Angelo d’Orsi
Lo
smarrimento pre-elettorale di un cittadino
Micromega online, 21 maggio 2014
Mai
come questa volta, avvicinandosi la scadenza del voto, mi sento
smarrito. Non mi riconosco in nessuna formazione in campo, e mentre da
alcune sono ovviamente lontanissimo, agli antipodi, ad altre, quelle sul
piano ideologico a me più vagamente affini, almeno sotto qualche
punto, sono esitante a dare sostegno, come da molte parti mi viene
richiesto da settimane: firma, adesione, partecipazione a pubbliche
assemblee.
In verità, mi pare che la “post-democrazia” stia facendo il suo corso, e abbia contaminato anche le forze che si richiamano ai valori e princìpi della sinistra. A cominciare dalla Lista Tsipras, così detta per brevità, che, nelle sue modalità ha realizzato il medesimo vilipendio della democrazia che giustamente i suoi promotori e credo tutti gli aderenti rimproverano agli attuali potenti d’Italia (e non solo): come si può fare la battaglia contro le liste bloccate quando si concede a un pugno di individui, per quanto rispettabili e degni di essere ascoltati, di decidere chi sarà candidato? Si tratta di una posizione per me inconcepibile; e che sia stata richiesta, da parte dei promotori, per evitare di finire negli squallidi mercanteggiamenti che precedettero la formazione delle liste Ingroia (e che infatti produssero infiniti scambi di accuse, dopo la disfatta), non appare una motivazione valida: come si dice nel mondo anglosassone: due cose sbagliate, non fanno una cosa giusta. E l’immissione di candidati discutibili, anche sul piano dell’etica pubblica, da un canto, l’esclusione pregiudiziale di una intera forza politica, per quanto piccola, ma combattiva come il PCd’I, mi sono apparse prove che quandoquidem dormitat Homerus; ossia, che i “saggi” (e la saggia!), possono errare. Ma, a prescindere da chi è stato inserito e chi escluso, la questione è di metodo: e la democrazia, se vogliamo davvero proteggerla, ammesso siamo ancora in tempo, va salvaguardata innanzi tutto nelle procedure. E qui proprio non ci siamo.
Eppure, al suo sorgere, ho firmato l’Appello per la Lista, anche se già il vedere nelle sue bandiere il nome del leader greco, mi infastidiva; la personalizzazione della lista, era, di nuovo, un dato poco in linea con le idee di chi vuole opporsi alla “deriva” personalistica, neoleaderistica, populistica del sistema. Ma, si sa, la politica è (anche) l’arte del possibile. E ci si accontenta. E dunque mentre confermo che voterò la Lista “L’altra Europa con Tsipras”, mantengo tutte le riserve di metodo e di merito. Anche sul programma, che mi pare molto esitante, e qua e là succube di un “europeismo” di maniera, ossia poco rappresentativo di quella Europa “altra” che si vorrebbe costruire; specie sulla politica estera, una posizione più netta sarebbe stata apprezzabile, in particolare sull’Ucraina, davanti a fatti di assoluta evidenza, con un colpo di Stato organizzato dai servizi statunitensi, e realizzato da mercenari e da bande nazistoidi, non si può esitare a schierarsi in modo chiaro, tanto più che quello che là sta accadendo si inserisce in una strategia mondiale che riguarda diverse altre realtà sgradite alla iperpotenza americana.
La voterò, comunque, la lista. Non so se raggiungerà il 4%, e me lo auguro, per vedere nel Parlamento d’Europa qualche volto diverso e sentire qualche voce nuova, persone capaci di esprimere un dissenso netto, anche se sarà sempre minoritario, rispetto alle sciagurate politiche degli uni (PPE) e degli altri (PSE), tra i quali del resto le differenze non appaiono rilevanti. Certo sarebbero e saranno volti nuovi anche quelli degli eletti (e saranno tanti) del M5S, ma non sono volti (perlopiù) che mi piacciono, anche se tanti militanti sono ottime persone che hanno fatto battaglie giuste che ho condiviso, talora lottando al loro fianco. Ma non mi piace il loro fanatismo, non mi piace la loro fede nel capo, non mi piace l’ignoranza di troppi e la volgarità di tutti, specie quando si aggiungono all’intolleranza e quando si esprimono nel turpiloquio indecente, e soprattutto superfluo. O forse no: forse il turpiloquio, come l’urlo, come il gestaccio, come le battute a raffica, come i paragoni storici privi di fondamento ma eclatanti, sono tutte armi funzionali alla cattura della folla: non della massa, ma della folla, insieme di individui atomizzati, che, per