lunedì 19 gennaio 2015
Signora Mullova, può rievocare Abbado?
Leonetta Bentivoglio
Viktoria ricorda
Mullova e la forza di Abbado “Un maestro generoso la musica era la sua parola”
La grande violinista in tour nel nostro paese con la pianista Labèque
Un anno fa la scomparsa del direttore d’orchestra, padre di suo figlio
la Repubblica, 19 gennaio 2015
Claudio non “spiegava” i compositori, non teorizzava mai era concreto e intuitivo come me
Ho esteso il mio repertorio a Miles Davis ma senza rinunciare alla classica e alla romantica
ROMA. SPICCA in primo piano sull’elegante sito di Viktoria Mullova l’immagine di una donna seria e bellissima, uno sguardo pieno d’ombre, da indecifrabile diva moderna. A fianco è posta la foto di una bimba dall’aria cupa che suona un violino quasi più grande di lei. Sono i ritratti di Viktoria adesso e in un lontano ieri, a quattro anni, quando studiava musica nella sua Russia. E dal volto della Mullova in versione adulta affiora la stessa indole riottosa di quella minuta e arrabbiata enfant prodige.
Parliamo di una delle più geniali e acclamate violiniste emerse a fine Novecento. Nata a Mosca nel 1959, con il passare del tempo Viktoria è divenuta ancora più maliarda, come una delle modelle over 50 che oggi si vedono sulle riviste femminili più raffinate. Senz’averla logorata, la sua vita clamorosa e intrepida (nei primi anni Ottanta fuggì dall’Urss in modo drammatico e spettacolare) le ha dato un ulteriore guizzo magico e un eclettismo che le consente di dominare un’incredibile ampiezza di repertorio. Oggi fronteggia, con la medesima souplesse, musica barocca e sperimentale, romantica e world fusion. Stupisce l’intesa che questa fuoriclasse, riservata e chiusa fino alla durezza, ha stabilito con Katia Labèque, showoman travolgente al pianoforte, estroversa e impulsiva. Negli ultimi anni Viktoria e Katia si sono esibite spesso insieme, nel segno di una complementarietà «fondata sulla comune predilezione per la ricerca del nuovo», racconta Mullova, attesa in concerto con la pianista francese domani a Milano (per la Società del Quartetto). Il tour parte da Genova oggi e tocca anche Mantova (22), Firenze (24), Trieste (26), Vicenza (27) e Torino (28). «Ci piace, con Katia, avventurarci su strade inesplorate», spiega la violinista. «Siamo interpreti diverse ma con obiettivi analoghi, come la poliedricità e l’interesse per le operazioni trasversali. Oltre a Mozart, Schumann e Ravel, nel programma che portiamo in Italia figurano autori originali del nostro tempo quali Arvo Pärt e il giapponese Toru Takemitsu, la cui mirabile dimensione armonica attinge da Debussy». Nella data del concerto milanese cadrà un anno esatto dalla morte di Claudio Abbado, padre del 24enne Misha, uno dei tre figli di Viktoria. L’indimenticabile direttore d’orchestra italiano visse e lavorò a lungo con l’affascinante moscovita.
Signora Mullova, può rievocare Abbado?
«Era uno straordinario e generoso musicista: mi ha insegnato molto. Musicalmente, assai più che con le parole, comunicava tramite la sua energia e il suo carisma».
Aveva infatti fama di uomo poco loquace, anche durante le prove.
«La verità è che Claudio poteva parlare molto di musica. Ricordo certi suoi catturanti dialoghi con Maurizio Pollini sulla maniera in cui affrontare i tempi di alcuni brani. Però Abbado non “spiegava” i compositori. Non teorizzava mai. Non era astratto. Era concreto e intuitivo. Come me».
Vostro figlio ha ereditato la musicalità dei genitori?
«Fa musica con grande talento e ha un gruppo jazz dove suona il basso».
Lei vive da tempo a Londra con suo marito, il violoncellista Matthew Barley, col quale realizza programmi jazz e folk. Dai Berliner Philharmoniker e Alban Berg è passata a Miles Davis e ai Weather Reports. Metamorfosi sconvolgente… «Più che trasformarmi ho esteso il mio viaggio. Resta sempre forte e irrinunciabile la mia relazione con la musica classica e romantica. Quest’anno, fra l’altro, suonerò tanto Sibelius e Shostakovich, e sarò in tournée con l’orchestra The Age of Enlightenment eseguendo il Concerto per violino di Brahms».
Prosegue la sua collaborazione con Barley?
«Certo. Dopo il successo di Peasant Girl, un progetto che indagava gli intrecci profondi tra musica gipsy, classica e jazz, ora è andato in porto Stradivarius in Rio, ispirato dal mio amore per la musica e le canzoni brasiliane, con pezzi di Antonio Carlos Jobin, Caetano Veloso e Claudio Nucci. Abbiamo registrato un disco a Rio e ci attende un tour che include Milano il 15 marzo».
Tra i suoi due pregiatissimi strumenti settecenteschi, uno Stradivarius “Jules Falk” e un Guadagnini, qual è il preferito?
«Suono il Guardagnini, con corde di budello, per Bach, Vivaldi, Mozart e Beethoven, mentre per la musica a loro successiva scelgo lo Stradivarius, con cui ho forse sviluppato un rapporto più intenso, dato che siamo inseparabili dall’85».
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