Renzo Guolo
La nuova sfida dell’Islam
La strage di Parigi rimanda anche alla mancata riforma della religione musulmana
Una nuova èra che può avere il suo fulcro proprio in Europa
la Repubblica, 21 gennaio 2015
DOPO Parigi, l’Islam è nuovamente stretto tra i jihadisti che ne
reclamano la guida e la mobilitazione di quanti, evocando il burqa sul
volto insanguinato della Marianna e il vessillo nerocerchiato sui
simboli della cristianità, mettono sotto accusa non solo gli islamisti
radicali e la loro pratica terroristica ma i musulmani in quanto tali.
La
maggioranza dei musulmani ritiene che il fattore religioso sia
secondario nella logica d’azione jihadista. Per i cantori dello scontro
di civiltà vi è, invece, automatica equazione tra religione e violenza.
Islam e jihadismo, inteso come combattimento militare e missionario,
anzi militare proprio perché missionario, coinciderebbero. Tesi, non
casualmente condivisa dai radicali, alla quale la maggior parte dei
musulmani replica che «l’Islam è una religione di pace». Eppure,
nonostante quella radicale sia un’ideologia politica, un’incursione sul
terreno della religione non può essere del tutto esorcizzata. Se non
altro perché gli islamisti la usano come repertorio simbolico che
alimenta la logica amico/nemico.
Vi sono nodi della religione, come
istituzione e organizzazione prima ancora che come credenza, che non
possono essere elusi nemmeno da quanti non condividono quell’ideologia.
Ad esempio l’interpretazione dei testi, decisiva in una religione del
Libro, e della Legge, come l’Islam. L’essere religione senza centro,
senza gerarchia capace di imporre un dogma, pone all’Islam, tutt’altro
che monolitico, un serio problema di frammentazione. Negli ultimi
decenni le istituzioni e le figure deputate a custodire la tradizione
sono state contestate dagli islamisti per aver messo la religione al
servizio del potere. La delegittimazione dei governanti è diventata così
delegittimazione di teologi e giuristi. E il campo religioso musulmano
si è ritrovato senza guardiani dei confini. Un vuoto che ha accentuato
una sorta di protestantizzazione dell’Islam già in corso, con i testi
sacri divenuti oggetto di interpretazione libera. Lungi dal favorire una
concezione meno dogmatica della fede, questo processo ha prodotto una
lettura più rigida e militante.
Anche perché, invece di portare sino
in fondo la destrutturazione del campo religioso e rivisitare la
teologia in senso più aperto, gli esperti, anche su pressione dei regimi
che temevano per la loro stabilità, hanno inseguito il movimento
islamista sul terreno dell’ortodossia. Nel tentativo di arginarlo
mediante la ricostruzione di un nuovo, impossibile “consenso della
comunità”. Tentativo che i radicali, decisi a eliminare ogni forma di
mediazione sapienziale che non sia quella dei loro leader spirituali o
quella emersa dalla prassi della comunità del fronte, hanno comunque
ignorato. L’esito: un nuovo, stringente tradizionalismo, intriso di
matrici salafite, senza che il fenomeno radicale venisse contenuto.
Ancora:
la questione della “porta della riflessione”. Nel X secolo umanissime
menti hanno dichiarato chiuso lo studio della teologia e del diritto,
che hanno le medesime fonti. Una decisione che, insieme alla sconfitta
del movimento razionalista e la conseguente vittoria dei letteralisti,
fautori del dogma del Corano come increato, parola di Dio eterna e
immodificabile, fa dell’Islam, contrariamente a Cristianesimo e
Ebraismo, una religione che rifugge dall’innovazione. Una scelta che ha
impedito all’Islam di affrontare, con strumenti adeguati, la modernità,
la separazione tra religione e cultura, la secolarizzazione,
l’individualismo. E che in seguito non ha facilitato l’impatto con
l’Occidente, vissuto come minaccia identitaria. Anche quando non si
presentava con il volto arcigno del dominio politico e militare. Una
percezione che gli islamisti radicali descrivono come westoxification,
intossicazione da Occidente, e ritengono la principale causa del declino
dell’Islam.
Questioni, come molte altre, che rinviano al tema della
mancata riforma dell’Islam. Una riforma che può avere uno dei suoi poli
proprio in Europa, dove l’Islam è minoranza, non ha evidenza sociale e
normativa, e il credente può vivere la fede anche come scelta
individuale. E le comunità, con le loro richieste di riconoscimento e
negoziazione rivolte alle istituzioni, sono costrette a pensarsi come
parte di un ambiente pluralistico. È in un simile contesto che la
religione può essere ripensata, anche se non diventare necessariamente
questione privata. Attrezzandosi per affrontare le sfide della modernità
e della democrazia così come quelle, assai temibili, portate da
fighters non più foreign.
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