disperazione o per noia, si sono disgustati e allontanati dai partiti, dalle convinzioni ideali, dallo stesso raziocinio dell’analisi e della scelta, e si sono affidati, nel senso più ampio, fideisticamente, appunto, al capo: il capo pensa, il capo sa, il capo decide, per loro. Per tutti. Per il Paese. Per l’Europa. Dopodomani per il mondo. E il capo, sia detto una volta per tutte, fa paura: il suo straparlare, il suo urlo scomposto, il suo gesticolare da forsennato, sono la forma dietro cui ci sono contenuti a volte condivisibili, ma nell’insieme, indigeribili: la politica estera, le politiche migratorie, la scuola, l’economia, sono terreni su cui il dissenso verso il signor Grillo e il signor Casaleggio, per quanto mi riguarda, è totale. E, malgrado le lodevoli battaglie in Parlamento contro gli stravolgimenti istituzionali, non posso accettare la pseudodemocrazia della Rete, di cui il Movimento è portatore, sulla base, sempre, degli orientamenti del capo e del suo ideologo: i quali, a ben vedere, interpretano bene i ruoli dello sbirro cattivo (“Beppe”) e di quello buono (“Gianroberto”). Finora il gioco ha funzionato: e alle Europee funzionerà perfettamente, al punto che è probabile che M5S ottenga il primato tra tutte le forze in campo in Italia. La fuga da Forza Italia, lo squagliamento della Lega Nord, l’inconsistenza del “Nuovo Centro Destra”, e, soprattutto, la incredibile involuzione del PD, sotto il comando destrutturante (D’Alema dixit) di Matteo Renzi, e, last but not least, l’inesistenza di uno schieramento di sinistra…: sono tutti fattori che predispongono la vittoria di Grillo e della sua armata. Anche se il fattore dominante è, naturalmente, il discredito assoluto della classe politica, e il susseguirsi di episodi di corruzione, una piccolissima quota di quella corruzione generalizzata e sistematica che è la vera, costante, e in continuo incremento, “autobiografia della nazione”: la sua prima identità. Nell’illusione, sincera o alimentata ad arte (è il caso, appunto) che la “società civile” sia migliore di quella politica: il che non è. Ma funziona nel messaggio propagandistico. E da questo punto di vista, nessuno potrebbe far meglio del guitto, con il suo ululante, ingiurioso, e spesso farneticante lessico del Bar Sport, con gli abbondanti richiami sessisti, machisti, razzisti, e con i tentativi di acchiappare la populace, un vasto sottoproletariato di andata o di ritorno, economico o politico, sociale o culturale: gli incapienti della politica, in breve.
Eppure non ho mai condiviso il giudizio liquidatorio di chi ha etichettato il fenomeno M5S come “antipolitica”: e ben a ragione i militanti reagiscono parlando di politica autentica, dal basso, di ritorno all’agorà. Peccato poi che la pratica sia ben diversa, e Grillo, come Berlusconi, come Renzi siano altrettante espressioni di un vero e proprio “superamento”, poco virtuoso, della democrazia, e di un ripiegare verso ideali autocratici, di tipo bonapartistico. Anche la recentissima performance televisiva del leader nel salottino di Bruno Vespa – dove non sapevi decidere chi fosse più irritante tra i due – nel tentativo di acchiappare i voti in libera uscita da Forza Italia, all’insegna dunque di una forma nell’insieme accettabile anche per quella che un tempo si chiamava “maggioranza silenziosa”, ossia di ceti medio e piccolo-borghesi, perbenisti, “tranquilli”, ha mostrato dietro il chiacchiericcio sempre sopra le righe che proprio come Berlusconi Grillo vende sogni. Anzi, si può parlare, almeno dopo la prestazione televisiva, di un Grillo berlusconizzato. E accusa Renzi di esser un venditore di pentole. Tutti, con le dentiere promesse dall’ex cav, gli 80 euro messi in busta paga con altisonanti promesse del loro durare “per sempre”, con la salvezza d’Italia assicurata da Grillo, fanno conto di parlare a una massa di sottosviluppati mentali, incapaci di decrittare i messaggi, di scuotersi dalla pigrizia, di provare a capire e ragionare con la testa invece che con la pancia a cui tali messaggi si rivolgono. Tutti, in vero, sono succubi di Berlusconi: questa campagna elettorale, e tutto il pregresso, dall’autunno 2011 in poi, dimostra che con l’uscita di scena (la sua riapparizione cadaverica conta poco, a dire il vero) dell’uomo, la sua cultura politica ha vinto: il berlusconismo è transitato nelle vene della politica italiana.
