Gian Enrico Rusconi
Weber, l’infanzia liberale del leader carismatico
Nasceva 150 anni fa il sociologo tedesco che definì alcuni concetti della politica ancora oggi cruciali
L’attualità della sua concezione religiosa
La Stampa, 4 maggio 2014
«La politica come professione», «il capo carismatico», «l’etica della
convinzione e l’etica della responsabilità» , «L’etica protestante e lo
spirito del capitalismo», «la razionalità come essenza dell’Occidente» .
A chi non capita oggi, in una dotta conversazione anche tra amici, di
usare queste espressioni, sicuro di trovare approvazione? E’ l’eredità
intellettuale di uno dei «classici» della scienza politica, della
sociologia, della storia del secolo passato – Max Weber.
Di lui si
ricorda in questi giorni il centocinquantesimo della nascita. Il rito
degli anniversari si presta a due operazioni. O è un ripasso di
citazioni. O offre l’occasione di rivisitare qualche punto critico per
verificarne la forza analitica, ancora oggi.
Cominciamo dalla
politica. Weber coltiva un realismo politico che non lascia spazio a
quella enfasi sulla «società civile», sui concetti di «cittadinanza» e
di «partecipazione democratica» che è caratteristica del nostro tempo.
La democrazia per lui è sostanzialmente un meccanismo di governo di
interessi che richiedono una guida, un leader (ovvero con il termine
tedesco storico, che alle nostre orecchie suona sinistro, un Führer). Il
leader naturalmente deve essere espresso da meccanismi elettivi: «Un
Parlamento forte e partiti parlamentari responsabili devono fungere da
luoghi di selezione e di prova dei capi delle moltitudini come reggitori
dello Stato». Ma il capo è tale soltanto se possiede il «carisma», se
possiede doti di attrazione, consenso e «seduzione di massa». Si deve
proprio a Weber l’utilizzo definitivamente positivo di questo concetto
in politica, anche se ha ambigue componenti di tipo «demagogico».
E’
facile vederne oggi il potenziale pericoloso (la Führerdemokratie, che
alcuni studiosi italiani traducono con imbarazzo oscillando tra
«democrazia autoritaria» o «democrazia guidata»). Non c’è dubbio alcuno
però che Weber, convinto liberale, non coltivasse alcuna tendenza
autoritaria. Pensava ad una sorta di democrazia presidenziale che, lui
vivente, si sarebbe potuto instaurare in Germania dopo la prima guerra
mondiale. La scomparsa prematura (1920) di Weber gli ha impedito di
verificare se la sua ipotesi avesse contribuito a portare alla crisi la
democrazia tedesca, per l’abuso delle competenze presidenziali della
Costituzione weimariana, aprendo le porte al Führer per antonomasia.
A
questa problematica è dedicato il saggio La politica come professione.
Solidamente inquadrate in un’etica politica (distinta tra convinzione e
responsabilità), ancorate ad una robusta idea di professione/vocazione
(di lontana matrice religiosa) le tesi weberiane sono esenti da ogni
sospetto di tendenze fascistoidi o autoritarie o populiste (come diciamo
noi oggi). Si può obiettare che la lezione weberiana rimane
sostanzialmente di ordine etico, senza che abbia trovato una chiara
formula politico-istituzionale. Ma come negare che di fatto oggi le
democrazie più efficienti sono quelle che hanno esecutivi guidati da
personalità che contano su forti competenze istituzionali e posseggono
capacità decisionali? Che godono di un consenso di massa che utilizza
anche spregiudicatamente il sistema mediatico (ignoto a Weber)? Insomma
in qualche modo sono capi carismatici?
Certo: contro ogni deriva o
tentazione populista vale la raccomandazione che il vero leader sa
contemperare la determinazione all’azione che gli deriva dalle sue
convinzioni con l’etica della responsabilità verso la pluralità degli
interessi che deve governare. Compreso un oculato calcolo delle
conseguenze non previste delle sue decisioni.
Questo ci porta ad
alcune considerazioni sull’altra tesi che fonda il pensiero di Weber: la
razionalità o il razionalismo come tratto caratterizzante, anzi come
«essenza» dell’Occidente. Alcune sue pagine sembrano l’apoteosi del
razionalismo occidentale, che trova la sua realizzazione nello Stato
moderno, dotato di una costituzione razionalmente promulgata, di un
diritto razionalmente costituito, di un’amministrazione di funzionari
specialisti, affiancato dalla scienza della politica e dalla
organizzazione capitalistica dell’economia, che è definita «la potenza
più fatale» dell’Occidente.
Weber naturalmente vede i lati negativi
di questa costruzione. Da un lato la burocratizzazione del sistema che
lo riduce ad una paralizzante «gabbia d’acciaio» e dall’altro la
subordinazione della logica del capitalismo ad una visione e ad una
pratica predatoria, mentre l’economia produttiva reale lascia il posto
alla mera speculazione finanziaria. E’ l’esito che abbiamo sotto i
nostri occhi.
Ma a questo punto dobbiamo allargare il discorso
sull’idea di razionale e di razionalità che percorre il pensiero
weberiano – dalla politica, all’economia, alla religione. La razionalità
infatti convive sempre con il suo opposto, con l’irrazionalità.
L’irrazionale è il polo di rimando del razionale e allo stesso tempo ciò
che, nel suo nucleo profondo, è ad esso irriducibile. Esprime «la
vita», nel cui ambito si genera l’elemento carismatico, profetico,
demoniaco e l’erotico – tutte potenze attive e positive dell’esperienza
vitale.
Il testo che tratta questa problematica è la Considerazione
intermedia (nella Sociologia delle religioni) dove l’esistenza umana è
presentata come un insieme di sfere vitali in conflitto tra di loro,
perché ciascuna segue una sua propria logica specifica. Così è per la
sfera dell’etica religiosa che entra in tensione con la sfera
dell’economia e della politica che è la depositaria del monopolio
dell’uso legittimo della forza. Ma non meno drammatica e radicale è la
tensione tra la sessualità e l’etica della fratellanza, tra la sfera
erotica e quella della religione. L’erotismo in particolare appare come
una forza di rottura irresistibile verso l’irrazionale, «una porta verso
il nucleo più irrazionale e insieme più reale della vita». Ma è nella
sfera religiosa che si consuma il contrasto più radicale. «Con la
crescita del razionalismo della scienza empirica la religione viene
progressivamente cacciata dal regno del razionale nell’irrazionale e
diventa la potenza irrazionale e antirazionale sovrapersonale tout
court».
Sono frasi forti, un po’ enigmatiche nella loro
perentorietà. Ma offrono uno sguardo enormemente più penetrante dei
dibattiti oggi correnti sulla secolarizzazione o viceversa sul «ritorno
delle religioni», sulla potenza dei nuovi carismi comunicativi delle
personalità religiose. Il Weber studioso del fenomeno religioso si
conferma intellettualmente stimolante come e più dello studioso del
razionalismo capitalistico o della politica. Meriterebbe maggiore
attenzione anche nel discorso pubblico e pubblicistico.
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