Emilio Gentile
a proposito di Christopher Duggan, Il popolo del Duce. Storia emotiva dell'Italia fascista, Laterza, Roma-Bari, pagg. 550, € 24,00
Se fosse stato pubblicato negli anni Settanta un libro sulla «storia
emotiva dell'Italia fascista» sarebbe stato certamente attaccato dalla
storiografia antifascista militante come uno dei peggiori prodotti del
revisionismo della cosiddetta "scuola defeliciana", cioè la scuola
allevata da Renzo De Felice, accusato di proporre una «storiografia
anti-antifascista» , il cui subdolo scopo era riabilitare il fascismo,
sostenendo che il regime ebbe un consenso popolare. Infatti, questa è la
tesi sostenuta nel suo libro, pubblicato due anni fa in Inghilterra,
dallo storico inglese Christopher Duggan, già autore di una notevole
biografia di Francesco Crispi. Duggan stesso ricorda che negli anni
Settanta, in Italia, qualunque cosa «fosse suscettibile di suggerire che
il fascismo aveva goduto un sostegno genuino era inaccettabile», e cita
lo scalpore allora suscitato da De Felice per aver affermato che nel
1936 esisteva un consenso generale al regime, anche se la sua
asserzione, precisa Duggan, era basata «non tanto su un'analisi di ciò
che gli italiani comuni pensavano, quanto sull'assenza di qualunque
visibile o esplicita opposizione».
Quasi quaranta anni dopo, lo
storico inglese sembra esser venuto in soccorso dello storico italiano,
confermando l'esistenza di un «consenso generale al regime», attraverso
la storia dei sentimenti degli «italiani comuni» verso il duce e il
regime, basata su alcune decine di diari di gente comune, conservati
nell'Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, su alcune
lettere inviate dal duce dalla gente comune, oltre che su diari e
memorie edite di fascisti e antifascisti. Sulla base di questa
documentazione, in verità non molto ampia, Duggan si è convinto che il
fascismo godette di un largo consenso alimentato principalmente dal mito
del duce. A tale consenso emotivo, Duggan attribuisce addirittura «una
dimensione religiosa», suscitata da riti e dai miti del regime, che
secondo lo storico inglese non può essere ignorata se si vuol
comprendere «il modo in cui la gente comune si rapportava al regime».
Pur evitando con accurata cautela di avvalersi del concetto di
«religione politica», Duggan ne utilizza la funzione interpretativa,
fino ad affermare che insistendo sulla «superiorità morale e politica
della fede e dell'obbedienza sulla razionalità e sullo spirito critico,
il regime fu in grado di mobilitare il consenso di vastissimi settori
della popolazione italiana fino allora rimasti estranei alla vita
pubblica».
Nel complesso, con la sua «storia intima» dell'Italia
mussoliniana, lo storico inglese non aggiunge nulla di nuovo a quanto è
già stato ampiamente esplorato dalla storiografia sul fascismo negli
ultimi decenni per quanto riguarda l'atteggiamento dell'opinione
pubblica verso il regime, il ruolo del "culto del littorio" e del mito
del duce nella politica di massa del partito fascista, gli ondeggiamenti
dei sentimenti collettivi nei confronti della condotta del regime in
politica interna e in politica estera.
Del resto, il ricorso ai
diari della gente comune, con la pretesa di ricostruire una verità
storica «dal basso» ritenuta più genuina di una verità storica
ricostruita «dall'alto», si presta a sostanziali obiezioni, che
investono l'intera questione del consenso in un regime totalitario.
Basti considerare che quando il fascismo giunse al potere, gli italiani
erano 38 milioni nel 1922, aumentati a 45 milioni nel 1942, e di questi,
uomini e donne, oltre 23 milioni erano iscritti al partito fascista e
alle organizzazioni da esso dipendenti. Quale valore rappresentativo per
una «storia intima» di quaranta milioni di italiani possono avere una
settantina di diari e una trentina di lettere di gente comune, quanti
sono i documenti citati nel libro di Duggan? La stessa considerazione
varrebbe per una «storia intima» che giungesse a dimostrare, con
documentazione analoga, l'esistenza di un largo dissenso emotivo della
gente comune nel regime fascista.
L'impossibilità di sondare i
sentimenti intimi di milioni di italiani, uomini, donne, bambini,
giovani, vecchi, qualunque sia la fonte utilizzata, è un ostacolo
insormontabile per qualsiasi storico che voglia trattare il problema del
consenso nel regime fascista o in qualsiasi altro regime totalitario.
Qualunque fosse l'atteggiamento dei capi dei regimi totalitari rispetto
al consenso della popolazione su cui dominano, è un fatto storico
indubitabile che nessuno di loro ha mai fondato il suo potere sul
consenso della gente comune, comunque motivato, sollecitato, fabbricato e
organizzato, ma solo e sempre sul monopolio politico del partito unico,
sulla forza armata, sulla prevenzione ed espressione poliziesca, e
sulla irreggimentazione della popolazione, fossero o no consenzienti.
Dopo
quaranta anni di polemiche, e dopo la lettura del libro di Duggan,
appare confermata la perplessità da noi espressa fin dagli anni Ottanta
sulla questione del consenso, che consideravamo allora, e consideriamo
tuttora come Francesco De Sanctis considerava la questione di
Machiavelli «una questione posta male».
Il Duce, che emozione!
Lo storico inglese Christopher Duggan
documenta il consenso tributato al dittatore e al regime da parte degli
italiani attraverso l'esame dei diari della gente comune
Il Sole 24 ore, 4 maggio 2014
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