CHI ci
credeva più, in mezzo alla gran confusione del mondo, che esistessero i
buoni e i cattivi? Ai curdi di Kobane, e soprattutto alle loro
meravigliose donne in armi e in festa, dobbiamo questa rivelazione. La
sensazione di festeggiare davvero una vittoria del bene sul male non è
frequente, e a volte si rivela solo un abbaglio ideologico che gli anni
si incaricano di smentire. Questa volta no, un esercito di giusti e di
liberi ha respinto un esercito di lugubri fanatici, la parola
“liberazione” scintilla in tutta la sua semplice potenza. Per giunta,
circostanza non comune negli ultimi anni, le armi occidentali hanno
fiancheggiato (miracolo!) la parte giusta, a costo di irritare la
Turchia che è ampiamente sospettata di parteggiare, in chiave anticurda,
per il Califfato.
Nell'ottimo, emozionante reportage a fumetti di
Zerocalcare sul numero scorso dell'Internazionale, la comunità curda di
Kobane e dei campi profughi emerge per valore politico ben prima che
militare: una comunità di musulmani “riformati” che ha abolito i
matrimoni combinati, riconosce pari diritti alle donne, adotta
l’autogestione, coltiva la tolleranza. Che l'Isis nutra odio contro
quella comunità è perfino ovvio. Un Islam civile e “moderno” distrugge
l’idea stessa di “guerra di civiltà” che piace tanto ai fanatici di
quella parte e di questa. (
Michele Serra, L’amaca, la Repubblica 29 gennaio 2015)
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