Marcello Flores D’Arcais
“Distruggere un popolo è genocidio”
intervista di Alessandra Baduel
la Repubblica, 13 aprile 2015
«La parola “genocidio”, il termine giuridico che definisce il tentativo di distruggere un popolo, è nata proprio a partire dal caso armeno». Marcello Flores D’Arcais dedica molto del suo lavoro di storico proprio a quel termine e ai fatti che definisce. Suo è il libro Il genocidio degli armeni ( Il Mulino).
Professore, cos’è che fa del termine “genocidio” una parola importante da usare?
«Costituisce una specie particolare di violenza di massa. È la definizione giuridica del tentativo di distruggere un popolo. Il termine è nato nel 1944: fu Raphael Lemkin, un giurista ebreo polacco emigrato negli Stati Uniti, a coniarlo all’epoca della Shoah. Lemkin però lavorava alla ricerca di una definizione già negli anni Trenta e partiva proprio da quello che allora ancora si definiva “massacro degli armeni”».
Sta dicendo che è proprio ciò che hanno subìto gli armeni ad aver fatto nascere la parola?
«Lo testimoniano gli atti dei congressi a cui Lemkin partecipava. C’è un saggio che lui scrisse nel 1933 sulla “barbarie” come crimine contro la legge internazionale. Ma per anni non riuscì a trovare la parola giusta, che sottolineasse il voler cancellare dall’umanità un gruppo in quanto tale. Parola che poi è divenuta ufficiale nel 1948, con l’approvazione all’Onu della Convenzione su prevenzione e punizione del genocidio».
Con quali elementi la Turchia contesta la definizione?
«La contesta davanti agli Stati esteri, ma nella stessa Turchia c’è un recente bestseller titolato sul genocidio armeno, di Hasan Cemal, che nessuno ha ritirato. L’autore è nipote di uno dei governanti dell’epoca dei fatti. Con l’estero, però, la Turchia non vuol fare ammissioni».
Maria Serena Natale / Antonia Arslan
Tra le vittime del genocidio c’è il grande poeta armeno Daniel Varujan, che lei ha tradotto in italiano. Qual è la poesia che ha più amato?
«Quella che dedicò alla giovane moglie, un testo di una sensualità panica, limpida. S’intitola “Tu sei benedetta fra le donne”».
Daniel Varujan (1884-1915)
Tu sei benedetta fra le donne
Maria, quando siedi su questo letto
e io davanti a te, sul tappeto, genuflesso
bacio le vene azzurre
di queste tue mani stillanti luce,
sento, Maria, sotto le mie labbra calde
un essere che, goccia a goccia, beve silenzioso il tuo sangue.
Da quella notte, quando colmasti incurante
questo cuscino dei tuoi capelli,
e apristi il tuo seno al piacere, veemente,
che fece scorrere la piena del sudore dalle tue tempie,
e morì la verginità
nel tuo grembo e negli occhi celesti,
da quella notte, dalle ciglia delle tue palpebre
stillò miele; mansueta,
silenziosa tu divenisti,
la colomba dalle piume di neve
che, rannicchiata al sole, sogna
il nido da costruire….
Contemplo, ora, la consunzione soave del tuo volto
e, attraverso la tua camicia aperta, i seni dove
la tua vita si condivide, e tu
dividendoti diventi madre.
In ciascun battito della tua vena io sento
il palpito del mio stesso cuore
e lo sbocciare del fiore del mio sangue,
il cui profumo inebria me e te,
ed è l’amore di noi due.
Sii benedetta, Maria,
tu che con infinita tenerezza
la tua costola mi doni, e le tue ossa
per altre ossa spremi,
tu che divieni il solco
più puro e più fertile di tutti,
e il vaso più bello di tutti
i vasi dei gigli,
sii benedetta, in eterno.
Tu che, saggia, porti
- come gemma preziosa nell’anfora –
l’Uomo impronta di Dio nel profondo del tuo grembo,
sii tu benedetta, o Maria….
Traduzione di Boghos Levon Zekiyan
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