Renzi dà l'addio alla "meglio gioventù". La ribellione generazionale cambia la narrativa del paese
Huffington Post, 16 dicembre 2013
La frase più efficace, o almeno quella che a me è sembrata la migliore
nel segnare il crinale di un passaggio, è stata: " Basta pensare che la
meglio gioventù sia nata e morta con l'alluvione di Firenze". La
questione generazionale è stata ancora una volta la chiave del successo
con cui il neosegretario Matteo Renzi a Milano ha preso d'impeto il suo
Partito e lo ha portato dalla sua parte.
Chiave generazionale che nulla ha a che fare con la stucchevole, e
francamente banale, questione della rottamazione, della stima fra vecchi
e giovani, e bolle teoriche del genere. Il ricambio generazionale è
sempre una presa del potere a mano armata, non avviene mai in maniera
indolore, e la mia generazione (che è quella oggi ampiamente rottamata)
con i suoi vecchi all'epoca ha saputo fare di ben peggio di quel che
oggi ha fatto Renzi. Infatti, come ci si poteva aspettare, questa parte
banalizzante del ricambio di età, è arrivata all'appuntamento milanese
già ampiamente sgonfia, avviata, con la elezione di Cuperlo, sulla
strada di pragmatiche soluzioni.
La interpretazione generazionale più autentica riguarda invece la
memoria, e l'eredità che compongono e giustificano l'investitura nel
presente della classe dirigente di una società. Il dominio di una
generazione ha infatti quasi tutto a che fare con la interpretazione del
suo passato. In questo l'Italia è certo un paese di superconservatori,
ancor prima che di anziani. Un paese in cui il vuoto di visione da anni
viene coperto da una versione mitizzata, e dunque distorta, del tempo
che fu.
Nella nostra immaginazione collettiva - e non solo quella di
sinistra, va detto - il passato si è fissato in una sorta di età
dell'oro rispetto a cui tutto il resto è una unica, lunga , strada di
decandenza. Dalla Resistenza prima, dal glorioso Dopoguerra poi e,
perfino, da un Sessantotto raccontato come non è mai stato, quello di
una non casualmente autodefinitasi "meglio gioventù'" di cui si
ricordano in metafora l'alluvione, ma non le rotture, gli errori e anche
orrori che ha commesso.
Questa memoria ricostruita (la polemica qui, ripeto, è contro la
finzione della memoria, non è la negazione dei meriti del passato) è in
effetti diventata la maggiore forza di resistenza al cambiamento che
conosciamo perché ha fondato l'idea che di teste come quelle che in
passato hanno fatto politica (ma ugualmente si può dire per tutte le
altre istituzioni, incluso il mondo imprenditoriale) non se ne sono
prodotte più. Al punto che tocca ancora oggi a queste teste continuare
(magari mentre si lamentano per il peso della responsabilità) a
ragionare, a tenere insieme il paese, ad essere responsabili per tutti
gli irresponsabili e gli "ignoramus" che popolano il nostro territorio.
Nel senso di questa missione degli anziani c'è tutto il disprezzo, e
neppure tanto sottile, per giovani cui si attribuisce una minorità
intellettuale permanente. Giovani corrotti, si dice, da una società
consumista, dalla società del successo facile, e dalla mancanza di una
"vera cultura". In queste due affermazioni ci sono due fantasmi che
spuntano anche senza farne il nome: quello di Silvio Berlusconi, cui si
intesta la corruzione degli attuali "mores", e quello di Internet, come
viene chiamata con semplificazione, quella rivoluzione tecnologica che
ha portato un cambiamento che i vecchi non capiscono e di cui si
liberano dicendo che è la fine dell'umanesimo, della vita sociale, dei
diritti, insomma, della cultura occidentale "alta".
Si capisce bene come questa visione del mondo sia (occasionalmente)
all'origine delle Larghe Intese, e (strategicamente) la base di una
visione crepuscolare, triste, avvolta in un permanente velo luttuoso,
del declino della nostra società. Di una dell'Italia sull'orlo del
baratro, e di italiani troppo immaturi per votare e ancora più immaturi
per esprimersi in politica. Che debbano insomma essere salvati da se
stessi, dal loro populismo brado e dalla loro ignoranza, ad opera di un
manipolo di quel che rimane della "meglio gioventù", sentinella
permanente ed effettiva sulla retta via.
Renzi, come lui stesso ha detto, ha usato toni spesso non
condivisibili per sfondare questo muro di resistenza. Lui stesso ha
definito "forse volgare" il termine rottamazione - e certo un filo di
ombra di eutanasia si è sempre steso su questa parola. Ma a Milano
sembra aver finalmente portato a segno la spiegazione delle sue stesse
idee, ribaltando il senso della narrazione dei nostri tempi. Ridando in
mano ai giovani la supremazia in questo momento della frontiera
culturale: "I giovani non hanno mai avuto tale accesso al sapere, non
hanno mai avuto un tale deposito di cultura a cui attingere".
Osando attaccare quello stupidario sull'Italia cui si è ridotta, con
il tempo, la storia dei giovani che vanno a studiare all'estero,
diventati simbolo di una malfunzione del paese invece che naturale
ristrutturazione (e ambizione) del mercato del lavoro globale. "Ne ho
incontrato uno che si è presentato", ha raccontato Renzi, "dicendo 'sono
un tipico cervello all'estero'. Dopo che gli ho parlato gli avrei detto
'e ci puoi pure restare, viste le sciocchezze che mi hai detto'. Non è
che uno è un cervello solo perché è all'estero. I cervelli sono anche
in Italia".
Sembrano solo osservazioni, ma sono tutti pezzi di un racconto
diverso, in cui il nostro paese , descritto come un luogo in profonda
crisi economica, non è certo però in crisi di energie e progetti. Un
paese con le mani legate da burocrazia e resistenze - in cui quelle
della politica risultano persino minori se comparate a mandarinati
statali, furberie, e avvilimento di ogni meritocrazia - ma non della
forza d'urto intellettuale e sociale per farcela.
È questo cambio di sguardo il vero elemento di novità, perché tocca
una corda profonda nel cuore dei 35/40enni italiani che si avvertono
come una generazione mandata al macero dai propri adulti. Renzi sa
restituire loro un ruolo, e se non potesse contare sulla loro forza
d'urto l'accelerazione che ha proposto nel programma politico non
avrebbe senso. Riforma elettorale (entro gennaio), riforme politiche,
semplificazione del mercato del lavoro, diritti, cittadinanza. Tutto e
subito, ha promesso Renzi. Con coraggio forse maggiore del realismo. E,
forse senza volerlo, ma chissà?, riprendendo una parola d'ordine proprio
di quella"'meglio gioventù'' che ha appena sostituito.
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