sabato 7 giugno 2025

In difesa di Maria Antonietta


Stefan Zweig
Maria Antonietta Una vita involontariamente eroica (1932)
traduttrice Lavinia Mazzucchetti 

Introduzione

Scrivere la storia della regina Maria Antonietta vuol dire riprendere un processo più che secolare, nel quale accusatori e difensori polemizzano con la maggiore asprezza. Il tono appassionato della discussione risale agli accusatori. Per colpire la monarchia, la rivoluzione fu costretta ad attaccare la regina, e nella regina la donna. Ma è raro che veridicità e politica dormano nello stesso letto, e là dove una figura è tracciata a fini demagogici non ci potrà aspettare molta giustizia dai facili servitori dell'opinione pubblica. Nessun mezzo, nessuna calunnia vennero risparmiati contro Maria Antonietta, pur di trascinarla alla ghigliottina; in giornali, in libelli, in libri, venne attribuito senza scrupolo alla louve autrichienne ogni sorta di perversità; persino nella casa stessa della giustizia, nell'aula del tribunale, l'accusatore pubblico paragonò pateticamente la "vedova Capeto" alle più celebri peccatrici della storia, a Messalina, ad Agrippina, a Fredegonda. tanto più intensa fu poi la reazione quando nel 1815 un Borbone tornò a salire sul trono francese: per adulare la dinastia si dipinse con i colori più teneri l'immagine demoniaca della sovrana: non vi è ritratto di Maria Antonietta di quest’epoca senza le volute dell’incenso e l’aureola dei santi. Gli inni si susseguono agli inni, l’illibatissima virtù di Maria Antonietta viene difesa con tenacia, si esaltano in versi e in prosa il suo spirito di sacrificio, la sua bontà, il suo eroismo; ampi veli aneddotici bagnati di abbondanti lacrime e intessuti per lo più da mani aristocratiche ravvolgono il trasfigurato sembiante della «regina martire».

La verità psicologica sta, come il più delle volte, nel mnezzo. Maria Antonietta non fu né la grande santa dell'idea monarchica, né la grande bagascia della rivoluzione, bensì un carattere medio, in fondo una donna comune, non troppo intelligente, non troppo stolta, né fuoco né ghiaccio, senza energie speciali per il bene e senza la minima volontà al male, la donna media di ieri, di oggi e di domani, senza tendenze e genialità eccezionali, senza volontà di eroismi e perciò appunto apparentemente inadatta a divenire oggetto di una tragedia. Ma la storia, questo divino demiurgo, non ha bisogno di una protagonista dal carattere eroico per creare un dramma commovente. La tensione tragica non risulta soltanto dalla statura eccezionale di un personaggio ma sempre dalla sproporzione fra un individuo e il suo destino. La tensione tragica non risulta soltanto dalla statura eccezionale di una figura, ma sempre dalla sproporzione fra un individuo e il suo destino. Questa può attuarsi drammaticamente quando un uomo strapotente, un eroe, un genio viene a lottare con l’ambiente troppo angusto, troppo ostile alla missione in lui innata – così Napoleone che soffoca nel campo chiuso di Sant’Elena, o Beethoven imprigionato nella sua sordità –; si ripete insomma, ovunque, una grande personalità non trovi la propria misura e la propria possibilità di espandersi. Ma la tragedia nasce anche quando la natura normale, anzi piuttosto debole, si incontra con un destino inaudito, con responsabilità personali che la opprimono e la schiacciano, e questa forma di tragedia mi sembra talvolta essere la più umana e commovente. Poiché nell’uomo straordinario è inconscia la ricerca di una sorte straordinaria; alla sua natura eccezionale è conforme il vivere eroicamente, ovvero, per adoperare la parola di Nietzsche, «pericolosamente»: essa, per l’innata violenza delle sue esigenze, sfida il mondo violentemente. Il carattere geniale non è dunque in ultima analisi del tutto innocente del suo soffrire, poiché la missione che è in lui latente ha sete mistica di una prova del fuoco per prodigare la sua forza estrema; come la tempesta sorregge il gabbiano, così il suo destino violento lo sostiene e lo trascina sempre più forte e più alto. Il carattere mediocre invece è per natura incline a forme pacifiche di vita: non esige, non richiede forti tensioni; vorrebbe soltanto vivere tranquillo e nell’ombra, nella bonaccia, nelle zone temperate della sorte; e perciò resiste, perciò s’angoscia, perciò fugge appena una mano invisibile lo sospinge nel tumulto. Non vuole responsabilità storiche universali, al contrario, ne ha terrore, non cerca di patire, ma vi è costretto; dall’esterno, non dall’interno è portato a essere più grande della sua vera misura. Questo patire del non-eroe, dell’uomo mediocre, io lo considero, appunto perché privo di un senso evidente, non più trascurabile che la patetica sofferenza di un vero eroe, e forse ancor più commovente, poiché l’individuo normale deve vivere solo la propria sorte senza avere, come l’artista, la saldezza e la beatitudine di trasformare il proprio tormento in un’opera di forma duratura.

