Claudia Mancina
La candidatura di Mattarella al Colle è stata salutata con
entusiasmo dalla minoranza Pd, perché segna una rottura, o almeno una
sospensione, del patto del Nazareno. Tuttavia questa candidatura segna
anche una netta e forse definitiva sconfitta della "ditta". Arriva
infatti dopo l'esclusione di tutti gli ex-segretari Ds e più in generale
di tutti gli esponenti provenienti da quell'area. Come dire che, finita
l'era di Napolitano, che ha portato al Quirinale il meglio della
tradizione comunista, non ci saranno più persone di quella provenienza
nelle principali posizioni istituzionali. E' un passaggio che merita di
essere sottolineato. Guardiamo un attimo indietro. Fino a Renzi, nel
centrosinistra era in qualche modo scontato che la leadership
appartenesse agli ex-comunisti. Non solo per una questione di numeri;
anche per la pretesa di questi di essere loro, e solo loro, i portatori
della moderna cultura politica della sinistra. Gli altri gruppi, anche i
cattolici democratici (Popolari, poi Margherita), erano guardati con
aria di superiorità. Da un lato se ne aveva bisogno per acquistare
legittimazione a governare; dall'altro si tenevano fermamente le
distanze. Così nel 1996 il Pds non candidò il suo segretario D'Alema, ma
il cattolico di sinistra Prodi, dando vita all'esperienza dell'Ulivo.
Il Pds però non volle mai farne un nuovo soggetto politico, nel quale le
diverse tradizioni del centrosinistra potessero mescolarsi, e si
impegnò invece a impedire la crescita dell'Ulivo, per la quale i collegi
uninominali della legge Mattarella avrebbero offerto un ideale terreno
di coltura. La conseguenza fu l'indebolimento progressivo del governo
Prodi e la delusione di moltissimi elettori e simpatizzanti che erano
stati attratti dalla novità politica dell'Ulivo. Fu perduta allora
un'occasione storica irripetibile. Si rinunciò a costruire qualcosa di
nuovo e il maggior partito della sinistra perse credibilità e capacità
espansiva. I dirigenti ex-comunisti, che hanno sempre detenuto la
leadership effettiva, sono responsabili del fallimento di quella
stagione e di tutte le successive sconfitte del centrosinistra. Sono
responsabili del deperimento del partito, soffocato dagli antagonismi
interni ma anche dall'incapacità di tutti gli ex-comunisti (con
l'eccezione di Veltroni, che però non è riuscito a incidere) di avviare
una vera trasformazione della cultura politica, che si è sviluppata in
modo confuso e contraddittorio, con un tessuto di fondo fatto di
sopravvivenze della vecchia cultura comunista e sporadici innesti
liberali o blairiani. Certo, non sono mancate anche responsabilità degli
ex-democristiani; ma erano gli altri ad avere il volante in mano, e
quindi oggi ricade su di loro il giudizio della storia.
L'avvento
di Renzi alla segreteria del partito, conquistata con primarie non
preconfezionate ma autentiche e combattute, ha segnato la fine della
lunga vicenda dell'ex-Pci. Non può stupire che il segretario abbia
scelto Mattarella; non solo, crediamo, per un presunto veto di
Berlusconi agli ex-segretari, ma per una sua estraneità di fondo a quel
gruppo dirigente della "ditta" che somiglia troppo a un nido di vipere.
Mattarella non è solo una persona per bene e un politico di fine
intelligenza, come sa chi lo ha frequentato. E' anche, tra tutti gli
ex-democristiani, il più aperto alla modernizzazione del nostro sistema
democratico, in quanto autore della legge elettorale maggioritaria che
porta il suo nome e che molti rimpiangono. E' dunque la fine della
sinistra ex-comunista? In un certo senso sì. Del resto, le frequenti
denunce di mutazioni genetiche del Pd segnalano questo timore; non a
caso Renzi viene visto come un alieno, un invasore, e la sua leadership
viene continuamente contestata. Ma chi interpreta questo passaggio come
una vittoria democristiana si sbaglia. Se ci si pensa, è assurdo che, a
otto anni dalla nascita del Pd e a venti dalla nascita dell'Ulivo,
ancora si distingua tra comunisti e democristiani. In un nuovo soggetto
politico le vecchie identità dovrebbero mescolarsi. Non si dovrebbe più
sentire il bisogno di sottolineare le provenienze. Perché quel che conta
è dove si sta e dove si va, insieme. La sconfitta di oggi può essere il
suggello di una nuova e più felice stagione.
P.S. Auguri Presidente!
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