Era un’altra politica quella che volevamo, o almeno che con me tanti e tante hanno auspicato, a partire dalle mobilitazioni del 2011, e dai successi raggiunti. Ma dopo la vittoria referendaria, il trionfo dei sindaci al di fuori degli apparati, e, appunto, la cacciata di Berlusconi, siamo passati da una delusione all’altra, e la crescita di M5S, se da un lato testimonia la crescita dello scontento, dall’altro è la prova che il PCI è davvero morto con Enrico Berlinguer (e stiamo ricordando ora i 30 anni da quel tragico evento del giugno 1984), e che alla sua sinistra, fra errori clamorosi, personalismi, rivalità e beghe, quel poco che c’era, oggi è defunto. Abbiamo creduto che la maggioranza silenziosa fossimo “noi”, fosse quel vasto e variegato insieme sociale che aveva espresso la sua rabbia e la sua forza in quella stagione, e abbiamo creduto a una politica dal basso, fondata sulla trasparenza e sulla partecipazione, che abbandonasse la propaganda fondata sull’urlo e l’ingiuria, che mettesse da parte il leaderismo e il populismo, che imparasse a parlare un altro linguaggio, chiaro, pulito, capace di far riflettere e decidere in modo cosciente: che invece di vedere in ogni persona un voto, vedesse in essa un suggerimento da accogliere, una risorsa da “sfruttare”, una domanda cui dare risposta, una difficoltà cui venire incontro. Invece siamo nella trucida gora del populismo associato al leaderismo. Tutti i partiti vogliono rappresentare tutti i cittadini e tutte le classi. Tutti i leader vogliono rinegoziare i trattati europei, ma nessuno ci spiega che cosa significhi essere non “europeisti”, ma “europei”, oggi. Quanti, al di là delle sbracate contestazioni alla Le Pen, o da noi alla Salvini (potevamo immaginare di rimpiangere Bossi?!), nessuno, neppure a sinistra, dice, con la chiarezza necessaria, che questa Europa fa schifo: che l’eliminazione delle frontiere interne serve solo a creare un vasto Superstato liberista e poliziesco, militarizzato e che, alla facilitazione della circolazione interna, corrisponde l’elevazione di barriere, militari e finanziarie, invalicabili all’esterno: questa Europa è la “Fortress Europe” (si segua il bellissimo sito-blog di Gabriele Del Grande), all’insegna di una nuova, oscura espressione non più del military-industrial complex denunciato negli anni Sessanta-Settanta negli Usa, e neppure del complesso finanziario-militare, ma piuttosto di un cesarismo poliziesco, quello preconizzato da Antonio Gramsci , non più semplicemente militare, e che alla “cura” dei corpi (vedi Cucchi, Aldrovandi, eccetera; vedi Genova, Roma, Napoli, Torino; vedi la repressione selvaggia messa in atto da magistratura, esercito e forze di polizia in Val di Susa…) aggiunge e combina la “cura” delle anime, con i media, bugiardi al massimo grado (siamo davanti ad una autentica, costante “narrazione tossica”, come è stata definita), con un sistema scolastico, universitario e culturale che tenta di erodere le basi stesse del pensiero critico.
Esistono resistenze interne, per fortuna, che aggiunte a quelle esterne non hanno ancora ammazzato, non del tutto, la speranza. M5S avrebbe potuto forse almeno in parte dar voce alla disperazione e alla speranza, ma sta andando verso altre direzioni, e il “Vinciamonoi!”, proposto come un insopportabile refrain guerresco, fa paura, proprio allo stesso modo delle urla scomposte del capo. Così come fa paura che tutti gli adepti adottino le formule escogitate dal consumato attore, ultima “l’ebetino” con cui graziosamente ha etichettato Renzi. Il quale, ritengo, malgrado il tentativo di riprendersi le piazze, abbandonate nelle scorse elezioni a Grillo, uscirà penalizzato dalle urne, e mi auguro io pure che sparisca dalla scena, anche se la speranza che il PD si ravveda, e ricuperi una qualche briciola di dignità mi appare remotissima. Un capo faccio-e-decido-tutto-io, il partito in mano ai consulenti e ai lobbisti, i ministeri e le aziende pubbliche affidate ad amici e amiche, gli ordini di scuderia invece che le scelte consapevoli per i deputati e senatori, il badare ai propri interessi personali (a cominciare dai privilegi, per quanto minimi possano essere, delle cariche pubbliche), la perdita di rapporto con le classi che invece sono del tutto deprivilegiate, la rinuncia alla bussola teorica, anche di un onesto pensiero socialdemocratico… Tutto ciò mi mostra un partito irrecuperabile, a cui Matteo Renzi – il nuovo piccolo duce – ha dato un vigoroso colpo di grazia, dal quale il PD non vedo come possa risollevarsi.
