martedì 10 giugno 2025

Una sconfitta culturale


Massimo Franco
Una sconfitta culturale, ma l'astensione riguarda tutti
Corriere della Sera, 10 giugno 2025 

Il flop viene declinato in molti modi. Boomerang, sconfitta, disfatta. Avere toccato appena il 30 per cento dei votanti, venti punti lontani dal quorum, ha reso i cinque referendum proposti dalle opposizioni e dalla Cgil come un fallimento strategico. Ma sostenere che a uscirne frantumato è il cosiddetto «campo largo», ossia l’asse tra Pd e M5S, più addentellati della sinistra ecologista, potrebbe risultare riduttivo. E non perché non sia vero che senza le componenti moderate le sinistre e i Cinque Stelle non sfondano.

Il tema è che anche quell’aggiunta non basterebbe; e che perdere grazie all’astensione massiccia conferma un sistema malato. Il problema è di linguaggio, di temi, e solo di riflesso di alleanze. Il deficit riguarda la cultura politica: un difetto che accomuna sia il Pd di Elly Schlein, sia il M5S di Giuseppe Conte, sia i moderati dem e i centristi di Azione e Iv. E ancora di più una Cgil il cui segretario, Maurizio Landini, alla vigilia additava il quorum come un risultato a portata di mano. «Non lo abbiamo raggiunto», ha dovuto ammettere ieri. Ma «oltre 14 milioni di persone hanno votato: un numero importante, di partenza». Si tratta di una lettura consolatoria, che rimuove alla radice qualunque riflessione autocritica. E tende dunque a non abbandonare lo schema che ha portato alla sconfitta. E costituisce un pessimo viatico per le elezioni politiche. L’analisi del leader della Cgil, vero regista della consultazione, finisce per coprire parzialmente le responsabilità politiche di Schlein e Conte. Ma in qualche misura tende a congelare qualunque discussione sulle prospettive delle opposizioni.


Se il risultato ottenuto è «un punto di partenza», [lo schema] non va cambiato. E dunque si tratterebbe soltanto di affinare [la trovata] del cosiddetto «campo largo», o «progressista»; insomma, della sommatoria tra le forze d’opposizione, senza cambiarne i contorni. Il flop viene declinato in molti modi. Boomerang, sconfitta, disfatta. Avere toccato appena il 30 per cento dei votanti, venti punti lontani dal quorum, ha reso i cinque referendum proposti dalle opposizioni e dalla Cgil come un fallimento strategico. Ma sostenere che a uscirne frantumato è il cosiddetto «campo largo», ossia l’asse tra Pd e M5S, più addentellati della sinistra ecologista, potrebbe risultare riduttivo. E non perché non sia vero che senza le componenti moderate le sinistre e i Cinque Stelle non sfondano.


Il tema è che anche quell’aggiunta non basterebbe; e che perdere grazie all’astensione massiccia conferma un sistema malato. Il problema è di linguaggio, di temi, e solo di riflesso di alleanze. Il deficit riguarda la cultura politica: un difetto che accomuna sia il Pd di Elly Schlein, sia il M5S di Giuseppe Conte, sia i moderati dem e i centristi di Azione e Iv. E ancora di più una Cgil il cui segretario, Maurizio Landini, alla vigilia additava il quorum come un risultato a portata di mano. «Non lo abbiamo raggiunto», ha dovuto ammettere ieri. Ma «oltre 14 milioni di persone hanno votato: un numero importante, di partenza». Si tratta di una lettura consolatoria, che rimuove alla radice qualunque riflessione autocritica. E tende dunque a non abbandonare lo schema che ha portato alla sconfitta. E costituisce un pessimo viatico per le elezioni politiche. L’analisi del leader della Cgil, vero regista della consultazione, finisce per coprire parzialmente le responsabilità politiche di Schlein e Conte. Ma in qualche misura tende a congelare qualunque discussione sulle prospettive delle opposizioni.

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