Paolo Natale
Ebbene sì, i sondaggi sbagliano: ecco perché
Una parte importante di elettori è equidistante e decide solo all’ultimo
Europa, 27 maggio 2014
Insomma, che dire? Ogni anno i risultati elettorali ci mostrano un
panorama delle scelte dei cittadini completamente inaspettato, rispetto
alle previsioni di voto. Merito certo dei sondaggi, che faticano sempre
di più a catturare gli umori della popolazione, e ci forniscono la
possibilità di stupirci delle scelte degli elettori, di accostarci alle
nottate di voto con rinnovato interesse, non come una mera ratifica di
quanto già si conosceva.
La sorpresa diventa dunque la cifra stilistica dei programmi
elettorali. Anzi: le sorprese. Perché solitamente gli exit-poll
differiscono un poco dalle rilevazioni demoscopiche che, ufficialmente,
sono ferme a due settimane prima del voto; le proiezioni poi, quando
sono ben fatte (come nel caso di domenica scorsa), ci danno un quadro
ancora più diversificato, smentendo tutti i pronostici e gli stessi
exit-poll che le precedono. Dunque, meno male che ci sono i sondaggi,
che ci permettono di tener viva la nostra attenzione, senza dare nulla
per scontato…
Scherzi a parte, anche quest’anno le rilevazioni demoscopiche ci
hanno fornito stime largamente errate. Alcune, come quelle che su Europa
ho argomentato nei giorni precedenti il voto, di direzione corretta (la
certa vittoria del Pd) benché con scarti sicuramente meno significativi
tra i due maggiori contendenti; altre totalmente insensate, con ipotesi
di pareggio che sono risultate peregrine, alimentate dagli esperti del
blog, che profetizzano addirittura una netta vittoria di Grillo e una
débacle del Pd.
Tralasciando queste ultime informazioni prive di senso, è però giusto
e onesto soffermarci sui sondaggi più seri, che pur fornendo una
gerarchia tra le forze politiche che alla fine è stata quella corretta,
non riescono nel contempo a stabilire i giusti margini dei distacchi tra
i partiti. O meglio: le stime per tutti gli “altri” partiti risultano
alla fine abbastanza in linea con ciò che poi accade realmente; ma fanno
eccezione, in questa come nella consultazione dello scorso anno, le
previsioni che riguardano le due maggiori forze politiche del nostro
paese: Pd e M5S, appunto.
Cosa accade, dunque? Come vedremo meglio nelle analisi dei flussi
elettorali che presenterò domani su questo giornale, esiste ormai in
Italia un elettorato, stimabile attorno al 10 per cento dei votanti, che
si pone in maniera equidistante nella scelta per uno dei due principali
partiti (o movimenti). Questi elettori decidono di volta in volta, e
generalmente nelle due settimane prima del voto, se privilegiare l’uno o
l’altro, determinando infine la vittoria di uno dei due contendenti e
la (parziale) sconfitta dell’altro.
Nelle ultime politiche ha scelto il M5S, in questa occasione ha al
contrario votato in massa per il Pd di Renzi, determinando il suo
indubbio trionfo.
Le motivazioni che portano alla scelta finale non sono peraltro
particolarmente oscure. Si tratta di cittadini che aspettano, quasi con
ansia, un vero cambiamento nella politica italiana, un forte anelito
affinché i modi e i contenuti di quella politica cambino radicalmente.
L’anno scorso hanno trovato maggiormente in Grillo una sponda su cui
fare leva, perché potesse scardinare le logiche sedimentate della casta;
oggi si affidano per questo compito a Matteo Renzi, che pare incarnare
in maniera corretta questo bisogno di cambiamento, all’interno però di
un quadro di (parziale) continuità istituzionale. Difficile prevederne
le scelte, benché non impossibile, anche perché spesso legate a
comportamenti e messaggi che vengono veicolati proprio durante la
campagna elettorale.
Certo, inutile nasconderselo, c’è anche una componente tecnica negli
errori delle stime previsionali. Gli algoritmi che si adottano per
ponderare i risultati cercano di correggere gli elementi di distorsione
presenti in ogni sondaggio, e forse troppo spesso questi vanno a
peggiorare le stime, invece che migliorarle. Lo scorso anno il Pd era
stato decisamente sovrastimato e oggi, memori di quell’errore, molti
analisti hanno stimato al ribasso le dichiarazioni degli intervistati
che, in realtà, davano un responso “grezzo” molto simile a quanto poi
accaduto. Tutte cose che ovviamente si conoscono dopo, e non prima dei
risultati reali. Sento già le obiezioni di molti lettori: perché si
fanno pagare? Perché non cambiano lavoro? Qualche giorno in miniera è
quello che si meritano.
Ma è giusto anche sottolineare che la ricchezza, poco sfruttata, che
si desume dalle ricerche demoscopiche non si limita alla sola previsione
del comportamento di voto. Questo è invece quello che chiedono i
giornali, i media più in generale, i politici stessi. Se non esce un
numero, un vaticinio, sono tutti scontenti. Salvo poi prendersela quando
la profezia non si avvera. È la sondaggite, bellezza, una malattia da
cui non si guarisce…
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