domenica 31 maggio 2015

Ritratto di Massimo Cacciari

Alfonso Berardinelli
Perché sono così geloso di Cacciari, icona e parodia dell'intelligenza
Il Foglio, 24 novembre 2014










... A Cacciari va comunque riconosciuto un primato. Come icona e parodia dell’intelligenza ha raggiunto la perfezione. A settant’anni ha una bellissima capigliatura nera e soprattutto una barba da filosofo greco sempre ugualmente nera da quarant’anni, che funziona da maschera. Il vero volto di Cacciari, il suo volto intero, nessuno può dire di conoscerlo. Quella barba è buia e fitta come una selva di citazioni. In ogni discussione, poi, si mostra impaziente e annoiato. Inclina il viso, alza il sopracciglio. Noi italiani troviamo irresistibili le maschere. Guai a chi non ne indossa una. Per avere un’identità chiara bisogna essere mascherati. La folta e imponente barba di Marx, i folti e tragici baffi di Nietzsche devono avere suggestionato molto il giovane Cacciari, che ha deciso di farne uso anche lui. Con il viso così celato, il filosofo con il piede in due o tre staffe acquista il vantaggio di esibire il suo io senza svelarlo. In un tale filosofo l’io che parla è simultaneamente esibito e abolito. E’ un Io superiore che si autotrascende ogni volta che appare.



Rispetto a un individuo così notevole e che tutti notano, gli altri intellettuali italiani, nessuno escluso, sembrano schivi e appartati, discreti, gentili e poco visibili. Perfino Eco, Sanguineti e Arbasino, nel confronto fisico con Cacciari non ce l’hanno fatta. Le sue carte vincenti, le ragioni per cui si comprano i suoi libri senza riuscire a leggerli (nessuno è mai stato capace di recensirli), sono le carte che in Italia hanno il massimo punteggio: la politica (uno spettacolo e un vizio nazionale) e la filosofia (un ipnotico feticcio). Cacciari parla di piccola politica come se parlasse filosoficamente di una Grande politica, che nel nostro piccolo paese non c’è mai stata. Sì, va detto, qualche volta Cacciari esprime pareri politici sensati, che però avevamo già sentito parlando con il vicino di casa o con il tassista. La cosa ovvia lui non la dice come se fosse ovvia per tutti, ma come se fosse ovvia solo per lui che la dice e l’ha capita prima. Il quid che rende unica la recita del nostro uomo è questo solo tono, questo solo tema: “Io ho capito in anticipo quello che voi non capite neppure in ritardo. Perciò che ci sto a fare io qui con voi?”. Eppure sta lì. Non se ne va. Anzi torna. E’ sempre pronto a tornare. Basta chiamarlo.



In conclusione. Sono forse geloso di Cacciari? Non me ne ero accorto, ma forse chissà. Chi ci tiene, lo pensi. Perché a me no e a lui sì? Già, perché no? Se mi invitano in tv (raramente è successo) dico di no. Non mi ci sento, non vengo bene. Se mi volessero premiare come filologo, direi di no perché non sono un filologo. Lui non è un filologo, però si fa premiare come se lo fosse. Se mi avessero invitato a presentare le poesie di Raboni, avrei detto di no, perché come critico letterario potevo anche criticarlo. Cacciari ha detto di sì, anche se Raboni non lo aveva mai letto. Chissà che cosa è riuscito a dire. Avrà parlato di Raboni come Heidegger parlava di Hölderlin, altri argomenti non ne conosce.



Sembrare severi, amare il “pensiero negativo” e dire sempre di sì. Ah, questo è il segreto.

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inoltre Tomaso Montanari e Sergio Luzzatto
http://www.italianostra-venezia.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1490%3Apamphlet-accusatorio-su-massimo-cacciari&catid=65%3Acomle&Itemid=107&lang=it

Raffaele Liucci, Il politico della domenica, Stampa Alternativa, Viterbo 2013,  47pp.

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