Marcello Sorgi
Il partito diviso e l’eredità di Berlinguer
La Stampa, 14 giugno 2014
Matteo Renzi affronta oggi la direzione del Pd cercando di costruire un
assetto unitario del partito che gli consentirebbe di affrontare meglio
di quanto è accaduto nell’ultima settimana - tra franchi tiratori e
dissidenti espulsi e auto sospesi al Senato - le scadenze che lo
attendono. Finora lo scontro tra il premier e i suoi oppositori interni è
stato rappresentato come una prosecuzione della lunga battaglia che lo
ha portato alla segreteria al posto di Bersani e poi a Palazzo Chigi. In
sintesi, il braccio di ferro finale tra il giovane leader cattolico e
post-democristiano e quel che resta degli ultimi post-comunisti. Uno
schema fin troppo chiaramente semplificatorio, dal momento che gran
parte degli ex-Pci sono schierati con il segretario e Renzi stesso non
può essere considerato erede diretto della tradizione Dc. A una
rappresentazione del genere hanno contribuito anche alcune
superficialità (poi corrette dal segretario) dei renziani sulle
distinzioni tra vecchio e nuovo nel Pd. Renzi avrebbe invece una carta
importante da giocare, proprio recuperando alcune delle più innovative -
e inascoltate - proposte fatte dal Pci nella seconda fase della
segreteria berlingueriana, dopo la fine del compromesso storico e prima
del corpo a corpo, negli anni della presidenza socialista, tra Craxi e
il leader comunista. Le ha ricordate Emanuele Macaluso, commemorando
alla Camera il leader scomparso trent’anni fa. Ai post-comunisti della
commissione lavoro di Montecitorio, schierati contro la riforma del
lavoro del ministro Poletti, e pronti alla resistenza al «Jobs Act»,
Renzi potrebbe opporre il Berlinguer che proponeva «la riforma della
struttura del salario, per stabilire un legame più diretto delle
retribuzioni con la professionalità e la produttività». E ai senatori
contrari alla riforma del Senato potrebbe rammentare il Berlinguer
favorevole al «superamento del bicameralismo», al rafforzamento
«dell’efficienza e dei poteri dell’esecutivo», e al cambiamento «dei
criteri di nomina negli enti pubblici per por fine alla lottizzazione».
Per concludere con il Berlinguer della «questione morale». Un allarme
rivolto a tutti, Pci compreso: «La questione morale s’è aperta in Italia
perché gli interessi di partito sono diventati così predominanti da
correre contro l’interesse generale. Questo è lo stato delle cose da
cambiare, per evitare una rivolta contro tutti i partiti». Queste cose
diceva Berlinguer nell’83: dieci anni prima di Tangentopoli e trenta
prima di Renzi, Grillo e del gorgo che, dopo la Prima, sta inghiottendo
anche la Seconda Repubblica.
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