Massimo Cacciari |
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Ma la nostra sinistra vive ancora nel 900. Altrove le trasformazioni globali hanno creato partiti nuovi e pragmatici contro le disuguagianze. In Italia invece prevale sempre il sonno dogmatico
l'Espresso, 13 marzo 2015
Come si è giunti a una crisi tanto
radicale di quelle correnti politiche che ereditavano in Italia tradizioni,e
uomini, della sinistra novecentesca? Come è possibile che una storia di tale
portata, la storia del “movimento operaio” italiano, sembri contrarsi oggi
all’azione di una minoranza debole e divisa del Partito di Renzi, del tutto
subalterna a fatti e misfatti di quest’ultimo? Le cause sono molteplici, non
c’è dubbio, e anzitutto di ordine materiale: sono strutturalmente mutati i
rapporti di produzione e di classe, è finita l’Italia della grande industria e
dell’“operaio massa”, la grande rivoluzione tecnologica del nuovo Millennio ha
rivoluzionato culture e forme di vita. Ma si tratta di processi irreversibili
che hanno interessato tutte le società europee e hanno più o meno
drammaticamente colpito tutti i loro sindacati e tutte le loro socialdemocrazie.
Perché solo da noi sembrano averne cancellato ogni traccia? E perché in altri
Paesi il loro crollo ha pure prodotto nuovi, giovani movimenti “di sinistra”, i
Podemos e gli Tsipras, mentre in Italia l’immenso spazio politico della
protesta, gli effetti sociali della grande crisi da cui siamo lungi dall’essere
usciti, sono stati capitalizzati esclusivamente dai Grillo e ora pure dai
Salvini? Temo che la domanda nasconda un errore fatale di prospettiva. È
l’asfittica sedicente “sinistra” italiana che si consola collocando nel proprio
solco quelle esperienze. E sperando una propria rinascita sul loro modello. In
realtà esse esprimono proprio l’esaurirsi della “geografia” politica
novecentesca, non hanno nulla a che fare con i contenuti tradizionali di “destra”
e “sinistra”. La loro “ideologia” è un’arma leggerissima, un’“aura” piuttosto
che un’arma, e la loro forza sta nel restare ancorati in modo assolutamente
pragmatico alle ragioni della protesta, e cioè al dilagare delle
disuguaglianze, dell’insicurezza e delle paure. L’agilità tattica con cui si
muove uno Tsipras è la naturale conseguenza di questa collocazione del suo
movimento. Rivolto interamente ad affrontare la crisi nella sua concretezza, a
tentare di rispondere al dramma di chi la vive in carne ed ossa.
Degli orizzonti strategici meglio per ora tacere. La “politica al comando” è un lusso retorico che oggi non ci possiamo permettere. Da questo punto di vista, i Podemos e gli Tsipras appaiono anche mille leghe oltre Madame Le Pen e Monsieur Salvini, zavorrati da arcaiche ideologie regressive. Ma, per analoghi motivi, neppure hanno a che fare con le disperse membra della nostra “sinistra”, che proprio quelle trasformazioni e quella crisi che hanno espresso gli Tsipras non ha saputo né comprendere né rappresentare. Ammesso e non concesso che le nuove forze spagnole e greche possano dirsi “sinistra”, esse sono lontane dalla nostra tadizionale quanto lo è Renzi. Renzi ne esprime il superamento nel senso di un decisionismo populistico, che svuota il ruolo del binomio indissolubile Parlamento-sistema dei partiti. Si tratta di una formidabile tendenza del nostro tempo, che gli eredi del “movimento operaio” si ostinano da decenni a non voler vedere,e quindi a non saper in alcun modo contrastare. I Podemos e gli Tsipras, da parte loro, invece, si oppongono a tale tendenza ricalcando esattamente la figura del tribuno del popolo. La loro è auctoritas tribunicia nel senso più proprio. Ma è estremamente difficile per il tribuno imporre la legge, svolgere duratura azione di governo in perenne lotta col Senato (alias, i “decisori” ultimi delle politiche europee). La cultura politica del tribuno può solo occasionalmente giungere ad esprimere una energia riformatrice, in grado di mutare l’intero assetto della res publica . Abbiamo così una vecchia sinistra conservatrice che si batte contro la prospettiva incarnata da Renzi in nome di principi, regole e assetti istituzionali, estranei ogni giorno di più agli interessi effettivi della base sociale che essa dovrebbe rappresentare - e una “nuova sinistra” di tipo tribunizio, incapace di affrontare la crisi dell’idea stessa di rappresentanza, che stiamo vivendo, al suo livello proprio, quello storico, di sistema.
