domenica 22 giugno 2014

Calamandrei avvocato di guerra

Goffredo Fofi
E Calamandrei difese i soldati
Il Sole 24 ore, 22 giugno 2014


In un numero del marzo 1956 della rivista che aveva fondato e dirigeva, «Il ponte», pochi mesi prima di morire Piero Calamandrei pubblicò un ricordo del suo primo processo che ora le edizioni Henry Beyle propongono in un prezioso volumetto a tiratura limitata (info@henrybeyle.com). Privo al solito di qualsiasi retorica, in una lingua asciutta, essenziale, uno splendido italiano che è tutto fuorché "avvocatesco", si tratta di poche pagine che evocano avvenimenti di quarant'anni prima. Siamo nell'estate del 1916, «all'ombra del Pasubio», sul fronte della prima guerra mondiale. Calamandrei aveva allora 27 anni, si era da poco laureato in legge, era "sottotenente di fanteria" e venne chiamato a difendere dei poveri soldati che non capivano cosa gli stesse succedendo, perfettamente innocenti, e questo pochi minuti prima che un tribunale straordinario si riunisse per giudicare otto fanti accusati di «abbandono di posto dinanzi al nemico». Il processo era stato imposto da un classico generale fanatico e, con gli occhi di poi, ridicolo: «una specie di "puro folle" della guerra», con «una grande barba da apostolo e celesti occhi paterni», che sfidava la morte e «passava nelle trincee a fronte alta, sorridente e patriarcale, e ogni tanto, se gli avveniva di scoprire una testa, vi calava sopra un randellata: senza scomporsi, con aria ispirata, come se compiesse un rito». Al colonnello che aveva convocato Calamandrei, questo generale aveva chiesto che «almeno uno per l'esempio bisogna fucilarlo».
«Per l'esempio» è una formula ben nota ai tribunali militari di tutti i fronti e di tutte le guerre. Gli otto accusati, «tutti meridionali, quasi tutti di classe anziana», erano stati sbarcati tempo prima, quando erano ancora in dodici, da un autocarro nottetempo durante un'avanzata, vicino alla linea di combattimento, e spediti a raggiungere un paese, senza guida e senza mai aver visto quei luoghi. Si erano perduti, ma erano stati ritrovati all'alba, e avevano preso parte a combattimenti durante i quali due di loro erano morti e due erano moribondi. Gli altri otto, «colpevoli di essere rimasti vivi» , erano stati posti sotto processo dal «puro folle» per dare un «pronto esempio di militare giustizia».
È quest'assurdo processo a dei poveri cristi storditi e "trasognati", di fronte a cinque giudici rimediati, che venne celebrato nella convinzione della certa condanna a morte di almeno uno degli accusati – non fosse che il giovane Calamandrei fresco di studi trovò un cavillo che metteva in discussione il «pronto esempio»: i fatti erano successi tre settimane prima, l'urgenza dell'esempio non c'era più, bisognava dunque deferire il processo ad altro tribunale «stabile e regolarmente costituito». È per fortuna quello che accade, grazie alla inattesa complicità del pubblico accusatore, che aveva pratica di leggi militari e che prese le parti di Calamandrei appoggiando la sua tesi, con grande smacco del «puro folle». Il processo venne dunque rinviato a chi di dovere, ad altro luogo e giorno, e lì gli imputati, saprà più tardi il loro difensore, vennero assolti. Ma per il giovane Calamandrei si sarebbe messa male se il suo colonnello non lo avesse difeso di fronte al «puro folle» che, «per ristabilire la disciplina», chiese che venisse messo lui sotto processo, per insubordinazione. Per salvarlo il colonnello, fece passare Calamandrei per una sorta di «malato di mente». «Allora, se è malato di mente, lo porterò con me a fare una giratina fuori dai reticolati, e così rinsavirà». Ma due giorni dopo il reggimento fu trasferito, e il «puro folle» perse di vista il giovane «malato di mente».
Questo racconto perfetto – di straordinaria intensità morale, narrativa, visiva e dove pathos e ironia si compenetrano va messo accanto, in quest'anno 2014 a un secolo dall'inizio dell'assurdo massacro del '14-'18, a quello "inventato" di De Roberto, La paura e a Un anno sull'altipiano di Lussu, alle poesie di Rebora, alle pagine di Addio alle armi sulla ritirata di Caporetto. È una storia da leggere e far leggere proprio per «dare un esempio» – non quello previsto dalla giustizia militare, bensì un esempio dell'assurdo della guerra e di un'idea astratta e fanatica di giustizia.

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