David Bidussa
Bakunin
Il lato oscuro del rivoluzionario
Chi abbraccia la
lotta armata non mostra mai la propria personalità: dalla sua figura
devono guardarsi gli amici prima che gli avversari
Il Sole 24 ore, 15 giugno 2014
Nel 1972 Franco Venturi, ripubblicando venti anni dopo la prima edizione
La storia del populismo russo – il testo sul movimento rivoluzionario
russo più noto e documentato nella storiografia internazionale del
secondo dopoguerra – inserisce una lunga premessa in cui torna sulla
figura Sergej Nečaev («un revenant che non si riesce a esorcizzare»
scrive l'autore). In particolare Venturi si sofferma su Il catechismo
del rivoluzionario, un normario stringato (10 pagine in tutto) che ci
consegna la fisionomia del terrorista, una figura per il quale gli altri
individui, compresi i propri compagni, sono solo mezzi per conseguire
il fine.
Con quella precisazione Venturi rende omaggio a uno storico
Michael Confino (1926-2010), che pochi anni prima ha pubblicato quel
testo (ma già aveva dedicato pagine alle ricerche di Confino sulla
trasformazione economica del mondo rurale russo).
Nel 1973 Confino
raccoglie in volume altri documenti insieme al Catechismo, facendoli
precedere da un saggio critico di grande qualità. La prima edizione esce
in Francia per Maspero, casa editrice di nuova sinistra, in una collana
che si chiama «Bibliothèque socialiste» (diretta da un grande storico
del socialismo europeo, Georges Haupt). E suscita una discussione
accesa. In Italia esce per Adelphi nel 1976, passa sotto silenzio o
comunque ne discutono solo gli specialisti.
Peccato, perché negli anni
in cui la lotta armata ha un peso nella definizione dello stato d'animo
collettivo, non sarebbe stato fuori luogo prenderlo in mano e
analizzarlo con attenzione. Non lo fanno né la sinistra né la destra.
Forse sarà possibile oggi, con questa nuova ristampa che
significativamente non aggiunge niente a quella edizione del lontano
1976 (il saggio di Confino ha la stessa freschezza di allora).
Di che si
tratta dunque? L'episodio copre un tempo di un anno scarso. Nel 1869
irrompe nella vita del glorioso, ma ormai anziano capo dell'anarchismo,
Bakunin, un giovane di ventidue anni, Sergej Nečaev, che arriva dalla
Russia accompagnato da voci disparate: secondo alcuni il più radicale e
puro dei rivoluzionari, per altri un abietto mistificatore.
Bakunin ne
rimarrà affascinato, a differenza di Alexander Herzen* da subito
diffidente, e solo dopo alcuni mesi uscirà da questa sua convinzione
sanzionando la rottura con con una lettera drammatica, lunga, tormentata
che spedisce a Necvaev il 2 giugno 1870 (pagg. 133-187). In quella
lettera scrive Bakunin: «Vi siete messo a giocare al gesuitismo come un
bambino gioca alle bambole». Non senza rimproverare se stesso: «credendo
incondizionatamente in voi mi sono dimostrato uno stupido» (pagg. 174 e
180).
In mezzo ci sono questioni di soldi, di fiducia malriposta, di
violenza, di doppiezza, di uso della malafede. In breve tutta la gamma
delle sensibilità su cui lavora il "terrorista", figura votata a non
dare mai mostra integrale della propria personalità. A giocare con gli
avversari, ma anche pronto a servirsi e a sfruttare le debolezze dei
propri compagni.
Una fisionomia che Dostoevskij riproduce ne I demoni
non solo in rapporto al tema della violenza, ma soprattutto rispetto al
tema della finzione. Un mondo, quello del terrorista, fondato sulla
finzione, ritenuta vera attraverso l'ambiguità (per esempio Piotr
Verchovenskij, uno che finge come molti altri). I rivoluzionari di
Dostoevskij non sono superiori alla società che contestano, ma una copia
conforme. Aspetto che Camus descrive con precisione ne L'uomo in
rivolta: lì Nečaev è la figura che sancisce il divorzio tra rivoluzione
e amicizia, un sentimento che, da Cromwell in poi, ha fondato l'etica
dei rivoluzionari. Con Nečaev il vincolo di protezione reciproca che
aveva salvato i rivoluzionari si dissolve: ciò che ora va protetto è la
rivoluzione, anche a costo della vita dei propri compagni. Essa va
salvaguardata non solo da loro, ma anche contro di loro. Essa diviene la
cosa che vale di più e per la quale tutto è lecito.
È la partita che si
gioca nell'estate di 150 anni fa. Una storia appassionante e
inquietante. Confino ha il merito di darci una radiografia, ma
soprattutto di illustrarci il costrutto concettuale ed emozionale
(sbaglieremmo a pensare che ci sia solo freddezza in Nečaev) di ciò che
ora è il rivoluzionario in missione. Una figura da cui devono guardarsi
gli amici, prima ancora che gli avversari.
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(*) Campione della giustizia e dell' uguaglianza, Herzen
non avrebbe capito o accettato una contrapposizione di questi valori
alla liberta' e alla personalità, poiché sapeva che ogni uguaglianza
senza libertà personale è falsa e ingiusta, portando alla peggiore
gerarchia tra "uguali" sottoposti e sovrastanti guardiani di questo
stato, mentre solo la libertà può aprire la via verso un' uguaglianza
non utopica, ma reale. E la libertà di Herzen fu tale che egli seppe
non rinnegare, bensi' ripensare e rifiutare suoi vecchi convincimenti,
sottoponendo a critica se stesso e i suoi compagni di un tempo. Il suo
scritto culminante e illuminante, oggi piu' attuale che mai, è A un
vecchio compagno (edito anni fa da Einaudi), in cui, polemizzando anche
con l' amico Bakunin, rimette in questione la dialettica rivoluzionaria,
vedendone orrore e terrore. Libro profetico, A un vecchio compagno,
dove la veggenza è frutto delle due qualita' herzeniane, senso della
realta' e senso della libertà, che lo resero unico tra i
rivoluzionari. Vittorio Strada, Herzen, rivoluzione e libertà, CdS, 2 aprile 1994
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