Luciano Canfora
Ipazia, il coraggio della filosofia
Corriere della Sera, 11 aprile 2010
La vicenda di Ipazia, scienziata tra le
maggiori della tarda antichità, massacrata ad Alessandria su istigazione
del vescovo Cirillo (poi santo e dottore della Chiesa) nel marzo del
415 d.C. divide ancora. Incombe come ineludibile testimonianza del modo
in cui il cristianesimo si impadronì dell’ impero romano. Nell’autorevole Dizionario ecclesiastico diretto da Angelo Mercati e Augusto
Pelzer, due pilastri della dottrina vaticana, si legge ancora che Ipazia
«fu uccisa in una dimostrazione popolare perché avversa al
cristianesimo», si precisa non senza improntitudine che il vescovo
Cirillo fu estraneo alla cosa, e si squalificano gli storici antichi che
lo inchiodano, tra cui lo storico cristiano Socrate scolastico (circa
380-440 d.C.), con l’ argomento che sarebbe vissuto «un secolo più
tardi» laddove fu palesemente coevo dei fatti! Se tali dotti si
abbassano alla più grossolana delle falsificazioni, ciò significa che
quel crimine – con tutto il clima di intolleranza e di folle esaltazione
dell’ ignoranza, creato dai cristiani padroni ormai della più grande
metropoli del Mediterraneo – brucia ancora.
Un’altra fonte contemporanea, su cui
gli storici clericali sorvolano, Eunapio di Sardi, così descrive le
squadracce di monaci ignoranti, i cosiddetti «parabolani», che
torturarono e massacrarono Ipazia dopo averla, da bravi stupratori,
denudata: «Monaci li hanno chiamati, ma non erano neppure uomini se non
in apparenza, poiché conducevano vita da porci e apertamente compivano e
assecondavano crimini innumerevoli e innominabili». Il determinismo
storiografico filocristiano che ha cercato di minimizzare «incidenti»
del genere come scotto da pagarsi al maestoso incedere progressivo della
storia (di cui il cristianesimo sarebbe protagonista positivo) è ormai
al capolinea. Ormai per fortuna la storiografia si riappropria del
diritto di riaprire tutte le questioni sopite e relegate ai margini come
«prezzi» dolorosi ma inevitabili. Il film di Amenábar Agora, che
ricostruisce con filologica e ammirevole perizia l’ intera vicenda della
vita e della morte di Ipazia di Alessandria, ha innanzi tutto il merito
di restituire alla più ampia fruizione quella vicenda così rilevante e
ancora oggi così traumatica. Incontra e incontrerà censure, ma questo
dimostra soltanto quanto sia stato giusto e necessario concepirlo e
produrlo. Esso ha inoltre il merito di porre al centro della vicenda i
libri, cioè la biblioteca del Serapeo piena di tesori della cultura
antica e perciò invisa ai cristiani e da loro annientata. Le scene della
distruzione della biblioteca sono di ottima fattura e di esattezza
impeccabile.
La battaglia intorno ai libri, nella
quale si erano illustrate le bande al servizio di Teofilo, zio e
predecessore nonché mentore di Cirillo, non ha nulla da invidiare alle
gesta delle orde di Pol Pot. Un altro merito della ricostruzione storica
contenuta in questo film è di mostrare l’ asservimento progressivo del
potere politico a quello della Chiesa e dei vescovi, in specie dei più
violenti e oscurantisti. In tempi di fondamentalismi che si affrontano,
in pieno XXI secolo, nel nome di contrapposti repugnanti pregiudizi,
questo monumento a Ipazia è un ammonimento per tutti. Quel che ci
affascina è che, nonostante tutto, la notizia di lei e della sua opera
sopravvisse. Cosa c’è di più sorprendente e di più ammirevole che
ritrovare dentro una enciclopedia dell’ XI secolo (Suidas) una galleria
di ritratti entusiastici e commossi di filosofi neoplatonici (e pagani)
come Ipazia e Olimpio? La fonte in quel caso è il neoplatonico Damascio.
Contro la scuola neoplatonica di Atene si accanì Giustiniano (529 d.C.)
che cacciò quei filosofi dall’ impero. Alcuni furono uccisi, altri si
rifugiarono presso l’imperatore persiano Cosroe, che li accolse e ne
protesse l’opera. Più tardi, contro i loro eredi si abbatterà ancora
una volta la persecuzione del clero bizantino: in particolare nei
confronti di Gemisto Pletone, con grave danno dei suoi scritti e della
«setta» di Mistrà.
E però saranno proprio questi uomini che
conquisteranno la mente di umanisti come Ficino e costituiranno l’
alimento dell’ Umanesimo e della Rinascita. Insomma quel filo conduttore
di alternativa filosofica all’ imbarbarimento cristiano non si è mai
smarrito. Per converso la parabola del cristianesimo come potenza
politica è stata segnata dall’ accoglimento del peggio dell’eredità
pagana: la superstizione. «I vescovi più rispettabili – scrive Gibbon
con la consueta serenità e finezza – si erano persuasi che il popolo
ignorante avrebbe più volentieri rinunziato al paganesimo, se avesse
trovato qualche somiglianza, o qualche compenso, nel seno del
cristianesimo» (cap. 28). E così accadde. Distanti 800 anni l’ uno dall’
altro l’ uccisione di Socrate e il massacro di Ipazia sono frutto della
stessa «infamia», per usare l’ espressione cara a Voltaire. Écrasez l’infâme, resta il solo imperativo, più che mai attuale.
I libri: su Ipazia il libro da leggere è quello di Gemma Beretta, Ipazia d’Alessandria,
Editori Riuniti, Roma 1993, purtroppo esaurito: perché non lo
ristampano? Di buona qualità scientifica ma rese difficili dalla densità
della scrittura, le pagine di Silvia Ronchey, Ipazia l’intellettuale in A. Fraschetti (a cura di), Roma al femminile, Laterza, Roma-Bari 1994.
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