Il
tratto saliente che caratterizza il legame di Rousseau con le donne amate
risulta essere la delega di ogni iniziativa e dell'intera gestione del
rapporto amoroso all'altra, in una sorta di rinuncia a priori ad un confronto
sentito come inquietante, fonte di seducenti promesse, ma anche di
imprevedibili minacce.
Elena
Pulcini, Introduzione
(J. J. Rousseau: l’immaginario e la morale) alla Giulia o la Nuova
Eloisa, Bur, Milano 1994.
Les Confessions, Livre IV
Mi ero insensibilmente allontanato dalla città; il caldo aumentava, e
passeggiavo all'ombra di un vallone lungo un ruscello. Odo alle mie
spalle uno scalpitare di cavalli e voci di ragazze che parevano in
difficoltà, e nondimeno ridevano di cuore. Mi volto, mi chiamano per
nome, mi avvicino, e vedo due fanciulle di mia conoscenza, la signorina
di Graffenried e la signorina Galley, che, non essendo cavallerizze
provette, non sapevano come convincere i loro cavalli ad attraversare il
ruscello. La signorina di Graffenried era una giovane bernese
graziosissima, che, scacciata dal suo paese per qualche follia della sua
età, aveva imitato la signora di Warens, presso la quale l'avevo vista
qualche volta; ma non disponendo come lei di una pensione, era stata ben
felice di appoggiarsi alla signorina Galley, che, avendola presa in
amicizia, aveva persuaso la madre a dargliela come compagna, finché non
si fosse potuto sistemarla altrimenti. La signorina Galley, di un anno
più giovane, era ancora più bella; aveva un non so che di più delicato,
di più fine; era insieme molto minuta e ben formata: il momento più
bello di una fanciulla. Entrambe si amavano teneramente, e il buon
carattere dell'una e dell'altra non poteva che prolungare quell'unione,
se qualche amante non fosse sopraggiunto a turbarla. Mi dissero che
andavano a Thônes, antico castello della signora Galley, e implorarono
il mio aiuto per far guadare i cavalli, non venendone a capo da sole.
Volli frustare le bestie, ma le fanciulle temevano i calci per me, e gli
sbalzi per loro. Ricorsi a un altro espediente. Afferrai per la briglia
il cavallo della signorina Galley, poi tirandomelo appresso,
attraversai il ruscello con l'acqua a metà gamba, e l'altro cavallo
seguì docilmente. Ciò fatto, volli salutare le signorine e andarmene
come uno sciocco;
esse si scambiarono qualche parola sottovoce, e la
signorina di Graffenried, rivolta a me, disse: «No, no: non ci
sfuggirete così. Vi siete inzuppato per aiutarci; e a noi spetta in
coscienza la cura di asciugarvi. Bisogna, per piacere, che veniate con
noi: siete nostro prigioniero.» Il cuore mi batteva, e guardavo la
signorina Galley. «Sì, sì,» aggiunse lei, ridendo della mia aria
smarrita, «prigioniero di guerra. Montate in groppa dietro a lei:
vogliamo rispondere di voi.» «Ma, signorina, io non ho l'onore d'essere
conosciuto dalla signora vostra madre: che dirà vedendomi arrivare?»
«Sua madre,» rispose la signorina di Graffenried, «non è a Thônes, siamo
sole; torniamo questa sera e tornerete con noi.»
L'effetto dell'elettricità non è più fulmineo di quello che
produssero su di me quelle parole. Balzando sul cavallo della signorina
de Graffenried, tremavo di gioia, e quando bisognò che l'abbracciassi
per sorreggermi, il cuore mi batteva tanto forte che lei se ne accorse;
mi disse che anche il suo batteva per la paura di cadere, ed era quasi,
in quella posizione, un invito a verificare il fatto. Non osai, e per
l'intiero tragitto le mie braccia le servirono da cintura, strettissima
in verità, ma senza spostarsi un istante. Ogni mia lettrice mi
schiaffeggerebbe volentieri, e non avrebbe torto.
