Maurice Genevoix |
Ernst Jünger |
Bernard Maris |
Pierre
Pachet
Due
del 14
L'Indice
... Pierre Pachet, membro con Jean Lacoste e Tiphaine
Samoyault della direzione editoriale della “Quinzaine”, è autore di
un’ampia produzione saggistica, che spazia dal pensiero di Baudelaire
alle vicissitudini culturali e politiche dell’Europa dell’Est (Pachet è
di origine russa) e comprende testi autobiografici di una lucidità
appassionata e rigorosa molto particolare. Grecista in origine, è il
curatore della più recente e autorevole edizione francese della Repubblica di Platone. Uscito in apertura del primo numero di quest’anno della “Quinzaine” (n. 1096, 1°-15 gennaio 2014) con il titolo Deux de 14,
l’articolo commenta il libro di Bernard Maris*, in cui l’esperienza
della prima guerra mondiale, nell’occasione del centenario, è rivisitata
attraverso le testimonianze, esemplari nelle loro contrapposte
sensibilità e visioni, dei due grandi scrittori che si trovarono a
combattere sui due opposti fronti in una medesima battaglia: Maurice
Genevoix (1890-1980), autore di varie memorie e racconti pubblicati tra
il 1916 e il 1923, poi raccolti nel volume Ceux de 14 (1949) ed Ernst Jünger, autore di Tempeste d’acciaio (1920; Guanda, 1990).
Con stupefacente delicatezza
(trattandosi delle atrocità di massa della grande guerra) e con un
costante sforzo d’imparzialità, in questo libro (L’homme dans la guerre. Maurice Genevoix face à Ernst Jünger, pp.
80, € 16,Grasset, Paris 2014) Bernard Maris rimette uno di fronte
all’altro questi due combattenti in campi opposti, feriti lo stesso
giorno sulla cresta di Les Éparges, nella Mosa, il 25 aprile 1915, per
mettere a confronto il modo in cui hanno vissuto e descritto situazioni
simmetriche. In realtà, sono anche due scrittori notevoli, benché
Maurice Genevoix abbia paradossalmente un po’ sofferto del successo dei
suoi racconti sulla Sologne e sugli animali, e degli infiniti dettati
scolastici tratti da Raboliot e da Rroû, dettati
divenuti, temo, troppo difficili per gli alunni di oggi. Bernard Maris
li ha amati: prima Jünger, poi Genevoix (i due d’altronde non si sono
mai né conosciuti né letti), ed ecco che li mette a confronto tra loro.
A meno di sedici anni, Jünger,
dandy e scrittore nato, si arruola per un breve periodo nella legione
straniera, poi parte a diciannove anni per il fronte. È fortunato:
“Ferito quattordici volte, mai gravemente, salvato dalla ferita
riportata a Les Éparges (la sua unità viene decimata), salvato da
un’altra ferita agli inizi della battaglia della Somme, alla quale non
partecipa nei primi giorni (la sua unità è totalmente annientata, non
sopravvive nessuno)”. Nel 1918, riceve la croce “al merito”; sarà
l’ultimo tedesco a portarla quando morirà, a 102 anni, divenuto “il
sopravvivente” nel senso sinistro che Elias Canetti dà a questo termine
in un capitolo di Massa e potere. Il suo libro magnifico e spaventoso, Tempeste d’acciaio,
più volte riscritto, dal 1918 al 1978 (“i suoi curatori nella “Pléiade”
rilevano 2500 varianti”), è uno dei più belli e dei più veri su quello
che fu la prima guerra mondiale.
Nel 1915, Genevoix ha ventiquattro
anni. È uno studente brillante (primo in graduatoria all’École normale
supérieure), noncurante e seduttore; la guerra ne fa uno scrittore e un
guerriero, un capo preoccupato di far cessare il panico e di risparmiare
le vite dei suoi uomini. Incidentalmente, Bernard Maris confuta la
frase “stupida” di Barbusse, che in Le Feu scrive: “Non ci sono
quasi intellettuali, artisti o ricchi che durante questa guerra abbiano
rischiato la vita nelle trincee, se non di sfuggita, né kepi
gallonati”. Maris: “I gallonati, dell’École normale o della scuola
militare di Saint Cyr si son fatti massacrare più degli altri...
Quattrocento normaliens mobilitati, duecento uccisi”. L’enorme e ammirevole libro di Genevoix Ceux de 14
non fu riscritto. Fu censurato perché descriveva “le scene di panico,
le violenze fatte alla popolazione, ai prigionieri… la stupidità degli
ordini.” La sua prima parte, Sous Verdun, non ebbe il premio
Goncourt nel 1916 perché scritta “con troppa semplicità, senza il velo
del pacifismo o della lezione a posteriori che lo fecero ottenere a
Barbusse. Anche Genevoix scampò alla morte grazie alla terribile ferita
riportata a Les Éparges.
