la Repubblica, 12 dicembre 2013
PERCHÉ Torino? Perché proprio qui c'è l'epicentro nazionale delle tensioni sociali che agitano l'Italia? Bruno Manghi, sociologo, ex sindacalista, prova a rispondere agli interrogativi che da qualche giorno si rincorrono nelle discussioni e sui quotidiani nazionali.
Dalla protesta no-Tav all'ira dei forconi: movimenti diversi, per certi aspetti opposti. Professor Manghi, perché proprio a Torino?
"Ci sono elementi di oggettiva difficoltà sociale. Il mio amico Nanni Tosco sta raccogliendo dati sull'area torinese che sono molto preoccupanti. A cominciare dal livello di impoverimento e dalla bassa scolarizzazione rispetto ad altre analoghe città italiane".
Come si spiega questo grave peggioramento delle condizioni di vita?
"Con il fatto che Torino ha ancora, nel suo corpo sociale, l'eredità del fordismo, un sistema basato su bassi salari e bassa scolarizzazione. A Torino il sistema economico si sta modificando, ma la stratificazione sociale sopravvive. Il proletariato industriale c'è ed è quello che la cassa integrazione ha impoverito di più trascinando nella crisi i mercatali e gli ambulanti. Contemporaneamente labassa scolarizzazione della parte più povera di Torino rende difficile creare in pochi anni una classe di professionisti in grado di far fronte in modo flessibile ai cambi di congiuntura economica e alla necessità di nuove figure professionali".
Questo spiega la forza del movimento dei forconi. Al di là di quest'ultimo però c'è una tendenza tutta torinese a esasperare i toni delle proteste..
"Torino è una città abituata ad avere rappresentanze sociali, politiche. Ci sono stati partiti e sindacati che hanno mediato i conflitti per tutto il Novecento. Dall'inizio del nuovo secolo quella funzione è venuta meno. E negli anni intorno alle Olimpiadi quel compito di mediazione di interessi diversi lo ha svolto il Municipio. E' stato così durante le giunte Castellani e Chiamparino".
Perché oggi non è più così?
"Perché è impossibile che il Comune continui ad accollarsi quel compito quando mancano le risorse e siamo precipitati nel cuore di una crisi gravissima. L'amministrazione cittadina non riesce più a fare da camera di compensazione dei diversi interessi presenti in città anche per un altro motivo: si è esaurita inevitabilmente la progettualità. I cittadini possono anche accettare dei sacrifici se sanno che domani, grazie a un progetto, a un'idea, a una proposta, potranno vivere meglio. Ma senza quella prospettiva e di fronte a una situazione economica che va peggiorando, sale la rabbia, anche senza richieste e piattaforme specifiche".
Come se ne esce?
"La soluzione immediata non c'è. Sono fenomeni di medio periodo. Certo la tensione in città scemerebbe se non continuassero ad esistere due Torino che si allontanano sempre dipiù. Le vecchie élite cittadine sono composte da gente che non ha mai preso un tram o un autobus in vita sua. C'è una classe di burocrati pubblici che continua a vivere come se nulla fosse cambiato. Un amico imprenditore mi raccontava cheda tre mesi non paga i dipendenti perché aspetta 500mila euro dalla Regione per un lavoro che è già stato terminato. Queste sono le cose che fanno salire la tensione e l'esasperazione di Torino".
Chi deve ricucire le due città, quella che danza nella sala da ballo del Titanic e quella che non quadra i conti?
"I giovani. Sono loro che devono prendere in mano il potere in città mettendo da parte una generazione di burocrati, politici, banchieri, avvocati d'affari, che ha fatto il suo tempo e che non è più in grado di leggere i cambiamenti che stanno producendosi nella vita sociale. Tocca ai giovani rifare il progetto per una nuova Torino".
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