Una dozzina d'anni fa in Italia si fu sul punto di veder nascere un grande Podemos, che forse avrebbe potuto anche svegliare dal proprio sonno dogmatico la sinistra conservatrice. Ma, ahimè, si rivelò subito che il suo leader (vero Sergio?) era culturalmente consustanziale proprio a quest’ultima… e anche da quell’aborto ci vennero Grillo e grillini. Per molti motivi, per il bene stesso della nostra malatissima democrazia, è sperabile che quella opportunità si ripresenti, ma il dramma di allora ritornerà come pura farsa se saranno gli stessi, insieme ai loro nati stanchi epigoni, a volerla interpretare.
Degli orizzonti strategici meglio per ora tacere. La “politica al comando” è un lusso retorico che oggi non ci possiamo permettere. Da questo punto di vista, i Podemos e gli Tsipras appaiono anche mille leghe oltre Madame Le Pen e Monsieur Salvini, zavorrati da arcaiche ideologie regressive. Ma, per analoghi motivi, neppure hanno a che fare con le disperse membra della nostra “sinistra”, che proprio quelle trasformazioni e quella crisi che hanno espresso gli Tsipras non ha saputo né comprendere né rappresentare. Ammesso e non concesso che le nuove forze spagnole e greche possano dirsi “sinistra”, esse sono lontane dalla nostra tadizionale quanto lo è Renzi. Renzi ne esprime il superamento nel senso di un decisionismo populistico, che svuota il ruolo del binomio indissolubile Parlamento-sistema dei partiti. Si tratta di una formidabile tendenza del nostro tempo, che gli eredi del “movimento operaio” si ostinano da decenni a non voler vedere,e quindi a non saper in alcun modo contrastare. I Podemos e gli Tsipras, da parte loro, invece, si oppongono a tale tendenza ricalcando esattamente la figura del tribuno del popolo. La loro è auctoritas tribunicia nel senso più proprio. Ma è estremamente difficile per il tribuno imporre la legge, svolgere duratura azione di governo in perenne lotta col Senato (alias, i “decisori” ultimi delle politiche europee). La cultura politica del tribuno può solo occasionalmente giungere ad esprimere una energia riformatrice, in grado di mutare l’intero assetto della res publica . Abbiamo così una vecchia sinistra conservatrice che si batte contro la prospettiva incarnata da Renzi in nome di principi, regole e assetti istituzionali, estranei ogni giorno di più agli interessi effettivi della base sociale che essa dovrebbe rappresentare - e una “nuova sinistra” di tipo tribunizio, incapace di affrontare la crisi dell’idea stessa di rappresentanza, che stiamo vivendo, al suo livello proprio, quello storico, di sistema.
Una dozzina d'anni fa in Italia si fu sul punto di veder nascere un grande Podemos, che forse avrebbe potuto anche svegliare dal proprio sonno dogmatico la sinistra conservatrice. Ma, ahimè, si rivelò subito che il suo leader (vero Sergio?) era culturalmente consustanziale proprio a quest’ultima… e anche da quell’aborto ci vennero Grillo e grillini. Per molti motivi, per il bene stesso della nostra malatissima democrazia, è sperabile che quella opportunità si ripresenti, ma il dramma di allora ritornerà come pura farsa se saranno gli stessi, insieme ai loro nati stanchi epigoni, a volerla interpretare.
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