L'allegria del viaggio e il cinguettio delle ragazze eccitarono a
tal punto il mio che sino a sera, e finché restammo insieme, non
smettemmo un momento di parlare. Mi avevano messo così perfettamente a
mio agio che la mia lingua parlava quanto i miei occhi, benché non
esprimesse le stesse cose. Solo per qualche istante, quando mi trovavo a
tu per tu con l'una o con l'altra, la conversazione s'impacciava un
poco; ma l'assente tornava prestissimo e non dava all'impaccio il tempo
di chiarirsi.
Arrivati a Thônes, e io ben asciugato, facemmo colazione. Poi
bisognò procedere all'importante operazione di preparare il pranzo. Le
due signorine, mentre cucinavano, baciavano di tanto in tanto i figli
della castalda, e il povero sguattero guardava, mordendo il freno. Dalla
città erano state inviate delle provviste e c'era di che preparare un
pranzo eccellente, soprattutto in fatto di ghiottonerie; ma
sfortunatamente avevano dimenticato il vino. La dimenticanza non era
strana per le ragazze che non bevevano; ma io ne fui seccato, perché
avevo un po'contato su quell'aiuto per farmi coraggio. Anch'esse ne
furono seccate, forse per lo stesso motivo, ma non posso giurarlo. La
loro allegria vivace e deliziosa era l'innocenza stessa; e, d'altra
parte, che cosa avrebbero fatto di me, tra loro due? Mandarono
dappertutto, nei dintorni, a cercare del vino; non se ne trovò, tanto i
contadini di quel cantone sono sobri e poveri. Siccome mi esprimevano il
loro disappunto, dissi di non preoccuparsene tanto, ché non avevano
bisogno di vino per inebriarmi. Fu l'unica galanteria che azzardai in
tutta la giornata; ma credo che le furbette vedessero come quella
galanteria rispondesse a verità.
Pranzammo nella cucina della castalda, le due amiche sedute sulle
panche ai due lati della lunga tavola, e l'ospite in mezzo a loro, su
uno sgabello a tre piedi. Che pranzo! Che ricordo affascinante! Come si
può, potendo gustare a così poco prezzo piaceri tanto puri e tanto veri,
pretendere di cercarne altri? Mai cena parigina in ambienti galanti
uguagliò quel pranzo, non dico soltanto in allegria, nella dolce gioia;
dico anche nella sensualità.
Dopo pranzo facemmo un'economia. Anziché prendere il caffé, che
ci restava dalla colazione, lo serbammo per gustarlo a merenda con la
panna e i pasticcini che esse avevano portato; e per mantener sveglio
l'appetito, andammo nel frutteto a completare il nostro pranzo con le
ciliege. Io salii sull'albero, e ne lanciavo giù a mazzettini, di cui
esse mi rispedivano i noccioli attraverso i rami. Una volta, la
signorina Galley, sollevando il grembiule e spostando indietro la testa,
si offrì così bene al bersaglio, e io mirai così giusto, che le feci
cadere un mazzetto giusto nel seno; e la risata! Dicevo dentro di me:
«Perché le mie labbra non sono ciliege! Come gliele getterei
volentieri!»
La giornata trascorse così, a folleggiare con la massima libertà e
sempre con la maggior decenza. Non una sola parola equivoca, non uno
scherzo arrischiato; e questa decenza non ce la imponevamo affatto,
veniva spontanea, obbedivamo al tono che ci dettavano i cuori. Infine la
mia modestia, altri diranno la mia ottusità, fu tale che la più audace
intimità che mi sfuggì fu di baciare una sola volta la mano della
signorina Galley. È vero che la circostanza rese prezioso questo lieve
favore. Eravamo soli, io respiravo a fatica, lei teneva gli occhi bassi.
Anziché cercare parole, la mia bocca scelse di posarsi sulla sua mano,
che lei dolcemente ritirò dopo il bacio, guardandomi con un'espressione
che nulla aveva d'irato. Non so che cosa avrei potuto dirle: la sua
amica entrò, e in quel momento mi parve orribile.
