Paolo Randazzo
Aristofane contro l'utopia platonica
Europa, 31 maggio 2014
Le parole talvolta nascondono trappole di senso e, a prenderle alla
leggera, spesso si scivola nella banalità: ad esempio, si ha un bel dire
che oggi per ricostruire il senso del nostro rapporto col mondo
classico (un senso culturalmente fecondo) occorra ripartire da una
corretta esplorazione di quanto in esso è totale “alterità” rispetto a
ciò che siamo diventati.
Il rischio è che, mentre gli specialisti studiano ed esplorano, il
resto della società scivoli in una delle due antitetiche
semplificazioni: rifugiarsi nella percezione del mondo classico inteso
come radice unica della nostra identità culturale (l’eterno
neoclassicismo ideologico e rassicurante) o scivolare in un
antropologismo d’accatto che finisce col nascondere la complessità degli
effetti che da quella radice continuano a sgorgare.
Ovviamente i primi campi in cui questo rischio deve essere combattuto
sono la scuola, l’università, le istituzioni politiche e culturali, ma
anche la pubblicistica ha un ruolo centrale in questa battaglia in
Italia sono rari gli autori in grado di elaborare una scrittura che sia
scientificamente avvertita e al contempo godibile sul piano della
lettura.
Piccola premessa per dire che La crisi dell’Utopia, Aristofane contro Platone (Laterza),
l’ultimo saggio di Luciano Canfora, non solo è un libro
interessantissimo nel merito dell’argomento di cui tratta, ma è anche di
godibilissima lettura da parte di un pubblico di non specialisti.
Canfora ricostruisce con rigore e straordinaria dovizia di fonti,
informazioni, particolari, la vicenda di una polemica (politica e
culturale) scoppiata tra Platone e Aristofane nei primi anni del IV
secolo a.C., subito dopo la traumatica condanna a morte di Socrate da
parte del nuovo governo democratico di Atene.
Motivo della polemica è l’utopia comunistica che Platone andava
delineando e che probabilmente aveva già fatto circolare (in forma
scenica) prima del suo primo viaggio a Siracusa (388) e molto prima
della sua definitiva pubblicazione nel V libro della Repubblica.
Canfora dimostra che la commedia Ecclesiazuse altro non è
che un feroce attacco proprio a questa utopia platonica. Un attacco in
cui Aristofane prende di mira non tanto gli aspetti più tradizionali di
questa costruzione utopica e che risalivano alla tradizione
culturalmente filospartana dell’aristocrazia ateniese, ma la scandalosa
parificazione della condizione delle donne a quella degli uomini nella
nuova Kallipolis guidata dai filosofi che, in una società
maschio-centrica come quella di Atene e dell’intera Grecia classica,
appariva appunto una pericolosissima utopia.
Un attacco feroce, cui Platone sembra rispondere già con la definitiva stesura della Repubblica e, ulteriormente, nel Simposio e nelle Leggi.
Ma la auto-difesa di Platone non sortirà gli stessi effetti
dell’attacco del commediografo ispirato al senso comune: se l’utopia
comunistica continuerà ad avanzare nel percorso della storia culturale
europea, ripercorrendo quasi sempre le orme di Platone (dal mito di
Atlantide alla rivolta antiromana di Blossio di Cuma, dal racconto del
viaggio di Giambulo nelle “Isole del sole”, contenuto in Diodoro Siculo,
alla durezza con cui Lattanzio e altri scrittori cristiani stroncano
ogni tentativo di lettura comunistica del messaggio evangelico, dalla Città del sole di Campanella ai Viaggi di Gulliver di
Swift, fino a giungere alle vicende del socialismo utopistico e della
costruzione politico-filosofica “scientifica” di Marx ed Engels), allo
stesso modo la stroncatura aristofanesca e poi aristotelica dell’utopia
platonica si ripresenta nei secoli come il necessario lato scettico di
quello sguardo luminoso ed ottimistico sulla realtà.
E resta aperta insomma la domanda da cui questo splendido saggio
prende le mosse: «I fallimenti liquidano l’utopia, o l’utopia resta un
bisogno morale al di là del naufragio? E la demonizzazione, fin troppo
facile, dell’utopia non diviene un alibi per blindare in eterno la
conservazione e l’ingiustizia?».
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