martedì 24 giugno 2025

Il pacifismo imperiale



Nadia Urbinati

Fare e lasciar fare la guerra, il pacifismo imperiale di Trump

Domani, 24 giugno 2025

lI presidente populista anti-establishment, fustigatore dei politici, si scopre parte dell’establishment, come tutti gli altri. «Io ho portato a Washington l’America senza voce» aveva detto Donald Trump al tempo della sua prima presidenza.

Un mantra populista che negli Stati Uniti si carica di un carattere suppletivo: il pacifismo imperiale – imporre al mondo i costi del benessere del popolo americano. Il nazionalismo è proprio di tutti gli stati. Ma diventa contraddittorio se a perseguirlo è uno stato imperiale, che fa del nazionalismo un monito rivolto al mondo: America first parla non solo agli americani. Che significa, giustificare politiche doganali, di protezionismo, ma anche di guerra. Al di là del loro successo, di “isolazionismo” e “pacifismo” queste politiche non hanno proprio nulla. Non possono averlo.

Pacifisti in guerra


Lo abbiamo visto nel passato; lo rivediamo con Trump. Il cui America first sprizza aggressività da tutti i pori, mentre spergiura pacifismo. La divisione interna al movimento MAGA sul coinvolgimento degli Usa nella guerra israeliana contro l’Iran riflette questa contraddizione alla perfezione.

Pacifisti in guerra permanente. Per mettere a tacere le armi. Così disse Trump a Vladimir Putin; così ripete a Benjamin Netanyahu: che si faccia il lavoro sporco in fretta per aprire le porte alla pace, al «beautiful project of a Riviera in Gaza». Cosa ha ciò a che fare col pacifismo?

Trump ha condotto una campagna virulenta contro l’amministrazione Biden, accusata di essere guerrafondaia, di aver favorito la guerra in Ucraina e lasciato il Medio Oriente senza un’indicazione di pace, tradendo gli Accordi di Abramo, siglati dalla prima amministrazione Trump per normalizzare le relazioni diplomatiche tra Israele e alcuni paesi arabi.

il viaggio in Arabia

La base di quegli accordi era il “mutual understanding”. Su questo solco si è svolto un mese fa il primo viaggio in Arabia Saudita del “Trump II”, voglioso di stringere relazioni d’affari tra la sua famiglia e i leader arabi. Nel corso di quel viaggio Trump ha detto: «Non vi daremo più lezioni su come vivere, dato che le meraviglie di Riad e Abu Dabi non sono state create dai cosiddetti nation builder o neocon». Un subdolo pacifismo d’affari.

Il movimento MAGA tiene insieme il tradizionale populismo non interventista e la dichiarazione di superiorità della razza bianca, una superiorità che, ecco il significato dell’isolazionismo imperiale, non ha alcuna intenzione di far germinare la democrazia nel mondo. E non per rispetto dei popoli e della democrazia, che non si esporta.

Come scrive un intellettuale MAGA, Patrick Deneen, la democrazia americana è unica; è superiore, non esportabile e non ha nulla di liberale. Noi americani, dice il verbo MAGA, abbiamo questo dono, grazie alla nostra genia e alla nostra storia; la democrazia si adatta a noi. Quindi, “non vi daremo più lezioni” significa non che rinunciamo a imporvi il nostro potere, ma che rinunciamo a farvi diventare quel che non potete. Il MAGA non è pacifista. È suprematista e anti-universalista.

Lasciar fare


Molti elettori di origine araba sono stati ingannati da questo subdolo pacifismo. Il cui esito è mostruoso: lasciar fare a Netanyahu (lo stesso con Putin per l’Ucraina). Il non interferire significa consentire al forte di mostrare di meritare quel che pianifica. Meritare sul capo. E così, la sfida di Netanyahu è arrivata puntuale, interpretando bene il pacifismo MAGA: se il forte deve piegare il debole, perché questa è la legge della natura, allora Israele ha tutte le ragioni di attaccare il nemico della porta accanto.

Nemico storico che l’improvvida decisione del governo Bush nel 2003 di distruggere l’Iraq, non solo nell’esercito ma anche nella struttura statale (allora i neocon pensavano a uno sperimentalismo creativo di un nuovo regime), ha reso unica potenza della regione espressamente anti-Israeliana. L’Iran senza l’avversario naturale, l’Iraq, rappresenta da un lato un rischio, e dall’altro un bersaglio solitario, visto anche il suo isolamento rispetto ai paesi arabi.

Insomma, gli Usa sono in guerra per garantire una facile pace – è certo che l’Iran non ha una capacità atomica spendibile ora, ma proprio per questo l’attacco preventivo promette di essere al servizio di una pace veloce. Dicono da Washington: pochi bombardamenti nelle aree strategiche e tutto andrà apposto. Il pacifismo imperiale è un progetto di guerre facili, a incasso certo. Guerre permanenti. Che siano combattute con i B-2 o con le tariffe. American First in the World and, thus, Great Again.

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