Ma talvolta un simile individuo di medio valore è in grado di frangere le dure zolle del proprio destino, di ergersi violentemente con la propria energia al di sopra della sua stessa mediocrità: di questo la vita di Maria Antonietta è forse il più luminoso esempio storico. Per i primi trent’anni, nei trentotto della sua esistenza, questa donna percorre una via insignificante, seppure in una sfera inconsueta; mai supera nel bene o nel male la misura mediana, anima tiepida, carattere mediocre e, dal punto di vista storico, da principio soltanto personaggio di comparsa. Se la Rivoluzione non fosse scoppiata nel suo mondo sereno e spensierato, questa figlia d’Asburgo avrebbe tranquillamente continuato a vivere come cento milioni di donne di tutti i tempi: avrebbe ballato, chiacchierato, amato, riso, fatto del lusso, delle visite, elargito elemosine, avrebbe messo al mondo dei figli, e si sarebbe alla fine distesa tranquillamente nel suo letto per morire prima di avere partecipato comunque allo spirito del suo tempo. Le avrebbero, perché regina, eretto un solenne catafalco, dedicato il lutto di corte, ma poi sarebbe svanita dalla memoria dell’umanità, al pari di tutte le innumerevoli altre principesse, le Marie Adelaide e Adelaide Marie, le Anne Caterine e Caterine Anne, i cui epitaffi dormono, non letti, nelle fredde pagine dell’almanacco di Gotha. Mai uomo alcuno avrebbe sentito il desiderio d’interrogare la sua anima spenta, nessuno avrebbe saputo chi fosse in realtà; non solo, ma – e questo è l’essenziale – lei medesima, Maria Antonietta, regina di Francia, senza le prove della sorte, mai avrebbe appreso e saputo la sua vera grandezza. Poiché fa parte della felicità o infelicità dell’uomo mediocre il non sentire bisogno alcuno di misurare se stesso, il non provare la curiosità del proprio io prima che giunga il destino a interrogarlo. L’uomo mediocre lascia dormire inutilizzate le sue possibilità, lascia atrofizzarsi le sue doti, allentarsi le forze, come muscoli che non vengano adoperati finché la necessità non li tende a difesa. Un carattere mediocre vuole la costrizione a uscire da se stesso per divenire tutto ciò che potrebbe e, forse, al di là di quanto egli stesso presagiva: il destino non ha perciò altra sferza che la sventura. Come talvolta un artista, per dar prova delle proprie energie creative, cerca di proposito un soggetto esteriormente modesto invece di uno patetico e universale, così di tanto in tanto il destino cerca un eroe insignificante per dimostrare come anche da una materia scadente possa svilupparsi la più alta tensione, da un’anima debole e mal disposta una grandiosa tragedia. E una simile tragedia, una tra le più belle di questo eroismo involontario, ha nome Maria Antonietta.

Con quale arte, infatti, con quale varietà fantastica di episodi, con che inaudite dimensioni la storia sa qui inserire una creatura mediocre entro il suo dramma; con quanta abilità armonizza i contrasti attorno alla poco interessante figura centrale! Dapprima, con astuzia diabolica, la vizia indulgente; assegna alla bambina come dimora una corte imperiale, impone all’adolescente una corona, concede prodigalmente alla giovane sposa i doni della grazia e della ricchezza; per di più le fa dono d’un cuore leggero, che non chiede il prezzo e il valore di questi regali. Per anni va viziando, accarezzando un cuore irriflessivo e imprudente, finché perde l’equilibrio e si fa sempre più spensierato. Ma quanto più è rapido e facile il destino di questa donna nella sua ascesa fino alle vette estreme della felicità, tanto più raffinatamente crudele nella sua lentezza sarà la caduta. È un dramma che ci offre faccia a faccia i contrasti estremi con brutalità da melodramma: da una dinastia secolare a un orrido carcere, dal trono al patibolo, dalla berlina tutta dorature e cristalli alla carretta dei condannati, dal lusso alle privazioni, dalle simpatie universali all’odio, dal trionfo alla calunnia; sempre più giù, sempre più inesorabilmente, sino all’estremo abisso. E questa piccola donna, colta all’improvviso fra gli agi della vita viziata, questo cuore inesperto, non arriva a comprendere ciò che la forza ignota chiede e impone: sente soltanto l’aspra mano che stringe, l’artiglio rovente che s’infigge nelle carni martoriate; la creatura ignara, non avvezza e non propensa al dolore, ne rifugge, non vuole, geme, cerca di fuggire… Ma con l’inesorabilità di un artista, che non desiste prima di aver strappato alla sua materia la tensione estrema, l’ultima possibilità, la mano esperta della sventura non rinuncia a Maria Antonietta prima di averne martellata l’anima debole e molle sino a darle forza e saldezza, finché non ha tratto da lei, con plastica evidenza, tutta la grandezza dei genitori, degli avi e degli antenati che in essa dormiva sepolta. Finalmente, quasi sussultando a un tratto nel suo tormento, la sventurata, che mai se n’era resa conto, avverte la propria trasfigurazione, mentre la sua potenza esteriore tramonta, comprende che in lei avviene qualcosa di nuovo e di grande che senza quelle sciagure mai sarebbe stato possibile. «C’est dans le malheur qu’on sent d’avantage ce qu’on est», queste parole un po’ orgogliose e un po’ sgomente le sgorgano a un tratto dalla bocca stupita: la coglie il presagio che appunto, in nome di quel dolore, la sua mediocre esistenza vivrà quale esempio ai posteri e, in tale coscienza di una responsabilità più alta, si sublima il suo carattere. Poco prima che la spoglia mortale s’infranga, l’opera d’arte è perfetta e imperitura, perché appunto nell’ultima, nella suprema sua ora, Maria Antonietta raggiunge finalmente tragiche proporzioni e si fa grande al pari del suo destino.





Nessun commento:

Posta un commento