Flavia Foradini, Una mostra al Wien Museum rilegge l'epopea dei 15 anni di socialdemocrazia con la costruzione degli Hof, i mitici insediamenti abitativi per il proletariato, il giornale dell'architettura.com, 30 luglio 1919
VIENNA. I fatti sono noti: l’epoca passata alla storia anche dell’architettura come “Vienna Rossa” produsse oltre 64.000 appartamenti di edilizia popolare tra il 1919 e il 1934. Un piano imponente, che doveva arginare l’emergenza abitativa: all’inizio del primo dopoguerra, il 95% delle dimore non aveva acqua corrente e per il 92% i gabinetti erano condivisi sui pianerottoli.
Il progetto edilizio della “Vienna Rossa” fu tuttavia parte integrante di un movimento assai più ampio, volto a creare “l’uomo nuovo” e a promuovere la crescita sociale e culturale degli strati meno abbienti della popolazione. Il substrato fu squisitamente politico e trasse beneficio sia dalla vittoria della socialdemocrazia viennese con il 54,2% alle elezioni amministrative del 4 maggio 1919, sia dall’ascesa nel 1920 di Vienna anche a capoluogo di Land, con autonomie pure di tipo fiscale, che produssero un sistema di tassazione progressiva e una tassa sul lusso, con entrate convogliate in particolare in opere di carattere sociale: «Gli ambulatori odontoiatrici vengono finanziati con le imposte sulle 4 maggiori pasticcerie cittadine. Quelle sull’Hotel Sacher e gli altri grandi hotel coprono i costi dei medici scolastici e delle piscine pubbliche. Quelle sui bordelli coprono i costi dell’unità di ostetricia pubblica».
Esimie personalità di tutti i campi culturali, artistici e scientifici sostennero il progetto politico e fornirono impulsi importanti alla visione di una società più equa e più serena, con un’amministrazione pubblica fortemente presente nel campo dell’istruzione, della sanità, delle politiche sociali e abitative, della cultura: «L’edilizia deve offrire un tetto sicuro, ma anche promuovere la salute fisica e spirituale, e il progresso culturale della popolazione», si leggeva in un opuscolo destinato ai nuovi affittuari. Così come la Ringstrasse aveva promosso la borghesia, allo stesso modo la nuova edilizia popolare mise al centro il proletariato.
L’icona di quel periodo, e massima espressione degli ideali che permearono il primo dopoguerra, resta il Karl-Marx-Hof firmato da Karl Ehn. Il gigantesco edificio nel 19° distretto, con un fronte di 1.100 metri e 1.382 appartamenti, non fu il primo, essendo stato inaugurato nel 1933 dopo 7 anni di lavori, ma divenne il simbolo del desiderio di fornire alla classe operaia piccoli ma efficienti appartamenti ad affitto contenuto, inseriti in un complesso quasi autarchico. Il Karl-Marx-Hof era provvisto di due lavanderie, due bagni pubblici, due scuole materne, un poliambulatorio medico e uno odontoiatrico, una farmacia, un centro di consulenza per donne in gravidanza, una biblioteca, un centro giovanile, un ufficio postale, 25 negozi, ed era dotato di un’immensa corte centrale verde, pensata come luogo di aggregazione e svago, con aree giochi. Solo il 18% dell’area di 156.027 mq venne edificata: fino al periodo della Vienna Rossa, la percentuale consentita raggiungeva l’85% dei lotti a disposizione. Il nuovo motto era: “luce, aria e sole”.
Il primo Hof fu iniziato nel 1919, nel 5° distretto. Gli architetti Robert Kalesa e Hubert Gessner, posero con il Metzleinstalerhof le basi per l’idea di una sorta di fortezza con accessi ad una corte centrale, unità abitative già fornite di cucina arredata, tante finestre, ancorché piccole, servizi e spazi comuni disegnati con cura. Dopo quell’Hof ne seguirono altri 380, di cui 24 monumentali, concepiti da 199 architetti. Dietro molti di essi, gli insegnamenti del deus ex machina Otto Wagner.
Franco Cardini, Vienna. A passo leggero nella storia, Il Mulino, Bologna 2024, pp. 312-318
https://machiave.blogspot.com/2024/12/la-vienna-di-franco-cardini.html
I 100 anni della Vienna rossa - vienna.info (wien.info)
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