Emilio Gentile
Religione politicaTreccani.it
2007
La locuzione religione politica, insieme a espressioni affini quali religione civile, religione laica, religione secolare, spesso usate come sinonimi, è stato adoperato nel corso del 20° sec. per designare varie esperienze di sacralizzazione della politica da parte di movimenti e regimi che hanno adottato un sistema di credenze, espresso attraverso riti e simboli, per formare una coscienza collettiva secondo i principi, i valori e i fini della propria ideologia. La sacralizzazione della politica, di cui la r. p. è una manifestazione, è fenomeno moderno, che si manifesta quando a un'entità politica astratta - la nazione, lo Stato, la 'razza', la classe, il partito - sono attribuite le caratteristiche di un'entità sacra, che diventa oggetto di fede, di culto, di dedizione collettiva, e come tale è collocata al centro di una costellazione di credenze, comandamenti, riti e simboli (Gentile 2001).
Il termine appare fin dal 17° secolo. In un'opera di T. Campanella, Universalis philosophiae seu metaphysicarum rerum juxta propria dogmata, edita nel 1638, la religio politica era riferita all'uso politico della religione, nell'ambito dei rapporti tra il cristianesimo e lo Stato. In questo stesso senso, il termine compare in un'opera sulla funzione e la dimensione politica della religione di D. Clasen, De religione politica, edita nel 1655. Con riferimento alle esperienze moderne di sacralizzazione della politica, le espressioni religione politica e religione civile appaiono quasi contemporaneamente nell'epoca dell'Illuminismo e delle rivoluzioni democratiche del 18° sec., quando la ricerca di una nuova religione del cittadino, indipendente dalle Chiese e dalle religioni tradizionali, era considerata fondamentale per una società basata sul culto del bene comune. Nel 1749, in The proposals relating the education of youth in Pensilvania, B. Franklin sostenne "la necessità di una religione pubblica in funzione della sua pubblica utilità", che doveva essere inculcata nei giovani attraverso l'insegnamento della storia. Fu J.-J. Rousseau, nel Contract social (1762), a proporre l'istituzione di una 'religione civile', come egli la definì, incentrata sull'educazione del cittadino all'amore esclusivo per la patria e al rispetto delle leggi.
La Rivoluzione americana e quella francese furono le prime esperienze storiche di sacralizzazione della politica, attraverso un'interpretazione degli eventi rivoluzionari come l'annuncio di una nuova era di rigenerazione e di salvezza per l'umanità. La nascita degli Stati Uniti fu considerata dagli americani un dono della divina provvidenza, che aveva conferito alla nuova democrazia una missione speciale. Fin dalle origini, il patriottismo americano fu impregnato di una religiosità propriamente politica, che investiva di sacralità le istituzioni e il destino della nazione. Durante la Rivoluzione francese, molti rivoluzionari proposero di istituire una religione civile per celebrare la nazione e insegnare i principi della democrazia. M.-J.-A.-N. Caritat de Condorcet, nel Premier mémoire sur l'instruction publique (1790), dichiarò di essere contrario all'adozione di quella che egli definiva "una sorta di religione politica", perché violava "la libertà nei suoi diritti più sacri con il pretesto di insegnare ad amarli". Nel 1793, in Betrachtungen über die gegenwärtige Lage des Vaterlandes, Ch.M. Wieland scrisse di una 'nuova religione politica' riferendosi ai giacobini e all'esercito rivoluzionario. Quasi mezzo secolo dopo, nel 1838, A. Lincoln auspicò che la venerazione delle leggi diventasse "la religione politica della nazione" e che gli americani d'ogni età, sesso, colore e condizione facessero "incessanti sacrifici sui suoi altari". E nel 1875, nelle Ricordanze della mia vita, L. Settembrini definì la Giovine Italia 'una novella religione politica'.
