venerdì 30 gennaio 2015

Tronti nel bene e nel male

Simone Lorenzati
MARIO TRONTI: UN OPERAISTA NEL PD


a proposito di Franco Milanesi, Nel Novecento. Storia, teoria, politica nel pensiero di Mario Tronti, Mimesis Edizioni, 297 pag. 22 euro

Mario Tronti è il presidente del Centro Studi e Iniziative per la Riforma dello Stato, nonché senatore in forza al Partito Democratico. E sulla storia del suo pensiero e sulle sue teorie si concentra un recente e approfondito volume di Franco Milanesi, edito da Mimesis: Nel Novecento

Il volume propone, in sette capitoli densi e ben strutturati, una scansione temporale le cui tappe coincidono con le diverse formulazioni del pensiero trontiano. Tronti è conosciuto innanzitutto per la sua brillante e singolare visione dell'operaismo, esperienza che mette le proprie radici negli anni Cinquanta e Sessanta (passando da "Quaderni Rossi" a "Classe Operaia"). Tuttavia egli non è solo questo. Intanto non è un marxista classico, o lo è in modo indiretto essendo assai più influenzato dal pensiero di Galvano Della Volpe che non da quello del padre fondatore. E poi è particolare anche nel rapporto con il Pci, dal quale non si allontanerà mai del tutto ("Il Pci non nasce nel 21 a Livorno, bensì con la togliattiana svolta di Salerno del 44"). La sconfitta operaia a metà degli anni Cinquanta è per Tronti dovuta ad una mancanza del fattore organizzativo, indispensabile per avere la meglio in una politica vista come eterno conflitto. E la linea continua anche successivamente, passando anche attraverso momenti positivi, fino agli anni Ottanta. Da qui in poi, con l'affermazione neoliberista, vi è una sostanziale restaurazione caratterizzata da un forte ridimensionamento del politico a favore dell'economico, dalla riduzione della politica a mera amministrazione, dallo smantellamento di partiti a favore di leader mediatici e populisti. 
Dunque, che fare? - avrebbe detto Lenin. Per Tronti occorre aggrapparsi alle differenze, quelle differenze in grado di riscrivere i confini della parte, tracciare nuovi valori, creare cultura ed organizzazione al fine di riprendere nuovamente il conflitto. L'operaio massa lascia, infine, il posto a quello immateriale: il metodo individua, quindi, sempre una figura, una tendenza, un settore avanzato che diventa la nuova scommessa politica su cui puntare. Può sembrare un colpo d'ala teorico, mentre è un artificio retorico: a ogni svolta della storia spunta l'identificazione provvisoria e fragile con una figura che il prestigiatore tira per l'occasione dal cappello*. Sulla nuova, presunta figura egemone si puntano come alla roulette le proprie speranze e il proprio azzardo politico. Non è una specialità di Tronti, anche altri esponenti del pensiero operaista, Toni Negri in particolare (le moltitudini), hanno ritenuto in tal modo di poter mantenere un qualche fondamento per il loro approccio e di salvare l'impresa teorica.




(*) Oggi dobbiamo trovare un’operazione analoga dentro alle forme del lavoro contemporaneo. Oltre al lavoro precario che è già noto, bisogna pensare alle forme del lavoro che vengono fuori dal contesto universitario, a quelle forme di lavoro immateriale collegate alla formazione, produzione e organizzazione di sapere. Dove questo può essere un elemento scardinante del sistema di poteri? In che modo questi tipi di lavoro possono riconoscere in se stesso il proprio nemico? Io sono convinto che se dall’università si acquisisce un sapere, questo sapere è un’acquisizione che bisogna riconoscere come qualcosa a cui contrapporsi. Non prendere il sapere come una conquista che il sistema ci consegna, ma al contrario una cosa contro cui dobbiamo stare: stare contro questo sapere.
http://www.commonware.org/index.php/gallery/71-conclusioni-tronti

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