Paola Peduzzi, Gli obiettivi di Putin, Il Foglio, 27 dicembre 2024
Milano. Vladimir Putin ha straziato l’Ucraina nel giorno di Natale con 78 missili balistici e da crociera e con 106 droni iraniani. Un altro attacco disumano che mostra quanto lontana sia la Russia dall’idea tanto in voga in occidente della “fine della guerra”, come ha dichiarato peraltro anche il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, in un’intervista che più chiara di così non avrebbe potuto essere.
In Europa il sostegno all’Ucraina fino alla vittoria sta scemando, come mostra una mesta rilevazione pubblicata dal Guardian (il sostegno all’invio delle armi di difesa però c’è ancora), e si accavallano articoli, commenti e analisi più o meno fantasiosi su come mettere fine alla guerra, ora che Donald Trump sta per insediarsi alla Casa Bianca, che omettono sempre il punto principale: la Russia non vuole finirla, questa guerra. Lavrov lo dice con il perfido candore che lo contraddistingue: Mosca non si aspetta granché dal ritorno di Trump, gli Occidentali pensano a una tregua per poter aiutare Kyiv a recuperare le forze, ma l’obiettivo russo resta la smilitarizzazione dell’Ucraina e la chiusura di ogni processo di adesione alle istituzioni occidentali.
L’Ucraina non può permettersi il lusso di queste disquisizioni infondate mentre conta i suoi morti e intanto tiene a bada con la sua coriacea resistenza la Russia, l’Iran, la Corea del nord e la Cina. Assieme al coro di una guerra che tutti vogliono finire tranne gli unici che potrebbero terminarla in ogni momento, cioè i russi, si diffonde l’idea di un’Ucraina soverchiata dalla violenza russa, costretta a indietreggiare, se non ad arrendersi. Se si guarda la mappa della guerra invece si nota che: i territori che l’Ucraina tiene nella regione di Kursk non sono cambiati di tanto nonostante la violenza russa per riprenderseli (questi territori sono un elemento decisivo da considerare per le negoziazioni); i russi hanno usato tutto quel che avevano a disposizione in termini di uomini e mezzi per avanzare nel Donbass ma, nonostante i media si siano accaniti sulle “perdite dell’Ucraina”, le conquiste russe sono ben poca cosa (l’1 per cento del territorio ucraino) rispetto all’investimento fatto e agli uomini che hanno perso; il sostegno dei soldati nordcoreani – si è tanto parlato dei soldati occidentali in arrivo, grande scandalo e grande provocazione, ma gli stranieri che combattono sono quelli chiamati da Putin – si sta rivelando un disastro per l’asse russo. Non c’è che da pensare a cosa sarebbe questa resistenza se gli occidentali non avessero rallentato le forniture e rispettato linee rosse vincolanti e mortifere: la fine della guerra sarebbe la vittoria dell’Ucraina.
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