Nel 2008 un salvataggio con soldi pubblici. Poi il tentativo di
salvaguardarla da qualunque tipo di concorrenza. Eppure anche la nuova
Alitalia continua a perdere denaro. E tra pochi giorni scade il patto di
sindacato. Un Dossier per capire le cause di una crisi mai risolta.
UN SALVATAGGIO COSTOSO
Nel 2008 Alitalia stava fallendo e – secondo molti,
anche su questo sito – avrebbe dovuto fallire. Per salvaguardare
l’italianità, si era rifiutata una offerta di Air France,
pronta ad accollarsi il buono e il cattivo di una impresa pesantemente
indebitata e con molte parti in cronica, grave perdita. Buttati via
questi soldi il nostro Governo di allora aveva poi spinto per avere una
cordata di imprenditori italiani, accollando il “cattivo” di Alitalia
(la cosiddetta bad company) al Tesoro, con una operazione i cui
costi erano stati stimati in alcuni miliardi di euro, ma non sono mai
stati calcolati a posteriori.
La nuova impresa (Cai, che ha rilevato la cosiddetta good company) è stata poi protetta da qualunque tipo di concorrenza. Da un lato, si è acconsentito alla fusione con AirOne,
l’unico possibile concorrente sulla Linate-Fiumicino. Questa compagnia
aerea apparteneva al gruppo Toto, anch’esso molto indebitato, che con
l’operazione ha risolto a se stesso (e alle banche che erano scoperte
rispetto al gruppo) un po’ di problemi. Dall’altro, per tre anni si sono
legate le mani all’Antistrust, che non ha potuto chiedere al
neo-monopolista alcun “rimedio” serio capace di proteggere i
consumatori.
Negli ultimi anni, una porzione sempre maggiore dei passeggeri sulla Milano-Roma ha scelto invece Trenitalia
(o Italo – comunque, la ferrovia). Ma anche tra i vettori aerei,
Alitalia continua a perdere quote di mercato, sia quanto a collegamenti
europei, sia quanto al mercato interno. E ormai i passeggeri che partono
dall’Italia con Alitalia sono più o meno quelli che usano invece
Ryanair. In sostanza si è confermato che Alitalia in quanto tale non è
un’impresa “speciale” per il paese. Anzi.
IL PATTO SI SCIOGLIE
L’aspetto paradossale è che da questa storia, onerosissima per le
casse pubbliche e per i consumatori, non emerge un’impresa
particolarmente forte, al contrario. La nuova Alitalia continua a
perdere denaro (per fortuna, non più denaro pubblico – ma è ben magra
consolazione): la combinazione di un discutibile modello di business (non low cost, non ad ampio raggio) e di una crisi economica pesantissima è stata difficile da digerire.
Le previsioni per il 2013 sono positive, ma non è
facile comprendere da dove discenda questo ottimismo, stante
l’annunciato accorciamento dei tempi di percorrenza della Milano-Roma
sul Frecciarossa e la perdita del monopolio sulla tratta aerea
Linate-Fiumicino (tra poco, anche EasyJet comincerà a operare su questa
tratta).
Cosa succederà quando (in questi giorni) gli azionisti saranno sciolti
dal patto di sindacato e saranno quindi liberi di cedere le loro azioni?
Difficile pensare che imprenditori di settori ben diversi, che in
questa crisi hanno voglia di concentrare gli sforzi sul loro core business, continueranno a impegnare denaro prezioso in questa impresa. Facile prevedere che Air France finirà per rafforzare il suo controllo su Alitalia. A costi minori (per loro), mentre noi continuiamo a pagare le conseguenze delle scellerate decisioni del 2008-09.
Carlo Scarpa
Alitalia, una crisi senza fine
lavoce.info, 15 gennaio 2013
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