Simone Lorenzati
Giovanni Carpinelli
La partita del futuro per Sel
Sembrerebbe l'ennesima riedizione di un copione già noto nella storia della
sinistra italiana. Da Turati e Gramsci fino a Migliore e Fratoianni
(eviteremmo imbarazzanti paragoni) c'è sempre stato chi voleva essere
più a sinistra. Certo le situazioni non sono paragonabili ma il futuro
di Sel pare fosse già scritto nel suo dna. Nata
da una costola di destra di Rifondazione e da una di sinistra dei Ds
(con un pezzo dei Verdi fedeli a Cento) Sel ha vissuto stretta tra
l'altalenante amore per il proprio leader Vendola e un interesse marcato
per il Pd. Quello che sembra esser semplice a livello di
amministrazioni locali (ossia l'alleanza con il più grande partito di
centrosinistra) diventa difficile a livello nazionale. A maggior
ragione, poi, se il Pd e il governo vivono sulle spalle carismatiche e
sfavillanti di Matteo Renzi. Vendola sembra aver puntato sul
mantenimento di una collocazione incerta. E da ultimo ha perso. La sua
stessa leaderhip ha subito con questo un colpo dal quale difficilmente
si risolleverà. Già nelle recenti elezioni europee il dilemma si era
ripresentato, con una parte dei vendoliani favorevole ad entrare nel Pse
(e che aveva mal digerito il progetto Tsipras) ed un'altra schierata
per l'ingresso nel Gue (e che mai avrebbe detto sì a Schultz). In mezzo,
o in una posizione centrista, proprio il governatore pugliese impegnato nel tentativo di tenere unito un partito
che, pur avendo con la lista Tsipras superato il quorum al 4%, oscillava assai (ed il
caso Spinelli con Furfaro, esponente proprio di Sel, che doveva cederle
il posto non ha certamente aiutato). L'impressione è che il decreto
Irpef sui famosi 80 euro (per inciso una misura di redistribuzione,
qualunque sia il giudizio che se ne voglia dare) sia stata solamente la
scintilla che ha fatto scoppiare l'incendio. Il postino suona sempre due
volte, si dice. Nella storia della sinistra italiana il messaggio
dell'unità è stato spedito molte volte. Nel 1924, nel 1946, nel 1956
(Pralognan), nel 1968... Tanto per smentire la frase fatta, il postino
ha parecchie volte bussato alla porta senza che nessuno rispondesse veramente
all'appello. Per l'unità più vasta ci saranno forse altre occasioni,
intanto c'è sempre qualcuno che pensa di preservare meglio il futuro
nella distinzione e nella solitudine.
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LA FINE DI UN CICLO A SINISTRA
Stefano Folli
Dal debole antagonismo di Vendola alla sinistra «renziana» di governo
La secessione di Migliore è l'effetto, non la causa della crisi. Il premier oggi come una calamita
Il Sole 24 ore, 20 giugno 2014
Va
rispettato il «profondo dolore» di Nichi Vendola, ma la vera causa
della sua amarezza non può essere l'addio di Gennaro Migliore e di altri
tre che hanno abbandonato Sinistra&Libertà. Il dolore di Vendola va
riferito alla chiusura di un ciclo. Perché di questo realmente si
tratta. Il capogruppo Migliore che se ne va è l'effetto, non la causa
della crisi. E se ci sono «errori politici», come pensa il leader
storico della sinistra ex antagonista, è un po' ingeneroso attribuirli
tutti agli scissionisti di oggi. Gli errori li hanno commessi in tanti
negli ultimi anni, a cominciare da Vendola stesso.
In fondo
l'ambizione iniziale era generosa, nutrita di utopia, ma aveva un senso:
creare una sorta di movimento "arcobaleno" alla sinistra del Partito
Democratico in cui far confluire diversi filoni, ciascuno con le proprie
delusioni e frustrazioni. Ecologisti e verdi di varie sfumature, ex
comunisti (ma non tutti), pacifisti, una parte dei seguaci di Fausto
Bertinotti, l'uomo che per anni aveva dato spessore e una prospettiva a
quell'area politica e il cui abbandono aveva provocato, esso sì, uno
strappo doloroso.
Tutto doveva essere filtrato e rigenerato dal
leader Vendola con le sue qualità di affabulatore, padrone di un
linguaggio forbito e narcisista, certo un po' fumoso. Si avvertiva
un'ambiguità di fondo che partiva dal modo di comunicare e arrivava in
un attimo alla linea politica. Pochi possono dire di aver capito con
precisione cosa volesse Sel. Negli enti locali il partito vendoliano è
stato ed è un partner del Pd in innumerevoli giunte. Ma sul piano
nazionale è rimasto a metà strada. Né realmente antagonista né davvero
determinato a far valere le sue proposte al tavolo del governo.
L'Italia
cambiava, ma il leader sembrava prigioniero dei suoi schemi astratti,
senza riuscire a dar voce a una classica sinistra «di classe» e tanto
meno a una sinistra riformista. E il fatto che il caso dell'Ilva di
Taranto sia esploso proprio nella Puglia di Vendola vuol dire qualcosa,
anche sul piano simbolico. Si è accreditato il capo di Sel di un
rapporto sotterraneo con Renzi, e magari sarà vero, ma i risultati non
devono essere granché soddisfacenti, se si è arrivati alla spaccatura di
ieri.
Ora Migliore e il gruppetto che lo segue, forse destinato a
ingrossarsi nel tempo, tenteranno di costituire la sinistra del
«renzismo». Non è importante se entreranno o meno nel Pd (probabilmente
non lo faranno adesso), è interessante capire se riusciranno a occupare
uno spazio politico che in effetti esiste. Perché se Renzi vuole essere
una specie di Tony Blair all'italiana e quindi tende a rappresentare i
ceti moderati, nonostante la presenza del Ncd di Alfano nel governo, è
evidente che ci sono margini per un'ala sinistra che serva anche a
coprire il "renzismo" su quel versante.
L'operazione può riuscire o
forse no, vedremo. Quel che è certo, qualcosa si è messo in moto nel
campo della sinistra. Soprattutto quella che un tempo vedeva se stessa
come antagonista e oggi si è accorta che, almeno in questa fase storica,
lo spazio si è ristretto: a meno di non andare sul terreno dei
populismi, il cui sbocco però è a destra, come si vede nel caso
Grillo-Farage. Il fenomeno Renzi è un'enorme calamita che attira a sé
vecchi e nuovi soggetti, scompaginando gli schieramenti precostituiti.
Di questa ondata Vendola è la vittima più recente, ma forse non
l'ultima.
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