,
lo studioso francese che insegna al Collège de France ed oggi
considerato uno dei più influenti intellettuali d' Oltralpe. Lo spiega
in un volume appena pubblicato in Francia, La légimité démocratique
(Seuil, pagg. 380, 21 euro), che fa seguito a un altro corposo saggio
intitolato La politica nell' era della sfiducia, in procinto di essere
pubblicato in Italia da Città Aperta, aggiungendosi così ai precedenti
Il popolo introvabile (Il Mulino) e Il Politico, storia di un concetto
(Rubettino).
«Il disincanto democratico è oggi un'evidenza. I
cittadini votano meno che in passato e soprattutto in modo diverso»,
spiega Rosanvallon, che ha anche creato la République des idées, un
importante spazio di riflessione, dotato di un sito web e di una
collana di libri. «Oggi il voto non è più un momento d'identificazione con un gruppo sociale, un territorio o un partito
politico. Il voto ha cambiato natura. In passato era la manifestazione
di un'identità sociale, oggi esprime un'opinione individuale. Questa
trasformazione è accompagnata da una crescente disaffezione nei
confronti dei partiti politici e dalla crisi dello stato inteso come
amministrazione dell' interesse comune».
Il disincanto democratico
favorisce il disinteresse per la cosa pubblica?
«Non credo, dato che i
cittadini manifestano la loro implicazione nella vita collettiva in
altro modo. Tra un'elezione e l'altra, la vitalità democratica prende
altre forme, che nel volume La politica nell' era della sfiducia ho
designato con il termine "controdemocrazia", un termine forte e
volutamente ambiguo».
Di che si tratta?
«La "controdemocrazia" è
costituita dall'insieme delle attività che non mirano ad associare il
cittadino all' esercizio del potere, ma a organizzare il suo controllo
su chi governa. E' impossibile che tutti partecipino direttamente alle
decisioni politiche, ma tutti possono esprimere opinioni critiche e
partecipare alla vigilanza civica nei confronti del potere.
Naturalmente queste attività possono essere molteplici, a cominciare da
quelle di sorveglianza, notazione e convalida delle procedure
democratiche. Si tratta di modalità più o meno formalmente costituite, i
cui attori possono essere le associazioni, la stampa o anche i singoli
cittadini su internet».
Lei parla anche di sovranità negativa...
«È
quella che i cittadini manifestano rifiutando alcune scelte
governative. I primi teorici della democrazia pensavano che la
democrazia si fondasse essenzialmente sul consenso silenzioso dei
cittadini, oggi invece ci rendiamo conto che nell' attività
democratica, accanto al consenso, svolge un ruolo essenziale il
dissenso. Già Montesquieu sottolineava la dissimmetria tra facoltà d'
impedire e facoltà d'agire, in democrazia. E' infatti molto più
facile misurare i risultati ottenuti sul versante del disaccordo che su
quello della proposta costruttiva. Se si riesce a bloccare una
decisione del potere, i risultati si vedono subito, mentre per
promuovere una legge spesso occorrono anni prima di vedere i
risultati».
Quali sono le altre forme della controdemocrazia?
«Un'altra componente importante è l'esercizio che mira a mettere sotto
accusa il potere. Il modello del processo, fuoriuscendo dall'ambito
giudiziario, si è diffuso in tutta la società. L'atteggiamento
accusatorio una volta era al centro del ruolo dell' opposizione
parlamentare, col tempo però si è disseminato in tutta società,
diventando un patrimonio collettivo».
Opponendosi al palazzo, la
società civile sceglie a volte forme che alimentano l'antipolitica.
Non è un rischio?
«Effettivamente è un rischio oggi assai diffuso. Le
attività che chiamo controdemocratiche hanno sempre un carattere
ambiguo. Se da un lato, infatti, queste possono essere utili a
rafforzare la democrazia, stimolandola positivamente; dall' altro,
possono anche indebolirla, alimentando l' antipolitica. La
controdemocrazia positiva sottomette il potere a prove che lo
costringano a realizzare meglio la sua missione al servizio della
società. La vigilanza e la critica creano infatti vincoli virtuosi. La
controdemocrazia negativa invece scava un solco sempre più profondo tra
il potere e la società, allargando la distanza tra i cittadini e i
politici. Il paradosso dell' antipolitica è che rende il potere sempre
più distante e quindi intoccabile. La sua critica radicale non produce
un'appropriazione sociale, ma una situazione in cui i cittadini sono
sempre più espropriati dei procedimenti democratici. Nasce da qui quel
populismo "dal basso", le cui forme sono diverse dal populismo
tradizionale del XIX secolo».