Si ricordarono infine che non bisognava aspettare la notte per
rientrare in città. Ci restava appena il tempo per arrivare prima di
buio, e ci affrettammo a partire, sistemandoci come nel venire. Avrei
potuto, se ne avessi avuto l'ardire, cambiare quell'ordine, perché lo
sguardo della signorina Galley mi aveva acceso il cuore; ma non osai dir
nulla, e non toccava a lei proporlo. Andando dicevamo che era un
peccato che la giornata finisse, ma, anziché lamentarci della sua
brevità, notammo come avessimo avuto il potere di renderla lunga, con
tutte le piacevolezze di cui avevamo saputo colmarla.
Le lasciai press'a poco dove mi avevano trovato. Con che
dispiacere ci separammo! E con che piacere progettammo di rivederci!
Dodici ore trascorse insieme valevano per noi secoli di intimità.
Il
dolce ricordo di quella giornata non costava nulla a quelle amabili
fanciulle;
la tenera unione che regnava fra noi tre valeva i piaceri più
intensi, e con essi non sarebbe potuta sussistere: ci amavamo senza
misteri e senza vergogna, e volevamo amarci sempre così. L'innocenza dei
costumi ha la sua voluttà, che vale quanto l'altra, giacché non conosce
interruzioni e premia di continuo. Quanto a me, so che il ricordo di un
giorno tanto bello mi commuove di più, mi incanta di più, mi torna di
più al cuore d'ogni altro piacere gustato in vita mia. Non sapevo bene
che cosa cercassi in quelle due deliziose persone, ma mi attraevano
molto entrambe. Non dico che, fossi stato padrone di scegliere, il mio
cuore si sarebbe diviso; avvertivo una certa preferenza. Sarei stato
felice di avere per amante la signorina di Graffenried; ma, dovendo
scegliere, credo che l'avrei preferita come mia confidente. Comunque, mi
parve nel lasciarle che non avrei più potuto vivere senza l'una e senza
l'altra. Chi avrebbe detto che non le avrei mai più riviste, e che lì
sarebbero finiti i nostri effimeri amori?
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Je m'étais insensiblement éloigné de la ville, la
chaleur augmentait, et
je me promenais sous des ombrages dans un vallon le long d'un ruisseau.
J'entends derrière moi des pas de chevaux et des voix de filles qui
semblaient embarrassées, mais qui n'en riaient pas de moins bon cœur. Je
me retourne, on m'appelle par mon nom, je m'approche, je trouve deux
jeunes personnes de ma connaissance. M
lle de Graffenried et M
lle Galley, qui, n'étant pas d'excellentes cavalières, ne
savaient comment forcer leurs chevaux à passer le ruisseau. M
lle de Graffenried était une jeune Bernoise fort aimable, qui, par
quelque folie de son âge, ayant été jetée hors de son pays, avait imité M
me de Warens, chez qui je
l'avais vue quelquefois ; mais, n'ayant pas eu une pension comme elle, elle avait été trop heureuse de s'attacher à M
lle Galley, qui,
l'ayant prise en amitié, avait engagé sa mère à la lui donner pour compagne jusqu'à ce qu'on la pût placer de quelque façon. M
lle
Galley, d'un an plus jeune qu'elle, était encore plus jolie : elle avait
je ne sais quoi de plus délicat, de plus fin ; elle était en même temps
très mignonne et très formée, ce qui est pour une fille le plus beau
moment. Toutes deux s'aimaient tendrement et leur bon caractère à l'une
et
à l'autre ne pouvait qu'entretenir longtemps cette union, si quelque
amant ne venait pas la déranger. Elles me dirent qu'elles allaient à
Thônes
*, vieux château appartenant à M
me
Galley ; elles implorèrent mon secours pour faire passer leurs
chevaux, n'en pouvant venir à bout elles seules. Je voulus fouetter les
chevaux ; mais elles craignaient pour moi les ruades et pour elles les
haut-le-corps. J'eus recours à un autre expédient. Je pris par la bride
le cheval de M
lle Galley, puis, le tirant après moi, je
traversai le ruisseau ayant de l'eau jusqu'à mi-jambes, et l'autre
cheval suivit sans difficulté. Cela fait, je voulus saluer ces
demoiselles,
et m'en aller comme un benêt : elles se dirent quelques mots tout bas,
et M
lle de Graffenried s'adressant à moi : Non pas, non pas,
me dit-elle, on ne nous échappe pas comme cela. Vous vous êtes mouillé
pour notre service ; et nous devons en conscience avoir soin de vous
sécher : il faut, s'il vous plaît, venir avec nous : nous vous arrêtons
prisonnier. Le cœur me battait, je regardais M
lle Galley.
