Eredi di Osama, orfani di Saddam, ecco tutti gli uomini del Califfo
Luogotenenti, governatori, capi militari: la struttura dell’Isis, diffusa e in parte nascosta
Corriere della Sera, 18 maggio 2015
Se Al Baghdadi morisse, il turbante nero di Califfo passerebbe ad Abu Alaa Al Afri, un turkmeno che combina esperienza islamica, carisma e doti militari. Ci sono poi due veterani: l’ex qaedista Abdullah Alani, 51 anni, e Younis Al Mashdani, che discende addirittura dal Profeta. Ma la regola dell’Isis è andare oltre i leader, per sopravvivere all’eventuale scomparsa di emiri e quadri.
WASHINGTON La regola numero uno per l’Isis è andare oltre i leader. Il movimento deve sopravvivere all’eventuale scomparsa di emiri e quadri. Obiettivo scontato ma anche figlio dell’origine dello Stato Islamico, realtà dove sono confluiti gli eredi di al Zarqawi, gli adoratori di Osama, i nostalgici di Saddam riconvertitisi in jihadisti. Ossia tutti orfani dei loro padri politici. Ed allora chi ha aiutato il Califfo a rimettere in piedi l’organizzazione ha pensato ad una struttura orizzontale diffusa e segreta. A prepararla — secondo lo Spiegel — Haji Bakr, ex agente dell’intelligence baathista. Dunque responsabili con buona autonomia, dirigenti militari flessibili e il budget per sostenere localmente i «governatorati». Quindi il Consiglio, organismi minori e i capi dipartimento. A tenerli uniti il giuramento, il bayat. A Mosul come in Cirenaica, in Nigeria come in Afghanistan, punti geografici dove agiscono i federati dell’Isis.
Questo spiega perché Abu Bakr Al Baghdadi — in piena forma o ferito che sia — possa andare avanti con il piano. Se cade qualcuno, ecco un altro mujahed pronto a prenderne il posto. In questi mesi il Califfo ha visto morire molti dei suoi uomini, come il famoso al Turkmeni, un ufficiale saddamista, o due giorni fa il meno noto Abu Sayyaf, il contabile. La macchina bellica ne ha sofferto, ha dovuto ammettere la sconfitta su alcuni fronti ma è poi ripartita su altri. Ramadi ne è la prova.
La leadership è protetta da un’area grigia, una cortina per non dare troppi vantaggi ai tanti avversari. Si dice che nel caso Al Baghdadi dovesse morire, il turbante nero passerebbe ad Abu Alaa Al Afri, il turkmeno che combina esperienza islamica, carisma e doti militari. Non è il solo. Gli esperti fanno i nomi di due veterani: l’ex qaedista Abdullah Alani, 51 anni, con alle spalle dieci anni di conflitto e Younis Al Mashdani, 55 anni, background religioso, cresciuto in una famiglia che discende dal Profeta. Sono considerati importanti alcuni militanti molto vicini al Califfo. Il saudita Badr Al Shaalan, Turki Al Benali e due iracheni, Osman Al Nazeh e Abu Ali Al Anbari. Quest’ultimo è un personaggio: nato nella regione di Ninive, ha militato nell’esercito del raìs, è ritenuto uno stratega e spesso definito il numero due.
L’ala militare è incarnata da elementi forgiati da tante battaglie. Abu Suleiman al Naser è un altro uscito dal campo di prigionia di Camp Bucca, una sorta di università frequentata da quasi tutti gli alti esponenti dell’Isis. Attualmente avrebbe un ruolo di supervisore su tutte le operazioni, un ministro della guerra. Ha preso il posto di Abu Ayman al Iraqi, eliminato da un raid. Poi tre figure leggendarie per gli insorti: Abu Omar Al Shishani, Abu Wahib e Abu Ather Al Absi. Il primo è un ex soldato georgiano sbarcato nel conflitto mediorientale. Quando le cose si complicano lo chiamano insieme ai suoi guerriglieri del Caucaso. I «ceceni». Ha coordinato molti assalti a basi ben munite sollevando qualche perplessità sulle tattiche estremamente costose in termini di perdite. Abu Wahib è un ribelle evaso e poi diventato «ufficiale» protagonista di scontri nell’Anbar, il regno iracheno dello Stato Islamico. Al Absi, riferimento per tante reclute europee, si è imposto nella regione di Aleppo, dove è l’uomo di fiducia del Califfo.
Missioni speciali per Tareq Al Harzi. Tunisino, ha organizzato il network che deve fornire gli attentatori suicidi, la vera carne da cannone. All’inizio li hanno usati per fare stragi a Bagdad e in altre città, quindi li hanno elevati ad arma di distruzione per demolire le postazioni governative. Tecnica efficace unita a mostruosi mezzi-bomba, riempiti di tonnellate d’esplosivo.
Infine la voce. Abu Mohammed Al Adnani, siriano di 38 anni, è lo speaker dello Stato Islamico. Il suo sentiero è simile a quello di tanti compagni. Catturato, è rimasto in cella fino al 2010, quindi è tornato alla Jihad. A partire dall’estate 2014 ha diffuso alcuni messaggi via web, invitando i lupi solitari a colpire all’interno dei Paesi occidentali. Gli Usa hanno risposto mettendo una taglia di 5 milioni di dollari sulla sua testa. Sperano che qualcuno parli per farlo tacere per sempre.
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