Federico
Geremicca
A rischio la sintonia con il Paese
La Stampa, 7 gennaio 2015
Sono stati giorni non
facili, gli ultimi, per il premier Matteo Renzi. A volerla dire
tutta, anzi, le due settimane appena trascorse sarebbero
letteralmente da buttar via. Una inebriante miscela fatta di eccesso
di sicurezza, superficialità e senso di onnipotenza, ha infatti
prodotto errori, scivoloni e forzature delle quali non si sentiva
affatto la mancanza: soprattutto in un momento delicato come questo.
Se è a un tale modo di
governare che il premier si riferiva con il suo ormai noto «meglio
arrogante che disertore», ebbene quel modo - in tutta evidenza - non
va: e all’ex sindaco di Firenze andrebbe ricordato che tra il
disertare e il maramaldeggiare vi sono infinite - e spesso utilissime
- vie di mezzo. Non percorrerle, a volte può rivelarsi errore
fatale.
Quel che più colpisce
nelle ultime gravi disavventure di Renzi (citiamo per tutte il caso
del volo di Stato per Courmayeur e la cosiddetta norma fiscale
«salva-Berlusconi») è che sembrano segnalare l’improvviso
smarrimento della caratteristica che in quest’ultimo anno ha fatto
del segretario-premier un leader popolarissimo e a suo modo diverso:
la sintonia con il «comune sentire» della maggioranza dei cittadini
italiani.
Infatti, avventurarsi con tanta
disinvoltura nei campi minati rappresentati dai «privilegi della
casta» e dall’evasione fiscale (soprattutto se riferibile anche a
Silvio Berlusconi) è idea che, ancora qualche mese fa, non avrebbe
mai nemmeno sfiorato il presidente del Consiglio. Il fatto che questo
accada oggi, invece, testimonia - a parte tutto il resto - l’aprirsi
di un solco insidioso e di una grande distanza dal «sentimento
pubblico» che rischiano di fare di Renzi un premier non poi così
diverso dai suoi predecessori.
... Da quando è entrato nel tunnel del
patto del Nazareno, Berlusconi ha visto il proprio declino
accelerare. Oggi è un leader apertamente contestato all’interno
del suo partito, ha perso tutte le elezioni svoltesi, secondo alcuni
sondaggi è a capo addirittura della quarta forza politica del Paese
(superato perfino dalla Lega) ed è opinione diffusa che pagherebbe
di tasca propria per non restar tagliato fuori dall’elezione del
nuovo presidente. Se fosse perfino ricandidabile alle prossime
elezioni, l’en plein per Renzi sarebbe completo: considerato che
giudica il Cavaliere - e forse non a torto - come il miglior
avversario possibile in un duello elettorale.
Comunque stiano le cose,
molte risposte non tarderanno ad arrivare, visto che il premier va
incontro ad un gennaio cruciale. Lo comincia nel modo peggiore: col
«vento in faccia», direbbe lui. Il guaio è che all’inevitabile
vento della crisi, il governo ci sta aggiungendo del suo: segno di
superficialità e confusione. Viatico pessimo per l’imminente
battaglia del Quirinale...
Gli errori del premier
la Repubblica, 7 gennaio 2015
Il problema non sono i dubbi o i sospetti. La vera questione sono gli interrogativi senza risposta che alimentano quei dubbi e quei sospetti. Le forme con cui il decreto fiscale è stato approvato e il suo contenuto stanno lasciando sul terreno troppe domande inevase. Troppe le eccezioni e troppe le opacità. A cominciare da quella soglia del tre per cento che — se confermata — di fatto concederebbe a Silvio Berlusconi di aggirare la legge Severino e tornare alla politica attiva.
Anche ieri il presidente del Consiglio ha fatto poco per diradare le nubi. Da quattro giorni non si riesce a capire chi ha deciso di inserire quella norma e chi l’ha concretamente scritta. Un classico balletto dello scaricabarile che soprattutto tra sabato e domenica ha reso la vicenda ancor più nebulosa. Ma in politica l’assenza di chiarezza si paga, sempre. Più l’incertezza viene mantenuta nel tempo più le domande crescono. E quasi sempre il consenso scende. Anche per questo l’annuncio di rinviare al 20 febbraio l’approvazione finale del testo non può che suscitare ulteriori perplessità.
È inutile girarci attorno. La vera domanda cui Renzi deve rispondere — non solo perché la pongono i giornali, ma perché se lo chiedono anche gli elettori del suo partito — è se l’articolo 19 bis sia stato studiato in quei termini per fare un favore a Berlusconi. Allontanando il momento della scelta, questa domanda sarà la spada di Damocle dell’intera trattativa prima sulla legge elettorale all’esame del Senato e poi — in modo particolare — sul Quirinale. L’impressione offerta è quella di voler creare un inevitabile nesso tra il “Salva-Silvio” e il nuovo capo dello Stato. Come se il leader di Forza Italia venisse chiamato ad accettare il candidato proposto da Palazzo Chigi in cambio di quel codicillo.
Il premier anche ieri ha ripetuto che non è quella la ratio della legge. Bene. E allora perché non definire subito la questione? Sarebbe il modo più semplice per rendere il caso di un’evidenza palmare. Il sospetto di un accordo sottobanco, invece, rischia di condizionare la corsa al Colle, di indispettire l’opinione pubblica e irritare molti dei suoi parlamentari ingrossando la pattuglia dei franchi tiratori.
Anche il ribadire che la pena inflitta all’ex Cavaliere sarà scontata fino alla fine lascia un ampio margine di ambiguità. La pena, infatti, come è noto, sarà esaurita tra pochissimo, a metà febbraio. Anche per l’interdizione dai pubblici uffici non si dovrà attendere le calende greche: terminerà alla fine di quest’anno. Resta in ballo la legge Severino che esclude Berlusconi dagli incarichi pubblici per altri quattro anni. Il leader di Forza Italia sconterà per intero anche questa sanzione? È di sicuro comprensibile sostenere che se si considera giusto e corretto l’impianto di un provvedimento, non conta chi viene danneggiato e chi viene premiato. Ma allora lo si dica. E non si lasci appeso quell’articolo al filo della presidenza della Repubblica. Come se fosse il premio finale per chi si comporta bene. Perché allora il sospetto di un baratto diventerà il vero oggetto della discussione e non la selezione della figura più adatta per il dopo-Napolitano.
... Naturalmente non si può escludere che si tratti solo di un incidente di percorso o di una svista. Ma allora sarebbe ancora più semplice esporre tutto alla luce del sole. E non procrastinarlo di un mese e mezzo. I sospetti e i dubbi, quando non vengono sciolti, diventano una debolezza. Soprattutto ai tempi della politica 2.0.
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