Oui, oui, ajouta-t-elle, en riant de ma mine effarée, prisonnier de
guerre ; montez en croupe derrière elle ; nous voulons rendre compte de
vous. - Mais Mademoiselle, je n'ai point l'honneur d'être connu de
Madame votre mère : que dira-t-elle en me voyant arriver ? - Sa mère,
reprit
M
lle de Graffenried, n'est pas à Thônes, nous sommes seules ; nous revenons ce soir, et vous reviendrez avec nous.
L'effet de l'électricité n'est pas plus prompt que celui que ces mots
firent sur moi. En m'élançant sur le cheval de M
lle de Graffenried je tremblais de joie, et quand il fallut l'embrasser
pour me tenir, le cœur me battait si fort qu'elle s'en aperçut : elle
me dit que le sien lui battait aussi par
la frayeur de tomber : c'était presque, dans ma posture, une invitation
de vérifier la chose ; je n'osai jamais, et durant tout le trajet mes
deux bras lui servirent de ceinture, très serrée à la vérité, mais sans
se déplacer un moment. Telle femme qui lira ceci me souffletterait
volontiers, et n'aurait pas tort.
La gaieté du voyage et le babil
de ces
filles aiguisèrent tellement le mien, que jusqu'au soir, et tant que
nous fûmes ensemble, nous ne déparlâmes pas un moment. Elles m'avaient
mis
si bien à mon aise, que ma langue parlait autant que mes yeux,
quoiqu'elle ne dît pas les mêmes choses. Quelques instants seulement,
quand je me
trouvais tête à tête avec l'une ou l'autre, l'entretien s'embarrassait
un peu ; mais l'absente revenait bien vite, et ne nous laissait pas le
temps d'éclaircir cet embarras.
Arrivés à Thônes, et moi bien séché, nous déjeunâmes. Ensuite il fallut
procéder à l'importante affaire de préparer le dîner. Les deux demoiselles, tout en cuisinant, baisaient de temps
en temps les enfants de la grangère
et le pauvre marmiton regardait faire en rongeant son frein. On avait
envoyé des provisions de la ville, et il y avait de quoi faire un très
bon dîner, surtout en friandises ; mais malheureusement on avait oublié
du vin. Cet oubli n'était pas étonnant pour des filles qui n'en buvaient
guère : mais j'en fus fâché, car j'avais un peu compté sur ce secours
pour m'enhardir. Elles en furent fâchées aussi, par la même raison
peut-être, mais je n'en crois rien. Leur gaieté vive et charmante était
l'innocence même : et d'ailleurs qu'eussent-elles fait de moi entre
elles deux ? Elles envoyèrent chercher du vin partout aux environs ; on
n'en
trouva point, tant les paysans de ce canton sont sobres et pauvres.
Comme elles m'en marquaient leur chagrin, je leur dis de n'en pas être
si
fort en peine, qu'elles n'avaient pas besoin de vin pour m'enivrer. Ce
fut la seule galanterie que j'osai leur dire de la journée ; mais je
crois que les friponnes voyaient de reste que cette galanterie était une
vérité.
Nous dînâmes
*
dans la cuisine de la
grangère, les deux amies assises sur des bancs aux deux côtés de la
longue table, et leur hôte entre elles deux sur une escabelle
* à trois pieds. Quel dîner ! Quel souvenir plein de charmes ! Comment, pouvant à si peu de frais goûter des
plaisirs si purs et si vrais, vouloir en rechercher d'autres ? Jamais souper des petites maisons de Paris
*
n'approcha de ce repas, je ne dis pas seulement pour la gaieté, pour la douce joie, mais je dis pour la sensualité.