Sicché ci tocca, per come la vedo io, aspettare che una nuova, temo lunga notte della Repubblica passi. E che al di là dei leader di cui faremmo volentieri a meno (Berlusconi, Renzi, Grillo; gli altri sono oggi ridotti a comparse), si possa riprendere il lavoro serio e lungo, insegnando e apprendendo la politica, intesa come scienza del potere per far bene vivere la comunità. Un potere che, appunto, non sia un fine in sé, ma un mezzo (Machiavelli insegna, in tal senso, il tanto citato e calunniato Machiavelli). E per ricostruire una Europa completamente rovesciata rispetto a quella in atto e in progetto. Una Europa della cultura, del welfare, della tolleranza e dell’accoglienza. Una Europa pronta a guardare al Mediterraneo, e a fare di questo non una frontiera e una tomba (oltre ventimila cadaveri giacciono sui suoi fondali, caduti nell’ultimo ventennio), ma un centro ideale e pratico di incontri, commerci, speranze. Non di sogni, abbiamo bisogno, né di una realtà frutto di scelte che ci vengono faziosamente presentate come obbligate (“ce lo chiede l’Europa”, “lo vogliono i mercati”…), scelte tutte nell’interesse dei pochi, di quei pochi, aggiungo, che già hanno molto o tutto. Contro l’interesse di quei tanti che hanno poco, o quasi nulla. Abbiamo invece bisogno di discutere di come costruire un futuro giusto. Dentro gli spazi continentali, o rompendo anche quelle barriere. La realtà non può essere quella che ci impongono i misteriosi “Mercati”, sotto minaccia di altrettanto oscure agenzie di rating, e ogni giorno ammoniti da “tecnici” prezzolati di università assoldate dai poteri forti. La realtà deve nascere dalla larga partecipazione, dalla discussione feconda, dal dibattito intellettuale: e, soprattutto, dalle battaglie per difendere le carte dei diritti – per gli italiani la Costituzione innanzi tutto –, il welfare, che ci stanno strappando a pezzi e bocconi, l’informazione libera, la giustizia autonoma, la cultura critica.
Ma di tutto ciò trovo scarsa o nessuna traccia nei discorsi elettorali. Vedo facce sorridenti sui manifesti, sono bombardato sulla Rete (Facebook è divenuto un intollerabile ricettacolo di messaggi promozionali), al telefono, nei giornali, alla radio, alla televisione. Votami, votalo, votateci, “daje”, “forza”, “vinciamonoi”…, che evoca il sinistro “Vincere. E vinceremo!”, mussoliniano. Difficile rimanere impassibili. Difficile non esplodere con un’ingiuria collettiva. Resisto, ma non biasimo chi non ce la fa.
La scelta invocata dai contendenti (“noi o loro”, il fastidioso mantra che ci stanno ripetendo un po’ tutti), vale anche per gli elettori: dove il “noi” sta per coloro che soffrono e subiscono, e “loro” sta per coloro che schiacciano e godono. Avvicinandosi il momento del voto, lo smarrimento non passa, e anzi si accresce, Forse la risposta migliore sarebbe boicottare queste elezioni, che si muovono all’interno di un cerchio magico che non mi piace. Ma per cultura ed educazione non posso rinunciare a compiere questo gesto, non foss’altro perché domani potrei rimproverare me stesso. Eppure, a chi mi chiede “cosa voto?”, non rispondo; dico che voterò, con dubbi e sapendo che bene che vada servirà a poco, la lista “Altra Europa con Tsipras”: sapendo, soprattutto, che la mia Europa, è davvero altra. Talmente altra, che forse dovremmo chiamarla diversamente, tanto sfregiato è oggi, dalle politiche comunitarie, il bel nome d’Europa, la fanciulla rapita da Zeus trasformatosi in toro, e trasportata nell’isola di Creta, di cui divenne regina. E forse dovremmo configurarla diversamente questa nuova entità, guardando, magari, a Sud, invece che a Est e a Nord. Al mare a cui l’origine stessa delle civiltà europee ci rinvia.
(21 maggio 2014)
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Gabriele Ascione
Commento uscito sempre su Micromega
Ho letto con piacere fino a metà articolo, poi mi sono chiesto perché perdere il mio tempo su questo lungo e inutile soliloquio. Molte cose trovo condivisibili, la critica alla lista tsipras, che mi pare definito uno schieramento contraddittorio e sostanzialmente impotente, asservito politicamente e culturalmente al PD. Corretta, anche se scontata, l'ennesima analisi dei fattori critici del M5S con i possibili pericoli di involuzione, ma poi l'autore, trascinato da un insopportabile intellettualismo radical chic, scopre che le masse popolari sono chiassose, contraddittorie nel mutare delle opinioni e degli umori, tutto sommato volgari e forse puzzano anche un poco ... E dall'alto della sua scienza aristocratica scopre che in fondo Grillo è come Berlusconi, Berlusconi come Renzi, tutti uguali, tutti imbonitori, chi li segue uno sciocco ingenuo. Forse alla fine sarà così, quanti provano a cambiare in meglio le cose saranno delusi ancora una volta, traditi, ingannati, e alcuni tra loro magari tradiranno i propri principi. Però del modo di pensare di questo autore ne ho piene le tasche, e certo non perdo il mio tempo a leggere oltre le sue impotenti elucubrazioni. Io ho deciso di votare M5S, e spero che serva a dare una spallata ad un sistema consolidato ed incancrenito che mi sottrae diritti ed opportunità, mi auguro e mi adopero perché il programma del M5S si realizzi davvero, perché le cose migliorino e quando mi imbatto in idee e comportamenti che non condivido, nel mio piccolo propongo un punto di vista alternativo. Però mi chiedo che razza di sinistra è una presunta sinistra che non sa e non vuole dialogare e misurarsi con le masse popolari, che guarda al popolo con diffidenza e sufficienza.
