Qualche anno fa era uscito un bel film intitolato
“Lavorare con lentezza” (mutuando uno slogan del movimento del ’77): si trattava
in sostanza di un elogio della lentezza, intesa come recupero del gusto di fare
le cose senza lasciarsi travolgere dalla smania del fare. Oggi vorrei tentare
un elogio della leggerezza e lo vorrei fare dal mio particolare punto di
vista: la comunicazione.
Partirei da un assunto molto semplice: tanto più una
comunicazione è efficace quanto più è in grado di stimolare una risposta. Sembra una banalità, ma purtroppo
non lo è, visto che gran parte dei messaggi che ci arrivano tutto fanno tranne che provocare un’interazione (peraltro né voluta né
prevista).
Nell’era
di internet 2.0 la tanto sbandierata “collettivizzazione del sapere” sembra
quanto mai un’utopia. E se è vero che, come diceva McLuhan,
che “il mezzo è il messaggio”, non dimentichiamo che il primo di tutti i mezzi
è il linguaggio: non basta aprire una pagina fb o un blog per avviare un
dialogo: la tecnologia serve ma non è tutto, ciò che può essere davvero
inclusivo (o esclusivo) è il linguaggio e l’atteggiamento. Il fatto è – e qui
vengo al punto – che siamo assuefatti a subire la comunicazione: di certi
argomenti hanno il diritto di parlare solo quelli che sanno, che usano certe
parole… Abbiamo paura di esprimerci perché temiamo il giudizio altrui o di
essere trattati con condiscendenza.
Penso
sia giunto il momento di ribellarsi a questi presunti signori della
comunicazione, abituati a prendersi troppo sul serio: seppelliamoli con una
risata. Non fraintendetemi, non sto dicendo di buttare tutto in burla, ma di
ribellarsi ai toni tetri e ai linguaggi da conventicola, di recuperare insomma
un po’ di quella leggerezza che permette di cogliere il senso delle cose al di
là del velo delle parole complicate. Non esistono argomenti tabù come non
esistono modi giusti per parlarne. Chiunque può parlare di qualunque cosa
secondo quella che è la propria formazione, le proprie idee e modo di essere…
l’unico vero tabù è il rispetto per il nostro interlocutore e per l’oggetto del
discorso.
Allora
facciamola questa rivoluzione: che ognuno si senta libero di dire quello che
vuole come vuole e come ne è capace…
Ne
guadagneremo di sicuro in termini di arricchimento di idee, nonché in
soddisfazione personale: è molto più gratificante sapere di contribuire al
dibattito, piuttosto che sentirsi solo spettatori passivi, non credete?
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