Jünger e Genevoix uccidono
entrambi, spesso con gioia. Ma nel combattimento Genevoix, a differenza
di Jünger, quando cade uno dei suoi soldati, avverte con pietà e dolore
la scomparsa di un individuo, e il vuoto che quella morte apre nella
catena umana, nella catena della vita. Li guarda sfilare, con uno
sguardo che si fa acuto: “Commessi, contabili, ortolani di periferia,
vignaioli della Champagne, eccoli, bruni o biondi, come lo si era
qualche tempo fa, alcuni brutti, altri sporchi, altri rimasti belli e
consapevoli di esserlo. Eccoli che arrivavano da tutte le parti,
sradicati, ammucchiati. Si scorgeva ancora, su di loro, qualche
brandello di quella che era stata la loro vita”. Il suo sguardo si
affina ancora, scende nei particolari, si attarda su quel che sarà
distrutto: “Uno alto, ossuto, con la pelle conciata dal sole e gli occhi
quasi febbrili sul naso con una gobba, l’altro piccolo, grassoccio, con
gli occhi ridenti, le guance rosee, la barba bruna ricciuta…”.
Anche Jünger sa soffermarsi sugli
uomini, ma troppo spesso le sue idee sulla storia e sul destino delle
civiltà vengono in primo piano: “Meglio sprofondare come una meteora in
un nugolo di scintille che spegnersi vacillando a fuoco lento”, scrive a
vent’anni. E anche: “La morte per una convinzione è il supremo
compimento. In questo mondo imperfetto è qualcosa di perfetto”. Nel
tessere il suo commento, Maris evidentemente riabilita Genevoix, e non
soltanto perché ne ha sposato la figlia, Sylvie. Si schiera dalla parte
dell’amore per la vita, della compassione per coloro che soffrono e
presto moriranno, ricollegandosi esplicitamente alle riflessioni di
Simone Weil sulla bellezza dell’Iliade (L’Iliade ou le poème de la force, 1941). Adolescente, Maris si era esaltato alla lettura di Avvicinamenti. Droghe ed ebbrezza (ed. orig. 1970, Multhipla, 1982), nonché a quella di Boschetto 125. Una cronaca delle battaglie in trincea nel 1918 (ed. orig. 1925, Guanda, 1999) e dell’inquietante Der Kampf als inneres Erlebnis (1922, “La lotta come esperienza interiore”). Nella maturità, lui che fu un economista, per usare le sue stesse parole, “in crisi”, si corregge senza rinnegarsi.
Due scrittori paralleli,
combattenti diversi, amici, in modo diverso, della vita e delle bestie
(cavalli, insetti, animali della foresta). E una strana situazione:
Jünger (grazie all’ammirazione di Julien Gracq, e forse anche a quella
di François Mitterrand) è celebre in Francia anche più che in Germania.
Julien Hervier, che ha tradotto parecchie sue opere, pubblica ora presso
Fayard una biografia molto completa (Ernst Jünger dans les tempêtes du siècle),
ricca di puntualizzazioni precise su questo personaggio, contestato nel
suo paese per il suo militarismo, il suo nazionalismo e le sue amicizie
a volte compromettenti. Jünger ora è nella “Pléiade”. E Genevoix, che
non fu mai un ideologo, ma seppe osservare e descrivere
incomparabilmente gli esseri viventi minacciati dalla morte, che fu
stimato da de Gaulle e a cui Gaston Gallimard aveva promesso di
pubblicare le sue opere in quella stessa collezione? Genevoix dovrebbe
esserci anche lui, nella “Pléiade”. La sua opera merita di essere letta e
amata.
(Trad. dal francese di Mariolina Bertini)
(*) Bernard Maris
Bernard Maris, nato a Tolosa nel 1946 e assassinato il 7 gennaio nell’agguato alla redazione di Charlie Hebdo che ha fatto 12 vittime, era un economista molto noto, capace di comunicare con stile e ironia anche i concetti più complicati. Oncle Bernard, come si firmava su Charlie Hebdo di cui era un pilastro, aveva delle rubriche in tv e alla radio pubblica France Inter. Con melanconia, difendeva l’idea di un’economia alternativa alla “furia del capitalismo”, dove la gratuità e il dono hanno il loro spazio importante.
Professore all’università e autore di romanzi, ha dedicato un libro a Keynes (Keynes ou l’économiste citoyen, 1999) e i sue due Antimanuels d’économie (2003, 2006) sono dei punti di riferimento. Ha partecipato a Attac, politicamente aveva un retroterra socialista ma ultimamente di era avvicinato ai Verdi. Guardava con disincanto i socialisti, ridotti a “gestori” il cui unico progetto era diventato quello di “farci uscire dal deficit di bilancio”.
Ultimamente, aveva uno sguardo disincantato sull’euro, di fronte a un’Europa sempre più “balcanizzata”. Incrociava l’economia con la letteratura, amava Balzac, Zola, e di recente, sorprendentemente, aveva apprezzato Houellebecq che, ne La carte et le territoire, secondo lui era “riuscito a cogliere il malessere economico che incancrenisce la nostra epoca”. Il keynesiano iconoclasta dal 2011 era nel consiglio generale della Banque de France. (Anna Maria Merlo)
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