In verità, mi pare che la “post-democrazia” stia facendo il suo corso, e abbia contaminato anche le forze che si richiamano ai valori e princìpi della sinistra. A cominciare dalla Lista Tsipras, così detta per brevità, che, nelle sue modalità ha realizzato il medesimo vilipendio della democrazia che giustamente i suoi promotori e credo tutti gli aderenti rimproverano agli attuali potenti d’Italia (e non solo): come si può fare la battaglia contro le liste bloccate quando si concede a un pugno di individui, per quanto rispettabili e degni di essere ascoltati, di decidere chi sarà candidato? Si tratta di una posizione per me inconcepibile; e che sia stata richiesta, da parte dei promotori, per evitare di finire negli squallidi mercanteggiamenti che precedettero la formazione delle liste Ingroia (e che infatti produssero infiniti scambi di accuse, dopo la disfatta), non appare una motivazione valida: come si dice nel mondo anglosassone: due cose sbagliate, non fanno una cosa giusta. E l’immissione di candidati discutibili, anche sul piano dell’etica pubblica, da un canto, l’esclusione pregiudiziale di una intera forza politica, per quanto piccola, ma combattiva come il PCd’I, mi sono apparse prove che quandoquidem dormitat Homerus; ossia, che i “saggi” (e la saggia!), possono errare. Ma, a prescindere da chi è stato inserito e chi escluso, la questione è di metodo: e la democrazia, se vogliamo davvero proteggerla, ammesso siamo ancora in tempo, va salvaguardata innanzi tutto nelle procedure. E qui proprio non ci siamo.
Eppure, al suo sorgere, ho firmato l’Appello per la Lista, anche se già il vedere nelle sue bandiere il nome del leader greco, mi infastidiva; la personalizzazione della lista, era, di nuovo, un dato poco in linea con le idee di chi vuole opporsi alla “deriva” personalistica, neoleaderistica, populistica del sistema. Ma, si sa, la politica è (anche) l’arte del possibile. E ci si accontenta. E dunque mentre confermo che voterò la Lista “L’altra Europa con Tsipras”, mantengo tutte le riserve di metodo e di merito. Anche sul programma, che mi pare molto esitante, e qua e là succube di un “europeismo” di maniera, ossia poco rappresentativo di quella Europa “altra” che si vorrebbe costruire; specie sulla politica estera, una posizione più netta sarebbe stata apprezzabile, in particolare sull’Ucraina, davanti a fatti di assoluta evidenza, con un colpo di Stato organizzato dai servizi statunitensi, e realizzato da mercenari e da bande nazistoidi, non si può esitare a schierarsi in modo chiaro, tanto più che quello che là sta accadendo si inserisce in una strategia mondiale che riguarda diverse altre realtà sgradite alla iperpotenza americana.
La voterò, comunque, la lista. Non so se raggiungerà il 4%, e me lo auguro, per vedere nel Parlamento d’Europa qualche volto diverso e sentire qualche voce nuova, persone capaci di esprimere un dissenso netto, anche se sarà sempre minoritario, rispetto alle sciagurate politiche degli uni (PPE) e degli altri (PSE), tra i quali del resto le differenze non appaiono rilevanti. Certo sarebbero e saranno volti nuovi anche quelli degli eletti (e saranno tanti) del M5S, ma non sono volti (perlopiù) che mi piacciono, anche se tanti militanti sono ottime persone che hanno fatto battaglie giuste che ho condiviso, talora lottando al loro fianco. Ma non mi piace il loro fanatismo, non mi piace la loro fede nel capo, non mi piace l’ignoranza di troppi e la volgarità di tutti, specie quando si aggiungono all’intolleranza e quando si esprimono nel turpiloquio indecente, e soprattutto superfluo. O forse no: forse il turpiloquio, come l’urlo, come il gestaccio, come le battute a raffica, come i paragoni storici privi di fondamento ma eclatanti, sono tutte armi funzionali alla cattura della folla: non della massa, ma della folla, insieme di individui atomizzati, che, per disperazione o per noia, si sono disgustati e allontanati dai partiti, dalle convinzioni ideali, dallo stesso raziocinio dell’analisi e della scelta, e si sono affidati, nel senso più ampio, fideisticamente, appunto, al capo: il capo pensa, il capo sa, il