venerdì 22 maggio 2015

La chiave del consenso all'Isis

Lorenzo Cremonesi
il consenso che alimenta la forza dell’Isis
Corriere della Sera, 22 maggio 2015




Sono stati dati quasi per sconfitti tante volte, salvo poi scoprire puntualmente che i guerriglieri di Isis restano più che mai vivi e aggressivi. Lo tornano a dimostrare adesso le loro vittoriose avanzate su Ramadi in Iraq e Palmira in Siria.
E ciò per il fatto che noi occidentali ci siamo concentrati sugli aspetti più sanguinari, coreografici e «bombastici» della propaganda del Califfato. Dimenticandone spesso il radicamento politico tra le masse sunnite e i motivi profondi della loro popolarità. Volevano terrorizzarci e trovare nuove reclute con i loro video delle decapitazioni, dei massacri di prigionieri a sangue freddo, le promesse di jihad contro il «covo dei Crociati», Roma. E noi vi abbiamo creduto, altalenando così tra l’inquietudine spaventata e l’analisi autorassicurante delle loro debolezze. L’anno scorso, tra giugno e settembre, ci parevano inarrestabili. Poi vennero i raid americani, le offensive curde, le tenute di Bagdad e Damasco. Le loro sconfitte a Kobane e a Tikrit ci spinsero a cullarci nell’illusione che tutto sommato il problema fosse in via di soluzione.
Non è così. E questo per il fatto che i tagliagole di Abu Bakr al-Baghdadi e dei suoi eventuali successori (sempre che le voci del suo ferimento grave siano vere) sono soltanto la punta dell’iceberg. Il loro fanatismo terrificante trova spazio nell’area grigia e articolata del malcontento sunnita. In Iraq nasce dopo l’invasione americana e la defenestrazione di Saddam Hussein nel 2003, seguite dal crescente monopolio sul potere da parte degli sciiti sostenuti dall’Iran. In Siria ha radici più antiche e ha a che vedere con la frustrazione quarantennale della maggioranza sunnita contro la dittatura alawita (una setta sciita) guidata oggi da Bashar Assad.
Diventa evidente che Isis è parte integrante del molto più vasto conflitto civile tra sciiti e sunniti, misto alla guerra di religione e al braccio di ferro tra potenze regionali (di fronte alla rapida diminuzione dell’antica presenza Usa), che da quasi un decennio ormai lacera il Medio Oriente allargato. Si comprende allora che ridurre Isis a un mero fenomeno terrorista non solo non lo spiega, ma soprattutto non aiuta a combatterlo. I giovani esaltati che dall’Europa ne vanno a infoltire i ranghi e ne rilanciano le deliranti parole d’ordine sui social media sono certo pericolosi, ma tutto sommato marginali.
Occorre invece fare uno sforzo di comprensione delle ragioni sunnite e trovare risposta alle loro richieste politiche. Nelle ultime ore emergono per esempio le condizioni terribili in cui sono tenute le masse di profughi sunniti in fuga da Ramadi verso Bagdad e bloccati nel deserto dal governo del premier Haider al Abadi. Intanto a Najaf e Qarbala le milizie sciite affilano i coltelli. Non è difficile supporre che ciò rafforzerà il consenso per Isis.

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