Simone Lorenzati
MARIO TRONTI: UN OPERAISTA NEL PD
a proposito di Franco Milanesi, Nel Novecento. Storia, teoria, politica nel pensiero di Mario Tronti, Mimesis Edizioni, 297 pag. 22 euro
Mario
Tronti è il presidente del Centro Studi e Iniziative per la Riforma
dello Stato, nonché senatore in forza al Partito Democratico. E sulla
storia del suo pensiero e sulle sue teorie si concentra un recente e
approfondito volume di Franco Milanesi, edito da Mimesis: Nel Novecento.
Il volume propone, in sette capitoli densi e ben strutturati, una
scansione temporale le cui tappe coincidono con le diverse formulazioni
del pensiero trontiano. Tronti è conosciuto innanzitutto per la sua
brillante e singolare visione dell'operaismo, esperienza che mette le
proprie radici negli anni Cinquanta e Sessanta (passando da "Quaderni Rossi" a
"Classe Operaia"). Tuttavia egli non è solo questo. Intanto non è un
marxista classico, o lo è in modo indiretto essendo assai più influenzato
dal pensiero di Galvano Della Volpe che non da quello del padre fondatore. E poi è particolare anche nel
rapporto con il Pci, dal quale non si allontanerà mai del tutto ("Il Pci
non nasce nel 21 a Livorno, bensì con la togliattiana svolta di Salerno
del 44"). La sconfitta operaia a metà degli anni Cinquanta è per
Tronti dovuta ad una mancanza del fattore organizzativo, indispensabile
per avere la meglio in una politica vista come eterno conflitto. E la
linea continua anche successivamente, passando anche attraverso momenti
positivi, fino agli anni Ottanta. Da qui in poi, con l'affermazione
neoliberista, vi è una sostanziale restaurazione caratterizzata da un
forte ridimensionamento del politico a favore dell'economico, dalla
riduzione della politica a mera amministrazione, dallo smantellamento di
partiti a favore di leader mediatici e populisti.
Dunque, che fare? -
avrebbe detto Lenin. Per Tronti occorre aggrapparsi alle differenze,
quelle differenze in grado di riscrivere i confini della parte,
tracciare nuovi valori, creare cultura ed organizzazione al fine di
riprendere nuovamente il conflitto. L'operaio massa lascia, infine, il
posto a quello immateriale: il metodo individua, quindi, sempre una
figura, una tendenza, un settore avanzato che diventa la nuova scommessa
politica su cui puntare. Può sembrare un colpo d'ala teorico, mentre è un artificio retorico: a ogni svolta della storia spunta l'identificazione provvisoria e fragile con una figura che il prestigiatore tira per l'occasione dal cappello*. Sulla nuova, presunta figura egemone si puntano come alla roulette le proprie speranze e il proprio azzardo politico. Non è una specialità di Tronti, anche altri esponenti del pensiero operaista, Toni Negri in particolare (le moltitudini), hanno ritenuto in tal modo di poter mantenere un qualche fondamento per il loro approccio e di salvare l'impresa teorica.
(*) Oggi dobbiamo trovare un’operazione analoga dentro alle forme del lavoro
contemporaneo. Oltre al lavoro precario che è già noto, bisogna pensare
alle forme del lavoro che vengono fuori dal contesto universitario, a
quelle forme di lavoro immateriale collegate alla formazione, produzione
e organizzazione di sapere. Dove questo può essere un elemento
scardinante del sistema di poteri? In che modo questi tipi di lavoro
possono riconoscere in se stesso il proprio nemico? Io sono convinto che
se dall’università si acquisisce un sapere, questo sapere è
un’acquisizione che bisogna riconoscere come qualcosa a cui
contrapporsi. Non prendere il sapere come una conquista che il sistema
ci consegna, ma al contrario una cosa contro cui dobbiamo stare: stare
contro questo sapere.
http://www.commonware.org/index.php/gallery/71-conclusioni-tronti
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