Nel 19° e nel 20° sec. il nazionalismo fu il più potente fattore di sacralizzazione della politica, cui diede un impulso decisivo la Grande guerra, dalla quale scaturirono le r. p. del fascismo e del nazismo. Il fascismo fu il primo movimento a mostrare pienamente sviluppati, e in maniera esplicita, tutti i caratteri di una r. p., e come tale fu definito dai suoi avversari fin dagli anni Venti. Negli stessi anni, anche il bolscevismo, benché ateo e antireligioso, parve agli occhi degli osservatori stranieri una nuova religione. L'analisi comparativa del bolscevismo, del fascismo e del nazismo, accomunati dal neologismo totalitarismo (il termine totalitario fu inventato dagli antifascisti nel 1923 proprio per definire il fascismo), diede inizio alla elaborazione del concetto di r. p. per interpretare i caratteri comuni di questi nuovi regimi a partito unico sorti da movimenti rivoluzionari: la concezione integralista e dogmatica dell'ideologia, la santificazione del partito, il culto del capo, l'indottrinamento delle masse, i riti e i simboli delle liturgie collettive.
La paternità del concetto di r. p., applicato ai totalitarismi, è attribuita al filosofo austriaco E. Voegelin, che nel 1938 pubblicò un saggio intitolato Die politische Religionen. In realtà, già tre anni prima, lo storico austriaco K. Polanyi aveva analizzato 'la tendenza del nazionalsocialismo a produrre una religione politica' (Christianity 1935). Gli studiosi che negli anni Trenta del 20° sec. maggiormente usarono il concetto di r. p. per definire il totalitarismo furono teologi e uomini di Chiesa sia protestanti sia cattolici, come L. Sturzo, R. Niebuhr, J. Maritain. Il principale elemento comune delle loro interpretazioni era la connessione genetica fra le r. p. e la modernità, la secolarizzazione, la società di massa, il pensiero mitico. Le religioni totalitarie erano manifestazioni neopagane di una politica che aveva ripudiato la religione di Dio, ma era stata poi costretta a inventare nuovi idoli per soddisfare il bisogno di fede delle masse e per legittimare il potere dei nuovi capi. La r. p. era considerata da protestanti e cattolici il culmine di una rivolta contro la religione di Dio, che era iniziata con l'Umanesimo, aveva sacralizzato l'uomo, ed era poi sfociata nella sacralizzazione dello Stato, della nazione e della razza, degradando l'uomo a mero strumento della politica. La natura religiosa del totalitarismo per i cristiani era innanzitutto il problema di uno Stato che pretendeva di controllare tutti gli aspetti della vita, e per questo era inevitabilmente spinto a contrastare la presenza delle Chiese, a distruggerle o a trasformarle in strumenti del proprio dominio. Ma le ambizioni dello Stato totalitario andavano anche oltre, perché si presentava esso stesso come una religione e una Chiesa, perciò il totalitarismo era intrinsecamente incompatibile con la religione cristiana.
Negli anni Trenta e Quaranta, il concetto di r. p., anche nella variante semantica di religione secolare, era acquisito dai principali studiosi del totalitarismo, come R. Aron, F.A. Voigt, A. Cobban, W. Gurian, F. Borkenau, S. Neumann. Per questi studiosi, la r. p. totalitaria era una conseguenza della modernità, connessa alla società di massa, al declino delle religioni tradizionali, al diffondersi dell'irrazionalismo e dell'attivismo, all'espansione del potere burocratico dello Stato, al 'nuovo machiavellismo' (Aron 1946) dei capi e dei partiti totalitari, che utilizzavano l'esigenza di fede delle masse per imporre il proprio dominio.
L'esperienza della r. p. del fascismo e del nazismo si concluse con la Seconda guerra mondiale, mentre la r. p. del comunismo sovietico continuò a essere associata al culto di Stalin fino alla sua morte (1953), per essere poi riadattata dopo il 1956, in seguito alle vicende interne del sistema sovietico (Lane 1981). La r. p. dell'epoca stalinista ebbe imitatori nei nuovi regimi comunisti sorti in Europa orientale, in Asia e in America Latina, dove si riprodussero gli aspetti tipici delle religioni totalitarie, dalla santificazione del partito alla dogmatizzazione dell'ideologia, dal culto del capo all'indottrinamento delle masse. Tuttavia, nonostante il diffondersi di nuove esperienze di sacralizzazione della politica dopo il 1945, dalla fine degli anni Cinquanta alla fine degli anni Ottanta vi fu una sorta di lunga eclissi del concetto di r. p., anche se non mancarono in quel periodo studi importanti sulla sacralizzazione della politica negli Stati del Terzo mondo, oltre che nel nazismo e nel comunismo (Sironneau 1982).
