Paolo Di Stefano, Ventitré anni di Einauditudine, Corriere della Sera, 15 dicembre 2024
Intervista a Luca Baranelli
Che cosa ne pensa della questione, sempre emergente, dell’egemonia culturale di sinistra?
«Non ho mai capito quali siano i criteri per valutare un’astrazione come l’egemonia culturale, né se essa riguardi solo il ceto intellettuale e la classe dirigente. Si allude alla prevalenza di editori di sinistra nel dopoguerra? Alla prima edizione Einaudi delle opere di Gramsci? Alla diffusione di giornali e periodici del Pci? Ai film neorealisti? Al teatro di Bertolt Brecht? Penso che per rispondere sarebbero necessari parametri e dati quantitativi. Può darsi che nei primi anni del dopoguerra, quando il Pci pubblicava 4 edizioni dell’”Unità”, controllava vari quotidiani regionali fiancheggiatori (valga per tutti “Il Nuovo Corriere” di Romano Bilenchi), periodici molto diffusi come “Vie nuove” e “Il Calendario del popolo”, qualcosa di simile a un’egemonia culturale potesse esserci (suppongo però che un settimanale liberale come “Il Mondo” di Mario Pannunzio fosse letto dagli intellettuali più del “Contemporaneo” di Carlo Salinari e Antonello Trombadori)».
La presunta egemonia culturale non bastò alla sinistra per vincere.
«I risultati elettorali del 1948 e del 1953 mostrarono che la presunta egemonia culturale non faceva vincere la sinistra e che era la Dc a esercitare un’egemonia più forte e diffusa. Il 1956, con il XX congresso del Partito comunista sovietico e le rivolte popolari in Polonia e in Ungheria, dette il colpo di grazia. Quanto agli sforzi dell’attuale destra al governo di costruire una propria egemonia culturale, mi sembrano francamente risibili. Oggi gli intellettuali più seguiti, anche se non egemoni, sono i giornalisti della carta stampata e/o della tv che presentano libri senza un attimo di tregua».
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