capo decide, per loro. Per tutti. Per il Paese. Per l’Europa. Dopodomani per il mondo. E il capo, sia detto una volta per tutte, fa paura: il suo straparlare, il suo urlo scomposto, il suo gesticolare da forsennato, sono la forma dietro cui ci sono contenuti a volte condivisibili, ma nell’insieme, indigeribili: la politica estera, le politiche migratorie, la scuola, l’economia, sono terreni su cui il dissenso verso il signor Grillo e il signor Casaleggio, per quanto mi riguarda, è totale. E, malgrado le lodevoli battaglie in Parlamento contro gli stravolgimenti istituzionali, non posso accettare la pseudodemocrazia della Rete, di cui il Movimento è portatore, sulla base, sempre, degli orientamenti del capo e del suo ideologo: i quali, a ben vedere, interpretano bene i ruoli dello sbirro cattivo (“Beppe”) e di quello buono (“Gianroberto”). Finora il gioco ha funzionato: e alle Europee funzionerà perfettamente, al punto che è probabile che M5S ottenga il primato tra tutte le forze in campo in Italia. La fuga da Forza Italia, lo squagliamento della Lega Nord, l’inconsistenza del “Nuovo Centro Destra”, e, soprattutto, la incredibile involuzione del PD, sotto il comando destrutturante (D’Alema dixit) di Matteo Renzi, e, last but not least, l’inesistenza di uno schieramento di sinistra…: sono tutti fattori che predispongono la vittoria di Grillo e della sua armata. Anche se il fattore dominante è, naturalmente, il discredito assoluto della classe politica, e il susseguirsi di episodi di corruzione, una piccolissima quota di quella corruzione generalizzata e sistematica che è la vera, costante, e in continuo incremento, “autobiografia della nazione”: la sua prima identità. Nell’illusione, sincera o alimentata ad arte (è il caso, appunto) che la “società civile” sia migliore di quella politica: il che non è. Ma funziona nel messaggio propagandistico. E da questo punto di vista, nessuno potrebbe far meglio del guitto, con il suo ululante, ingiurioso, e spesso farneticante lessico del Bar Sport, con gli abbondanti richiami sessisti, machisti, razzisti, e con i tentativi di acchiappare la populace, un vasto sottoproletariato di andata o di ritorno, economico o politico, sociale o culturale: gli incapienti della politica, in breve.
Eppure non ho mai condiviso il giudizio liquidatorio di chi ha etichettato il fenomeno M5S come “antipolitica”: e ben a ragione i militanti reagiscono parlando di politica autentica, dal basso, di ritorno all’agorà. Peccato poi che la pratica sia ben diversa, e Grillo, come Berlusconi, come Renzi siano altrettante espressioni di un vero e proprio “superamento”, poco virtuoso, della democrazia, e di un ripiegare verso ideali autocratici, di tipo bonapartistico. Anche la recentissima performance televisiva del leader nel salottino di Bruno Vespa – dove non sapevi decidere chi fosse più irritante tra i due – nel tentativo di acchiappare i voti in libera uscita da Forza Italia, all’insegna dunque di una forma nell’insieme accettabile anche per quella che un tempo si chiamava “maggioranza silenziosa”, ossia di ceti medio e piccolo-borghesi, perbenisti, “tranquilli”, ha mostrato dietro il chiacchiericcio sempre sopra le righe che proprio come Berlusconi Grillo vende sogni. Anzi, si può parlare, almeno dopo la prestazione televisiva, di un Grillo berlusconizzato. E accusa Renzi di esser un venditore di pentole. Tutti, con le dentiere promesse dall’ex cav, gli 80 euro messi in busta paga con altisonanti promesse del loro durare “per sempre”, con la salvezza d’Italia assicurata da Grillo, fanno conto di parlare a una massa di sottosviluppati mentali, incapaci di decrittare i messaggi, di scuotersi dalla pigrizia, di provare a capire e ragionare con la testa invece che con la pancia a cui tali messaggi si rivolgono. Tutti, in vero, sono succubi di Berlusconi: questa campagna elettorale, e tutto il pregresso, dall’autunno 2011 in poi, dimostra che con l’uscita di scena (la sua riapparizione cadaverica conta poco, a dire il vero) dell’uomo, la sua cultura politica ha vinto: il berlusconismo è transitato nelle vene della politica italiana.