Questa ambivalenza della controdemocrazia
è una novità dei nostri giorni?
«No, la sua ambiguità era già
evidente durante la rivoluzione francese. A quei tempi, il grande
teorico della sorveglianza del potere è Condorcet, per il quale chi
governa deve essere giudicato di continuo. Per lui, non esiste un
potere buono in sé solo perché è stato eletto democraticamente. La
democrazia esiste solo nell' interazione continua tra le istituzioni
che governano e le procedure che ne regolano e ne controllano le
attività. Accanto a Condorcet, però, agisce Marat, l' amico del popolo,
il quale denigra di continuo la politica, trasformando coloro che
governano in un' incarnazione del male da cui la società non potrà mai
aspettarsi nulla di buono».
In Italia, il populismo tradizionale e
quello nato dalla controdemocrazia sembrano oggi coesistere... «Quando
queste due forme di populismo si sovrappongono, si rischia d' innescare
un pericoloso meccanismo di disgregazione del tessuto democratico. La
democrazia dovrebbe essere un movimento di appropriazione sociale
delle decisioni collettive, il populismo però espropria sempre il
popolo di tali decisioni. Spesso chi critica i partiti ritiene che la
società civile possa essere autosufficiente, ma è un' illusione pensare
che la democrazia possa ridursi alla sola società civile. La
democrazia è sempre un faccia a faccia tra governo e società, tra
decisioni e consenso».
Nel suo nuovo libro, La légitimité démocratique,
lei sostiene che il suffragio universale non basta più a legittimare
la democrazia. Quali sono le altre forme di legittimazione democratica?
«In passato - in un contesto sociale, economico e ideologico più
stabile - era più facile immaginare la continuità tra il voto e le
politiche che avrebbero fatto seguito. Oggi le elezioni sono diventate
un semplice processo di nomina che anticipa sempre meno le scelte a
venire. Una volta si votava per un progetto, oggi per un uomo. Di
conseguenza, il suffragio universale procura una legittimità solo
strumentale, che è certo molto importante - perché alla fine la verità
aritmetica è quella che decide - ma non più autosufficiente. E' una
legittimità che deve quindi continuamente essere messa alla prova e
trovare l' appoggio di altre forme di legittimità».
In che modo?
«Un
processo di legittimazione del potere è quello prodotto dall'
imparzialità garantita dalle autorità indipendenti che vigilano per
evitare che alcuni si approprino delle istituzioni in maniera
partigiana. C' è poi la legittimazione derivata dalle corti
costituzionali che garantiscono l' uguaglianza dei diritti e proteggono
la democrazia dal capriccio dell' istante. Infine, c' è una forma di
legittimazione che nasce dalla vicinanza di chi governa ai cittadini, i
quali chiedono al governo di rispettare la società e di ascoltarne le
sofferenze. Se in passato le democrazie hanno posto l' accento
soprattutto sulle istituzioni, oggi si torna a valorizzare i
comportamenti. Abbiamo bisogno di una democrazia dei comportamenti. E
questo è un segno della trasformazione e dell' allargamento della
concezione della democrazia».
Le diverse figure e istituzioni della
realtà democratica sono date una volta per sempre? «No, la democrazia
non è mai data una volta per sempre. Essa deve essere di continuo
sottoposta a un processo di appropriazione, grazie alle attività della
società civile, alle istituzioni e all' interazione permanente tra
potere e società. Bisogna appropriarsi di continuo della democrazia.
Tocqueville pensava che la democrazia semplificasse sempre di più la
vita politica, in realtà avviene il contrario. Lo sviluppo della
democrazia rende la vita politica sempre più complessa. Ma questa è la
condizione per impedire che un qualche interesse particolare la
confischi a suo vantaggio».
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