Giovanni De Luna«Contro la corruzione dare nuova forza alla democrazia»
l'Unità, 12 giugno 2014
«Italia mia, benché ‘l parlar sia indarno…». Si potrebbe cominciare
risalendo molto in là negli anni. La corruzione in Italia si presenta
con una storia lunga che può arricchirsi ogni giorno di nuovi capitoli.
La corruzione come un male“ nostrum”? Lo chiediamo a Giovanni De Luna,
storico che insegna all’Università di Torino, di cui si possono leggere a
proposito delle nostre vicende più vicine «Le ragioni di un decennio.
1969-1979. Militanza, violenza, sconfitta, memoria» e «La Repubblica del
dolore. Le memorie di una Italia divisa» (entrambi pubblicati da
Feltrinelli).
Insomma, professore,dobbiamo considerare la corruzione
come qualcosa cui la nostra cultura, delle élite ma non solo ,è
indissolubilmente legata? Insuperabile anche per un decisionista come
Renzi? Dai petroli alla Lockheed, da tangentopoli al Mose…
«Credo ci
sia una trappola da fuggire: immaginare la corruzione di questi giorni
come prova dell’eterno ritorno di una corruzione endemica. È vero, ma è
anche vero che non è sempre la stessa corruzione. La corruzione, nella
discontinuità, cambia faccia e cambiando rivela anche le mutazioni del
sistema politico e delle sue patologie. È il termometro di malattie
diverse. Prima era la mancanza di alternative di governo, con la Dc
fissa al potere, ad aprire il varco al malaffare, nell’opacità e nella
immobilità che garantiscono connivenza e impunità. I casi degli anni
ottanta segnalano l’emergere di una logica spartitoria che il sistema
dei partiti condivide, quella logica che aveva denunciato Enrico
Berlinguer. Dagli anni ottanta la novità consiste nella sovrapposizione
di comportamenti privati e di comportamenti pubblici. Una cosa diventa
l’altra. Arcore e Palazzo Grazioli vengono elevate a sedi istituzionali e
il territorio pubblico viene utilizzato come il campo di soddisfazione
di interessi privati…».
Siamo arrivati a Berlusconi e a certi suoi seguaci, tipo Scajola…
«Negli
ultimi tempi però si sono visti passi avanti su questa strada. Ne sono
esempi eclatanti i partiti che si dissolvono e si rappresentano come
costellazioni di feudi tenuti assieme da una leadership, tanti feudi,
comunali regionali nazionali, che sono riferimento e punto di raccolta
di espressioni diverse: si sono superate le correnti, sono spuntati come
funghi, per ragioni trasversali, apparati partitici frammentati, in
ciascuno dei quali si insediano banchieri, finanzieri, commercianti,
mediatori, profittatori di ogni genere».
Questo è il disegno. Il
“che fare?” è la vera questione, di fronte alla ripetizione degli
scandali, che chiama in causa la politica.
«Purché la politica si
presenti con un progetto, purché la politica torni ad essere confronto
di idee. Mi pare che abbia qualche merito Renzi, quando decide di
smontare nel Pd quella rete di feudi, di rompere certi assetti, di
superare la frammentazione. Però questo è un aspetto. L’altro sta nel
ricostruire un rapporto non solo formale tra un vertice e la base, fare
in modo che lo scambio e il controllo siano continui, dare nuova forza
alle democrazia. È giusto esultare per il quaranta per cento alle
Europee, ma Renzi dovrebbe porsi anche qualche interrogativo di fronte
ai quaranta o ai cinquanta cittadini su cento che non sono andati a
votare e che non andranno a votare neppure la prossima volta».
Forse
è anche colpa loro, forse qualche colpa di tanto disastro è anche di
chi rinuncia. Forse proprio la rinuncia di tanti conferma l’esistenza di
un morbo così profondo da risultare qualcosa che appartiene alla natura
di un paese e diventa inguaribile…
«Certo, ma è un pensiero che ti
lascia nell’impotenza. La guerra appartiene all’animo dell’uomo, ma si
può provare ad evitarla. La norma sul falso in bilancio non sta nel
solco della corruzione endemica, appartiene ad un certo agire di governo
votato all’interesse privato di alcuni».
Anche la nomina di Cantone a commissario anti corruzione appartiene ad un certo agire di governo?
«Come
davanti alla catastrofi naturali la nomina di Bertolaso o contro la
mafia la nomina del prefetto Mori. Però stiamo sempre dentro una logica
emergenziale, che non può e non deve funzionare in eterno. A lungo
dovrebbe funzionare un’articolazione della democrazia che riconnetta
élite e popolo. Equi torniamo a Renzi: quella che mi sembra la sua
battaglia contro quei feudi interni, se si ferma alla creazione di una
leadership forte, rischia di restituirci la sostanza di un populismo
ottocentesco. Il suo obiettivo dovrebbe essere quello di rendere più
funzionale il rapporto tra il momento della decisione politica e quello
della formulazione dal basso della domanda. Senza andare troppo oltre:
ridare al paese il valore della partecipazione democratica».
C’è un
movimento nel paese, Grillo e non solo Grillo, che ad ogni scandalo si
gode una boccata d’ossigeno. Sarà determinante nella lotta alla
corruzione?
«Grillo è il sintomo della malattia, più che la
medicina. La sua democrazia in rete semplicemente mi spaventa, perché
scioglie ogni individuo che fa clic sul computer da qualsiasi patto di
cittadinanza, che consiste in una condivisione di diritti e di doveri,
di culture, di storie, anche nella prossimità fisica. Che basti
schiacciare un tasto ‘sì’ ‘no’, nella tua stanza, con la tua tastiera,
per decidere mi sembra assurdo. Certo ti può far sentire un dio, ma dove
stanno gli altri? È una democrazia ridotta nella forma di un consumismo
occasionale e irresponsabile. Irresponsabile, appunto: si sono scritti
nella rete e si sono letti insulti all’indirizzo di donne, parlamentari o
giornaliste, che nessuno si sognerebbe di pronunciare in pubblico. Ma è
questa una conquista, è questa democrazia?».
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