Après le dîner
nous fîmes une économie. Au
lieu de prendre le café qui nous restait du déjeuner, nous le gardâmes
pour le goûter avec de la crème et des gâteaux qu'elles avaient
apportés ; et pour tenir notre appétit en haleine, nous allâmes dans le
verger achever notre dessert avec des cerises. Je montai sur l'arbre, et
je leur en jetais des bouquets dont elles me rendaient les noyaux à
travers les branches. Une fois, M
lle Galley, avançant son
tablier
et reculant la tête, se présentait si bien, et je visai si juste, que je
lui fis tomber un bouquet dans le sein : et de rire. Je me disais en
moi-même : Que mes lèvres ne sont-elles des cerises ! Comme je les leur
jetterais ainsi de bon cœur.
La
journée se passa de cette sorte à folâtrer avec la plus grande liberté,
et toujours avec la plus grande décence. Pas un seul mot équivoque, pas
une seule plaisanterie hasardée ; et cette décence, nous ne nous
l'imposions point du tout, elle venait toute seule, nous prenions le ton
que nous donnaient nos cœurs. Enfin ma modestie, d'autres diront ma
sottise, fut telle, que la plus grande privauté
* qui m'échappa fut de baiser une seule fois la main de M
lle
Galley. Il est vrai que la circonstance donnait du prix à cette légère
faveur. Nous étions seuls, je respirais avec embarras, elle avait les
yeux baissés. Ma bouche, au lieu de trouver des paroles, s'avisa de se
coller sur sa main, qu'elle retira doucement après qu'elle fut baisée,
en
me regardant d'un air qui n'était point irrité. Je ne sais ce que
j'aurais pu lui dire : son amie entra, et me parut laide en ce moment.
Enfin
elles se souvinrent qu'il ne fallait pas attendre la nuit pour
rentrer en ville. Il ne nous restait que le temps qu'il fallait pour
arriver de jour, et nous nous hâtâmes de partir en nous distribuant
comme
nous étions venus. Si j'avais osé, j'aurais transposé cet ordre ; car le
regard de M
lle Galley m'avait vivement ému le cœur ; mais je
n'osai rien dire, et ce n'était pas à elle de le proposer. En marchant
nous disions que la journée avait tort de finir, mais, loin de nous
plaindre qu'elle eût été courte, nous trouvâmes que nous avions eu le
secret de la faire longue, par tous les amusements dont nous avions su
la
remplir.
Je
les quittai à peu près au même endroit où elles m'avaient pris. Avec
quel regret nous nous séparâmes ! Avec quel plaisir nous projetâmes de
nous revoir ! Douze heures passées ensemble nous valaient des siècles de
familiarité. Le doux souvenir de cette journée ne coûtait rien à ces
aimables filles ; la tendre union qui régnait entre nous trois valait
des
plaisirs plus vifs, et n'eût pu subsister avec eux : nous nous aimions
sans mystères et sans honte, et nous voulions nous aimer toujours ainsi.
L'innocence des mœurs a sa volupté, qui vaut bien l'autre, parce qu'elle
n'a point d'intervalle et qu'elle agit continuellement. Pour moi, je
sais que la mémoire d'un si beau jour me touche plus, me charme plus, me
revient plus au cœur que celle d'aucuns plaisirs que j'aie goûtés en ma
vie. Je ne savais pas trop bien ce que je voulais à ces deux charmantes
personnes, mais elles m'intéressaient beaucoup toutes deux. Je ne dis
pas que, si j'eusse été le maître de mes arrangements, mon cœur se
serait partagé ; j'y sentais un peu de préférence. J'aurais fait mon
bonheur
d'avoir pour maîtresse M
lle de Graffenried ; mais à choix, je
crois que je l'aurais mieux aimée pour confidente. Quoi qu'il en soit,
il me semblait en les quittant que je ne pourrais plus vivre sans l'une
et sans l'autre. Qui m'eût dit que je ne les reverrais de ma vie, et que
là finiraient nos éphémères amours ?