Guido Vitiello
Fulminati da Mao. L'elettrizzante storia del libretto rosso
Il Foglio quotidiano, 15 giugno 2014
Se per le vie di Roma vi capitasse di avvistare un tizio leggermente
bruciacchiato che deambula con lo sguardo perso e i capelli da istrice,
niente paura, quello sono io. Ma non state in pensiero per me, è solo
che ho avuto l’imprudenza di infilare le dita in un libro ad alta
tensione e sono state trecento pagine di scosse e cortocircuiti senza
tregua. S’intitola Mao’s Little Red Book. A Global History, lo
ha curato lo storico americano Alexander C. Cook e lo ha pubblicato da
poco più di un mese la Cambridge University Press. È un primo tentativo
di tracciare una storia planetaria del Libretto rosso di Mao a
cinquant’anni dalla sua apparizione, e d’inseguirne gli usi e gli abusi
in Cina, in Unione Sovietica, in India, in Tanzania, in Jugoslavia, in
Francia, in Albania, nelle due Germanie, in Perù e ovviamente in Italia
(è l’inserto comico del libro), tutti paesi in cui è stato trasformato
di volta in volta in “retorica, arte, canzone, performance, accessorio,
simbolo, talismano, distintivo e arma”. Richiuse le pagine, dopo
un’ultima vampa, la mia testa friggeva come un fusibile bruciato, ma se
pensiamo che il generale Lin Biao prestò al Libretto la più minacciosa
metafora di “una bomba atomica spirituale di infinita potenza”, si può
dire che mi è andata bene.
Il primo cortocircuito s’innesca già nel Libretto di Mao, tra due
generi lontanissimi: uno moderno e d’importazione, il manuale
d’indottrinamento ideologico marxista-leninista; l’altro antichissimo e
autoctono, la raccolta di massime sapienziali o religiose. Fu lo stesso
Mao, che amava vestire i paramenti del saggio venerando, a paragonare il
Libretto rosso agli Analetti di Confucio e al Tao tê ching, e a suggerire che questo formato gnomico (il cosiddetto yulu)
fosse da privilegiare perché, diceva, “gli scritti di Marx, Engels e
Lenin sono troppo lunghi”. I successivi cortocircuiti derivano dalla
fiammata di questo strano contatto originario, e si producono a catena
quando il Libretto, varcati con qualche resistenza i confini cinesi
(entro i quali in origine avrebbe dovuto restare, per servire
all’istruzione dei militari, tanto che era vietato persino menzionarlo
in presenza di stranieri), approda finalmente in Occidente. Qui si
sprigiona un nuovo ronzio elettrico quando lo stile tradizionale della
massima confuciana, adattata al credo marxista-leninista, incontra lo
stile moderno dello slogan (sessantottino o pubblicitario), le citazioni
di Mao si disseminano ovunque e non si capisce più, dice Cook, se la
popolarità del Libretto sia il segno che la rivoluzione si sta
appropriando della forma-merce o che la forma-merce si sta appropriando
della rivoluzione. L’unica cosa certa è che la collisione tra i due
mondi crea un ulteriore cortocircuito, quello tra le formule della
liturgia rivoluzionaria e i tormentoni della musica pop. Nel capitolo
più originale, “Quotation songs”, Andrew F. Jones parla delle canzoni
che in Cina, dal 1966, mettevano in musica le citazioni di Mao per
offrire un supporto mnemotecnico, e vi trova una inaspettata analogia
con la ricerca del motivetto accattivante, ipnotico come un mantra, che
animava il coevo rock occidentale.
Dal trattato ideologico alla massima sapienziale, dalla massima allo
slogan, dallo slogan al mantra, ed è così che al termine di una sequela
di cortocircuiti quel che resta nell’aria è come il ronzio di una sacra
sillaba, e un bruciaticcio d’incenso cerimoniale. Ma questo in verità
non l’ho imparato dal libro di Cook, come farebbe una persona seria,
bensì dalla commedia italiana più negletta e infrequentabile, che aveva
capito per tempo quanto vi fosse di bigotto e catechistico nel maoismo
nostrano: l’ho imparato dal Ciccio Ingrassia dell’Esorciccio (1975),
che liberava l’indemoniata non già con il Vangelo ma con il Libretto
rosso (“In nome di Mao ti espello!”); e dal film più sfortunato di
Monicelli, To’, è morta la nonna (1969), dove un nipote
comunicava medianicamente con il cadavere della cara nonna tramite
citazioni del Grande Timoniere. A proposito, la vecchia nel film moriva
fulminata dalla corrente elettrica.
Nessun commento:
Posta un commento