Era un’altra politica quella che volevamo, o almeno che con me tanti e tante hanno auspicato, a partire dalle mobilitazioni del 2011, e dai successi raggiunti. Ma dopo la vittoria referendaria, il trionfo dei sindaci al di fuori degli apparati, e, appunto, la cacciata di Berlusconi, siamo passati da una delusione all’altra, e la crescita di M5S, se da un lato testimonia la crescita dello scontento, dall’altro è la prova che il PCI è davvero morto con Enrico Berlinguer (e stiamo ricordando ora i 30 anni da quel tragico evento del giugno 1984), e che alla sua sinistra, fra errori clamorosi, personalismi, rivalità e beghe, quel poco che c’era, oggi è defunto. Abbiamo creduto che la maggioranza silenziosa fossimo “noi”, fosse quel vasto e variegato insieme sociale che aveva espresso la sua rabbia e la sua forza in quella stagione, e abbiamo creduto a una politica dal basso, fondata sulla trasparenza e sulla partecipazione, che abbandonasse la propaganda fondata sull’urlo e l’ingiuria, che mettesse da parte il leaderismo e il populismo, che imparasse a parlare un altro linguaggio, chiaro, pulito, capace di far riflettere e decidere in modo cosciente: che invece di vedere in ogni persona un voto, vedesse in essa un suggerimento da accogliere, una risorsa da “sfruttare”, una domanda cui dare risposta, una difficoltà cui venire incontro. Invece siamo nella trucida gora del populismo associato al leaderismo. Tutti i partiti vogliono rappresentare tutti i cittadini e tutte le classi. Tutti i leader vogliono rinegoziare i trattati europei, ma nessuno ci spiega che cosa significhi essere non “europeisti”, ma “europei”, oggi. Quanti, al di là delle sbracate contestazioni alla Le Pen, o da noi alla Salvini (potevamo immaginare di rimpiangere Bossi?!), nessuno, neppure a sinistra, dice, con la chiarezza necessaria, che questa Europa fa schifo: che l’eliminazione delle frontiere interne serve solo a creare un vasto Superstato liberista e poliziesco, militarizzato e che, alla facilitazione della circolazione interna, corrisponde l’elevazione di barriere, militari e finanziarie, invalicabili all’esterno: questa Europa è la “Fortress Europe” (si segua il bellissimo sito-blog di Gabriele Del Grande), all’insegna di una nuova, oscura espressione non più del military-industrial complex denunciato negli anni Sessanta-Settanta negli Usa, e neppure del complesso finanziario-militare, ma piuttosto di un cesarismo poliziesco, quello preconizzato da Antonio Gramsci , non più semplicemente militare, e che alla “cura” dei corpi (vedi Cucchi, Aldrovandi, eccetera; vedi Genova, Roma, Napoli, Torino; vedi la repressione selvaggia messa in atto da magistratura, esercito e forze di polizia in Val di Susa…) aggiunge e combina la “cura” delle anime, con i media, bugiardi al massimo grado (siamo davanti ad una autentica, costante “narrazione tossica”, come è stata definita), con un sistema scolastico, universitario e culturale che tenta di erodere le basi stesse del pensiero critico.
Esistono resistenze interne, per fortuna, che aggiunte a quelle esterne non hanno ancora ammazzato, non del tutto, la speranza. M5S avrebbe potuto forse almeno in parte dar voce alla disperazione e alla speranza, ma sta andando verso altre direzioni, e il “Vinciamonoi!”, proposto come un insopportabile refrain guerresco, fa paura, proprio allo stesso modo delle urla scomposte del capo. Così come fa paura che tutti gli adepti adottino le formule escogitate dal consumato attore, ultima “l’ebetino” con cui graziosamente ha etichettato Renzi. Il quale, ritengo, malgrado il tentativo di riprendersi le piazze, abbandonate nelle scorse elezioni a Grillo, uscirà penalizzato dalle urne, e mi auguro io pure che sparisca dalla scena, anche se la speranza che il PD si ravveda, e ricuperi una qualche briciola di dignità mi appare remotissima. Un capo faccio-e-decido-tutto-io, il partito in mano ai consulenti e ai lobbisti, i ministeri e le aziende pubbliche affidate ad amici e amiche, gli ordini di scuderia invece che le scelte consapevoli per i deputati e senatori, il badare ai propri interessi personali (a cominciare dai privilegi, per quanto minimi possano essere, delle cariche pubbliche), la perdita di rapporto con le classi che invece sono del tutto deprivilegiate, la rinuncia alla bussola teorica, anche di un onesto pensiero socialdemocratico… Tutto ciò mi mostra un partito irrecuperabile, a cui Matteo Renzi – il nuovo piccolo duce – ha dato un vigoroso colpo di grazia, dal quale il PD non vedo come possa risollevarsi.
