Il ruolo della Chiesa. Cultura, politica e media
A suo tempo, durante l'affare Dreyfus, la
Chiesa si venne a trovare nel campo dei colpevolisti. Come è stato
scritto, "il caso Dreyfus fece da detonatore a un complesso di tensioni
lungamente covate nella Francia di fine
secolo, dove era ancora forte il senso di frustrazione conseguente alla
sconfitta nella guerra contro la Prussia del 1870 (vedi Guerra
franco-prussiana; Revanscismo). La prima sentenza di colpevolezza fu
l’occasione per lo scatenarsi di una violenta campagna antiebraica a
opera di potenti gruppi antisemiti con forti agganci nell’esercito.
L’opinione pubblica liberale, dopo un iniziale silenzio, protestò,
facendo del caso la principale questione pubblica nazionale. L’estrema
destra, l’esercito e la Chiesa cattolica appoggiarono la sentenza della
Corte marziale; numerosi intellettuali, guidati dallo scrittore Anatole
France e dal poeta Charles Péguy, ne denunciarono invece la malafede" (Isabella, http://it.answers.yahoo.com/question/index?qid=20090617021052AAIHwdW). Tra i socialisti si schierò a difesa di Dreyfus il grande Jaurès. Anche Sorel fu dreyfusardo, ma poi si pentì, o fu deluso dall'esito della battaglia.
Adesso invece l'Avvenire, quotidiano dei vescovi italiani, tornando sulla faccenda non accenna neppure
alla posizione della Chiesa in quegli anni. E ci restituisce un
interessante quadro della prova attraversata allora dalla società
francese.
Giovanni Carpinelli
Di per sé il capitano Alfred Dreyfus sarebbe un perfetto ufficiale.
Peccato che sia anche il colpevole perfetto. Siamo nel 1894, sulla
Francia pesa l’onta della sconfitta inflitta dalla Prussia e le
inquietudini di un nazionalismo sempre più aggressivo vanno di pari
passo con un antisemitismo virato in chiave patriottica, se non
addirittura “rivoluzionaria”. Il capitano Dreyfus è ebreo, per sua
sfortuna, e tanto basta per incriminarlo in quanto autore del famigerato
bordereau, l’appunto che rivela i traffici segreti tra una spia
francese e la Germania. È una vicenda che crediamo di conoscere bene:
Dreyfus è innocente, in suo soccorso si leva la voce del romanziere
Émile Zola, l’opinione pubblica si mobilita, l’ufficiale viene
riabilitato... Peccato che, a riassumerla così, la storia non renda
conto delle contraddizioni che ancora oggi fanno dell’affaire uno dei
momenti cruciali nel rapporto tra cultura, politica e mezzi di
comunicazione.
A suggerire una prospettiva più articolata, oltre che
ricca di spunti utili per la nostra attualità, provvede ora il bel
saggio della francesista Agnese Silvestri, Il caso Dreyfus e la nascita
dell’intellettuale moderno (FrancoAngeli, pagine 416, euro 37). Si
tratta di un’antologia molto ragionata e benissimo documentata, in cui
scorre una varietà di posizioni rispetto alle quali il ruolo svolto dal
celebre J’Accuse di Zola risulta non sminuito, ma inserito in un
contesto più ampio e, di conseguenza, ancora più significativo.
...
Prende forma in questo modo il paradosso di cui l’affaire resta
portatore. Gli innocentisti invocano le ragioni del metodo e si
appellano all’evidenza delle prove, mentre gli antidreyfusardi sfoggiano
un repertorio in cui il pregiudizio si intreccia al dileggio e alla
diffamazione. Per loro quello che si è costituito in difesa del capitano
è, spregiativamente, «il Sindacato», la buona fede di Dreyfus non può
neppure essere presa in considerazione perché il capitano, in quanto
ebreo, non è veramente francese e le origini italiane di Zola gettano
un’ombra di sospetto sulle vere motivazioni dei suoi interventi. Prima
ancora che in tribunale, la battaglia si combatte a mezzo stampa.
L’editore Stock sforna opuscoli a ripetizione nell’intento di
smascherare la macchinazione di cui Dreyfus è vittima e intanto sul
fronte opposto l’atteggiamento bellicoso di testate come
«L’Intransigeant» e «La Libre Parole» è rinfocolato dalla prosa
sopraffina di Maurice Barrès. Il risultato, nell’immediato, è
sconfortante: Zola viene portato in giudizio e condannato, il suicidio
del colonnello Henry, colpevole di aver allestito il falso dossier,
scatena un’ulteriore campagna mistificatoria e perfino l’invocata
revisione del processo a Dreyfus si conclude con la conferma della
sentenza precedente. A chiudere i giochi provvede, finalmente, la grazia
concessa dal presidente Loubet. È il 1899, per la riabilitazione
formale dell’ufficiale occorre attendere il 1906. Ma il cambio di secolo
non ha placato il pregiudizio antisemita, né ha messo l’opinione
pubblica al riparo dalle lusinghe della propaganda. Rispetto alle quali,
anche ai giorni nostri, la realtà dei fatti fatica sempre ad
affermarsi.
Alessandro Zaccuri
http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/dreyfus-processo-alla-propaganda.aspx
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