Nello stesso periodo ci fu negli Stati Uniti un risveglio di interesse per il tema della religione civile, soprattutto dopo il 1967, in seguito a un articolo del sociologo delle religioni R.N. Bellah che dimostrava l'esistenza di una religione civile americana autonoma e distinta dalle religioni tradizionali, che conferiva un significato trascendente all'esperienza della nazione statunitense. Per oltre due decenni, sociologi, storici, filosofi, teologi, scienziati politici discussero animatamente dell'esistenza o meno di una religione civile americana, anche se il fenomeno che Bellah aveva descritto mutuando il concetto di Rousseau era stato già osservato da altri studiosi statunitensi, che lo avevano definito con altre espressioni, come religione civica, religione pubblica o religione della Repubblica. La guerra del Vietnam e la fine ingloriosa della presidenza Nixon influirono notevolmente sul modo di trattare il problema della religione civile. La controversia era fra chi considerava la religione civile un fattore di coesione nazionale e uno strumento di educazione civica e morale, e chi invece la considerava una pericolosa mescolanza di religione e di nazionalismo. Lo stesso Bellah affermò, nel 1975, che la religione civile come egli la intendeva - ossia quale interpretazione dell'esperienza statunitense alla luce di valori religiosi trascendenti e non come culto nazionalistico - era divenuta un guscio vuoto e rotto; alcuni anni dopo dichiarò di aver rinunciato persino ad avvalersi del concetto di religione civile. Negli anni successivi il dibattito sulla religione civile americana proseguì con ricerche specifiche indirizzate a studiare le diverse manifestazioni della dimensione religiosa della politica nella storia e nella società statunitensi. Nella scia del dibattito sul caso americano, il concetto di religione civile fu utilizzato per indagare un fenomeno analogo in altri Paesi: in Europa, Africa, Asia, America Latina, Australia. Alla fine degli anni Ottanta, tuttavia, il dibattito sulla religione civile americana pareva esaurito. Tuttavia la religione civile non era affatto scomparsa dalla politica statunitense. Non solo essa continuò a essere oggetto di studio negli anni successivi, talvolta definita come r. p., ma tornò improvvisamente di attualità dopo l'attentato terroristico dell'11 settembre 2001, con il risveglio del patriottismo statunitense e le reazioni provocate dalla retorica religiosa del presidente G.W. Bush (Gentile 2006).
Dall'inizio degli anni Novanta, si manifestò un risveglio di interesse anche verso il tema della r. p., suscitato dalla ripresa degli studi sulla sacralizzazione della politica nel fascismo (Gentile 1993). Inoltre, dopo la fine del sistema sovietico, il rinnovato interesse per il tema del totalitarismo diede nuovo impulso agli studi sulle r. p. del nazismo e del comunismo. La nuova e più feconda stagione di ricerche sul problema della r. p., dall'inizio degli anni Novanta, ha contribuito all'analisi critica del concetto stesso, per meglio definirne il significato, l'area e i limiti di applicazione. L'ampliamento delle ricerche sulle diverse esperienze di sacralizzazione della politica nell'epoca contemporanea ha confermato l'esigenza di una maggiore consapevolezza critica nell'elaborazione e nell'applicazione del concetto di r. p., per evitarne un uso generico e indiscriminato, ma nello stesso tempo ha confermato la sua utilità per lo studio di alcuni fenomeni della politica moderna. Occorre innanzitutto osservare come permanga ancora una confusione fra i concetti di religione civile e di r. p., usati indifferentemente per analizzare esperienze di sacralizzazione della politica in contesti storici, culturali, ideologici e politici molto diversi, come la democrazia statunitense, il fascismo, il nazismo, il comunismo. Allo stesso modo, va precisato che la r. p. è fenomeno moderno, e non va confusa con le manifestazioni di sacralizzazione del potere mediante la persona del sovrano tipiche delle società