Edgar Morin
Ho imparato da Dostoevskij la lotta tra fede e dubbio
Il filosofo e
sociologo francese racconta le letture che hanno accompagnato la sua
formazione: nell’autore dei Karamazov le instabilità profonde
dell’identità
La Stampa, 1 giugno 2014
... L’altro aspetto di me stesso, che viene dall’aspirazione sempre
rinnovata di ritrovare l’integrazione in una sostanza materna infinita,
oceanica, mi spingerà non solo verso tutto ciò che esprime il
romanticismo, ma anche verso la ricerca della fede, dell’effusione,
della comunione. Così, avendo perduto mia madre, ho cercato di ritrovare
altrove, in modo diverso, la comunione oceanica, ma allo stesso tempo
ho sempre custodito in me il sentimento dell’irreparabile, della perdita
e del disastro; il dubbio è rimasto incrostato in fondo a me stesso,
sia per l’esperienza della morte e del non ritorno della madre, sia per
il debole imprinting culturale nel mio spirito, da cui l’impossibilità,
malgrado gli sforzi, di credere nella religione della salvezza (il
cristianesimo).
Conflitto sempre vissuto, mai superato, tra fede e dubbio, e sempre
nutrito dai libri. Da qui la mia fascinazione per gli autori che hanno
vissuto più intensamente questo conflitto (Pascal, Dostoevskij), per i
filosofi che in fondo non lo sopprimono mai (Eraclito, Hegel, e anche
Marx), e anche la mia attrazione irresistibile per il dubbio
fondamentale (Montaigne) ma allo stesso tempo per lo slancio
fondamentale oltre il dubbio e la ragione (Rousseau). Sono stato segnato
da ciò di cui avevo sete.
Parlerò quindi innanzi tutto di qualcuno di questi autori, che sono per
me fondamentali, non solo perché riguardano quello che c’è di
fondamentale in me, ma perché li ho conosciuti nell’età stessa in cui le
letture possono nutrire e segnare nel profondo l’intelligenza, l’anima e
l’essere tutto intero. Cito in primo luogo Dostoevskij. Sono
sicuramente stato segnato da Resurrezione di Tolstoj, da Padri e figli
di Turgenev, dai racconti tristi e nostalgici della Steppa e da Zio
Vanja di Cechov, e nei primi decenni sono stato sconvolto da Divisione
cancro, Il primo cerchio e La casa di Matrjona di Solzenicyn, e dal
dantesco Vita e destino di Grossman, scrittore «medio» che diventa
sublime nel momento in cui s’immerge a Stalingrado, e percepisce con
una giustezza visionaria come Stalingrado sia al tempo stesso la più
grande vittoria e la più grande sconfitta dell’umanità, e susciti una
scena terribilmente grandiosa come quella del grande inquisitore ad
Auschwitz, tra un giovane capo SS e un deportato comunista.
Ma quello che per me resta il più presente, il più intimo, è
Dostoevskji. Dmitrij, Ivan e Alëša Karamazov, Stavrogin e gli altri eroi
dei Demoni, Raskolnikov non mi hanno mai lasciato. Nessun altro ha
portato altrettanto senso della sofferenza, della tragedia, della
derisione, del delirio propriamente umano (e non avrei proposto l’idea
di Homo sapiens-demens come nozione chiave del mio Paradigma perduto se
questo sentimento così profondo dell’indistinguibilità tra follia e
ragione nell’essere umano non fosse stato di continuo rigenerato dagli
scrittori e soprattutto dal ricordo di Dostoevskij).
Senza dubbio trovavo nei Fratelli Karamazov gli eroi che corrispondevano
a vocazioni profonde e contraddittorie del mio essere, come nella
maggior parte di noi. Ma ciò che trovavo soprattutto, nell’intera opera
di Dostoevskij, più acuto, più intenso, più doloroso e violento che in
qualsiasi altro autore, compresi gli altri russi, è il senso della
sofferenza, è la pietà infinita e stravolta per questa sofferenza, il
tormento delle anime straziate, le instabilità profonde dell’identità, i
momenti di verità dell’amore, l’insondabile mistero degli esseri e
della vita. Il mio primo sentimento filosofico (se oso usare questa
parola) mi è venuto da Dostoevskij: l’idea prioritaria che bisogna avere
compassione per la sofferenza. Quello che sentivo in lui non è tanto il
fatto che fosse un ex rivoluzionario diventato tradizionalista, un ex
occidentalista diventato slavofilo, ma il persistere corrosivo, nel
secondo Dostoevskij, del dubbio, del nihilismo, e la lotta furiosa,
disperata tra la fede e il dubbio, la lotta che in me non è mai cessata
tra la speranza e la disperazione. E io oggi so che le più grandi menti
europee sono quelle che non hanno smesso di vivere interiormente un
conflitto fondamentale, un antagonismo irriducibile; anche quando hanno
apertamente scelto un partito contro l’altro, quest’ultimo lavora in
modo sotterraneo, ma attivamente, all’interno del primo.
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Morin, Edgar. - Sociologo e filosofo francese (n. Parigi 1921), direttore del Centre de communication de masse del Centre national de la recherche scientifique (1950-89; emerito dal 2002).
Si è occupato dei problemi delle scienze umane, ispirandosi alle tesi
di Hegel, Marx, Freud. Particolarmente interessanti le sue ricerche
sulla sociologia dei film. Ha fondato nel 1967 la rivista Communications. Nel 1998
è stato nominato presidente del comitato scientifico per la riforma dei
saperi nelle scuole secondarie superiori dal ministro dell'Istruzione
francese C. Allègre. Opere principali: L'an zéro de l'Allemagne (1946); L'homme et la mort dans l'histoire (1951; trad. it. 1980); Le cinéma ou l'homme imaginaire (1956; 3a ed. 1978; trad. it. 1982); Les stars (1957); Autocritique (1959); L'esprit du temps (1962; trad. it. L'industria culturale, 1974); Introduction à une politique de l'homme (1965); Commune en France (1967); Mai 1968: La Brèche (in collab., 1968); Le paradigme perdu: la nature humaine (1973; trad. it. 1974); La méthode (2 voll., 1977-81); Mais (1978); Pour sortir du vingtième siècle (1981); Science avec conscience (1982; trad. it. 1988); De la nature de l'Urss (1983; trad. it. 1989); Penser l'Europe (1987; trad. it. 1990); Terre-Patrie (1993; trad. it. 1994); Mes démons (1994; trad. it. 1999); Les fratricides (1996; trad. it. 1997); Amour poésie sagesse (1997; trad. it. 1999); La tête bien faite (1999; trad. it. 2000); Les sept savoirs nécessaires à l'éducation du futur (2000; trad. it. 2001); La violence du monde (con J. Baudrillard, 2003); Le monde moderne et la question juive (2006); Comment vivre en temps de crise? (con P. Viveret, 2010); Le chemin de l'espérance (con S. Hessel, 2011); La voie. Pour l'avenir de l'humanité (2011; trad. it. 2012); La nostra Europa (con M. Ceruti, 2013); il testo autobiografico Mon Paris, ma mémoire
(2013; trad. it. 2013).Cavaliere della Legion d'onore, è stato
insignito del premio europeo Charles Veillon (1987) e del premio
internazionale Viareggio-Versilia (1989, con il volume La connaissance de la connaissance del 1986; trad. it. 1988). Nel 1994 gli è stato assegnato il Premio Internacional de Catalunya. (Treccani)
http://www.rickdeckard.net/2013/01/13/edgar-morin-filosofia-della-complessit%C3%A0/
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