Sicché ci tocca, per come la vedo io, aspettare che una nuova, temo lunga notte della Repubblica passi. E che al di là dei leader di cui faremmo volentieri a meno (Berlusconi, Renzi, Grillo; gli altri sono oggi ridotti a comparse), si possa riprendere il lavoro serio e lungo, insegnando e apprendendo la politica, intesa come scienza del potere per far bene vivere la comunità. Un potere che, appunto, non sia un fine in sé, ma un mezzo (Machiavelli insegna, in tal senso, il tanto citato e calunniato Machiavelli). E per ricostruire una Europa completamente rovesciata rispetto a quella in atto e in progetto. Una Europa della cultura, del welfare, della tolleranza e dell’accoglienza. Una Europa pronta a guardare al Mediterraneo, e a fare di questo non una frontiera e una tomba (oltre ventimila cadaveri giacciono sui suoi fondali, caduti nell’ultimo ventennio), ma un centro ideale e pratico di incontri, commerci, speranze. Non di sogni, abbiamo bisogno, né di una realtà frutto di scelte che ci vengono faziosamente presentate come obbligate (“ce lo chiede l’Europa”, “lo vogliono i mercati”…), scelte tutte nell’interesse dei pochi, di quei pochi, aggiungo, che già hanno molto o tutto. Contro l’interesse di quei tanti che hanno poco, o quasi nulla. Abbiamo invece bisogno di discutere di come costruire un futuro giusto. Dentro gli spazi continentali, o rompendo anche quelle barriere. La realtà non può essere quella che ci impongono i misteriosi “Mercati”, sotto minaccia di altrettanto oscure agenzie di rating, e ogni giorno ammoniti da “tecnici” prezzolati di università assoldate dai poteri forti. La realtà deve nascere dalla larga partecipazione, dalla discussione feconda, dal dibattito intellettuale: e, soprattutto, dalle battaglie per difendere le carte dei diritti – per gli italiani la Costituzione innanzi tutto –, il welfare, che ci stanno strappando a pezzi e bocconi, l’informazione libera, la giustizia autonoma, la cultura critica.
Ma di tutto ciò trovo scarsa o nessuna traccia nei discorsi elettorali. Vedo facce sorridenti sui manifesti, sono bombardato sulla Rete (Facebook è divenuto un intollerabile ricettacolo di messaggi promozionali), al telefono, nei giornali, alla radio, alla televisione. Votami, votalo, votateci, “daje”, “forza”, “vinciamonoi”…, che evoca il sinistro “Vincere. E vinceremo!”, mussoliniano. Difficile rimanere impassibili. Difficile non esplodere con un’ingiuria collettiva. Resisto, ma non biasimo chi non ce la fa.
La scelta invocata dai contendenti (“noi o loro”, il fastidioso mantra che ci stanno ripetendo un po’ tutti), vale anche per gli elettori: dove il “noi” sta per coloro che soffrono e subiscono, e “loro” sta per coloro che schiacciano e godono. Avvicinandosi il momento del voto, lo smarrimento non passa, e anzi si accresce, Forse la risposta migliore sarebbe boicottare queste elezioni, che si muovono all’interno di un cerchio magico che non mi piace. Ma per cultura ed educazione non posso rinunciare a compiere questo gesto, non foss’altro perché domani potrei rimproverare me stesso. Eppure, a chi mi chiede “cosa voto?”, non rispondo; dico che voterò, con dubbi e sapendo che bene che vada servirà a poco, la lista “Altra Europa con Tsipras”: sapendo, soprattutto, che la mia Europa, è davvero altra. Talmente altra, che forse dovremmo chiamarla diversamente, tanto sfregiato è oggi, dalle politiche comunitarie, il bel nome d’Europa, la fanciulla rapita da Zeus trasformatosi in toro, e trasportata nell’isola di Creta, di cui divenne regina. E forse dovremmo configurarla diversamente questa nuova entità, guardando, magari, a Sud, invece che a Est e a Nord. Al mare a cui l’origine stessa delle civiltà europee ci rinvia.
(21 maggio 2014)
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Gabriele Ascione
Commento uscito sempre su Micromega
Ho letto con piacere fino a metà articolo, poi mi sono chiesto perché perdere il mio tempo su questo lungo e inutile soliloquio. Molte cose trovo condivisibili, la critica alla lista tsipras, che mi pare definito uno schieramento contraddittorio e sostanzialmente impotente, asservito politicamente e culturalmente al PD. Corretta, anche se scontata, l'ennesima analisi dei fattori critici del M5S con i possibili pericoli di involuzione, ma poi l'autore, trascinato da un insopportabile intellettualismo radical chic, scopre che le masse popolari sono chiassose, contraddittorie nel mutare delle opinioni e degli umori, tutto sommato volgari e forse puzzano anche un poco ... E dall'alto della sua scienza aristocratica scopre che in fondo Grillo è come Berlusconi, Berlusconi come Renzi, tutti uguali, tutti imbonitori, chi li segue uno sciocco ingenuo. Forse alla fine sarà così, quanti provano a cambiare in meglio le cose saranno delusi ancora una volta, traditi, ingannati, e alcuni tra loro magari tradiranno i propri principi. Però del modo di pensare di questo autore ne ho piene le tasche, e certo non perdo il mio tempo a leggere oltre le sue impotenti elucubrazioni. Io ho deciso di votare M5S, e spero che serva a dare una spallata ad un sistema consolidato ed incancrenito che mi sottrae diritti ed opportunità, mi auguro e mi adopero perché il programma del M5S si realizzi davvero, perché le cose migliorino e quando mi imbatto in idee e comportamenti che non condivido, nel mio piccolo propongo un punto di vista alternativo. Però mi chiedo che razza di sinistra è una presunta sinistra che non sa e non vuole dialogare e misurarsi con le masse popolari, che guarda al popolo con diffidenza e sufficienza.
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