tradizionali. La teocrazia, il culto imperiale romano, il cesaropapismo non sono esempi di religione politica. Allo stesso modo, il problema della r. p. non va confuso con l''estetica della politica' (Mosse 1974, trad. it. 1975). Alcuni studiosi (Lane 1981; Gentile 2001) hanno proposto di definire in modo distinto i concetti di religione civile e di r. p., in quanto manifestazioni differenti di sacralizzazione della politica, per analizzarne differenze e peculiarità in base alla diversa soluzione che offrono al problema del rapporto fra autorità e libertà, e in base al diverso atteggiamento che esprimono nei confronti delle religioni tradizionali. La religione civile rappresenta sì una sacralizzazione di un'entità politica, ma non si identifica in modo esclusivo con un movimento politico, accetta il sistema democratico, convive con le religioni istituzionali tradizionali senza identificarsi con nessuna di esse e fa appello al consenso spontaneo per l'osservanza dei comandamenti dell'etica pubblica. La r. p. costituisce invece una sacralizzazione della politica che ha un carattere esclusivo e integralista: impone l'osservanza dei propri comandamenti e la partecipazione al culto politico, santifica la violenza come legittima arma di lotta contro gli avversari, assume nei confronti delle religioni istituzionali tradizionali un atteggiamento ostile, mirando a eliminarle o, al contrario, cerca di stabilire con esse un rapporto simbiotico per incorporarle nel proprio sistema di credenze e di miti, riservando a esse una funzione subordinata e ausiliare. Ovviamente, nella realtà storica questa distinzione analitica non è così netta e precisa, né esclude la possibilità che vi siano fra le due elementi comuni. Una religione civile può, in determinate circostanze, tramutarsi in religione politica.
Il problema della r. p. è tuttora aperto. Ciò non solo per motivi teorici, ma anche per effetto delle nuove e spesso tragiche esperienze di simbiosi fra religione e politica che hanno segnato l'inizio del terzo millennio. Il problema della r. p. non riguarda soltanto il totalitarismo: esso è divenuto nuovamente attuale a seguito delle manifestazioni di nazionalismo religioso e di integralismo teocratico, che hanno suscitato nuove riflessioni sui rapporti fra 'politicizzazione della religione' e 'sacralizzazione della politica'. Gli studi sulle r. p. del Novecento avevano contribuito a rimettere in discussione la teoria della secolarizzazione, intesa come processo irreversibile di 'disincantamento del mondo', con la progressiva scomparsa del sacro dalla società moderna. Ciò infatti nella realtà non è accaduto. Invece che alla scomparsa del sacro dalla vita pubblica, si è assistito all'apparizione nelle società moderne, anche in quelle più avanzate, di nuove forme di sacralizzazione della politica, per le quali le categorie di r. p. e di religione civile risultano inadeguate o fuorvianti. È lecito tuttavia domandarsi quali conseguenze possano avere avuto le esperienze di simbiosi fra religione, politica e modernità sulle nuove forme di politicizzazione delle religioni tradizionali, che egualmente tendono a coniugare, in forma integralista, esclusiva e totalizzante, fede e tecnologia, tradizione e modernità, politica e sacro. Non si potrà affrontare in modo consapevole questo problema se prima non si comprenderà quel che è stata effettivamente la r. p. nel 20° secolo.
BIBLIOGRAFIA
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R. Aron, L'âge des empires et l'avenir de la France, Paris 1946.
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G.L. Mosse, The nationalization of the masses. Political symbolism and mass movements in Germany from the Napoleonic wars through the Third Reich, New York 1974 (trad. it. Bologna 1975).
R.N. Bellah, The broken covenant. American civil religion in time of trial, New York 1975.
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http://opar.unior.it/275/1/Fondamentalismi.pdf
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