giovedì 24 gennaio 2013

Amato lord di Siena

Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del Cattivo Governo (1338-1339), Parete di sinistra della Sala dei Nove, Palazzo Pubblico, Siena


Chissà che il dottor sottile non si sia giocato il Quirinale in questa vicenda, o piuttosto nella sua ricaduta sotto forma di scandalo. Se poi questo dovesse addirittura favorire la sua candidatura, mettendolo nella posizione del complice salvaguardato per garantire tutti, allora sarebbe un pessimo segno. Certo non tutte le colpe portano a Roma. Amato ha coperto l'ingordigia dei politici (e della stessa popolazione) locali. Sul territorio pochi erano disposti a perdere il controllo sulla banca. Così è diventato possibile Mussari, che ha tentato l'impossibile per poter reggere il gioco e si è sfracellato rovinosamente. L'hybris fa di questi scherzi.

Giovanni Carpinelli

Amato lord di Siena, storia politica di un dissesto
Stefano Cingolani
Il Foglio, 24 gennaio 2013

Alexandria, Santorini, cdo, abs, trs, nomi da crociera, acronimi esoterici, il mondo stregato dei derivati che fanno scandalo, escrescenze della finanza, crusca del diavolo. Sono solo ombre, epifenomeni. La sostanza è ben più allarmante. Ecco perché Giuseppe Mussari, che per undici anni ha tenuto le redini al Monte dei Paschi di Siena, si è dimesso da presidente dell’Assobancaria italiana. Ieri il titolo è caduto ancora del 7 per cento, ma la sensazione generale è che siamo solo all’inizio. Banca d’Italia, in serata, ha fatto sapere che “la vera natura di alcune operazioni” è emersa solo di recente, dopo il “rinvenimento di documenti tenuti celati all’Autorità di vigilanza” e portati alla luce, ha sottolineato Palazzo Koch, “dalla nuova dirigenza di Mps” (Alessandro Profumo ringrazia: “Pronti a rivalerci sugli amministratori precedenti”). Ora sono in corso “approfondimenti e indagini” e venerdì è prevista una movimentata assemblea degli azionisti. Le perdite nascoste e il belletto steso sui conti grazie a operazioni rivelatesi fallimentari, conducono con un inesorabile filo di Arianna al vero nocciolo oscuro: l’acquisizione di Antonveneta dal Banco di Santander di Emilio Botín (assistito da Ettore Gotti Tedeschi). La banca di Padova è stata pagata 9 miliardi di euro poi saliti a dieci, tre più di quanto fosse costata al venditore e 5 o 6 miliardi oltre il valore patrimoniale, stando alle stime del commercialista Tommaso Di Tanno, membro del collegio sindacale, portate in consiglio nell’assemblea di Mps il 27 aprile dello scorso anno. Sulla operazione pende un’indagine della magistratura e un’accusa di aggiotaggio e ostacolo alla Vigilanza. E cala il sospetto su presunte operazioni estero su estero che varrebbero fino a un miliardo e mezzo di euro. In quel crudele aprile in cui Alessandro Profumo prende il posto di Mussari, con il piglio del risanatore, spunta anche Alexandria. Il contratto viene rivelato persino in tv da un anonimo funzionario intervistato da “Report” di Milena Gabanelli. E’ il 6 maggio. Sono cominciate anche le prime turbolenze interne. Nessuno si sente più al sicuro. Si parla di teste che rotolano, tagli, licenziamenti, i primi nella secolare storia. Volano gli stracci, le parole, le carte. Le cifre del resto sono impressionanti. Dal 2011 ai primi nove mesi del 2012 la banca senese ha accumulato 6,2 miliardi di perdite. Ha in pancia titoli di stato per 26 miliardi (due volte e mezzo il capitale, ma in qualche modo questo ha un valore “patriottico”); derivati per 11 miliardi; e ben 17 miliardi di crediti a rischio. Profumo deve bussare alla porta del Tesoro che emette titoli speciali, i cosiddetti Monti bond, per due miliardi che si aggiungono a 1,9 miliardi di Tremonti bond del 2009. Quattrini dei contribuenti i quali vorrebbero chiarezza. “Ci vorrebbe un’operazione trasparenza, una indagine approfondita condotta da un organismo indipendente”, propone Giancarlo Galli, che conosce bene “la giungla degli gnomi”, come ha definito la finanza. Come stanno davvero le banche italiane? In questi giorni è in corso la missione del Fondo monetario internazionale. Ma per Galli non c’è certezza, perché “ogni banchiere ha come emblema un gattopardo”.
Giuseppe Mussari è diventato presidente dell’Assobancaria nel 2010 sostenuto da Giovanni Bazoli, presidente di Intesa, che ha convinto lo stesso Profumo allora capo di Unicredit. Sarebbe stato proprio Bazoli, l’altroieri, a invitare Mussari a mollare. Anche Giuseppe Guzzetti, il gran patron delle fondazioni e presidente dell’Associazione casse di risparmio, aveva preso il giovane avvocato sotto la sua ala, nominandolo vicepresidente dell’Acri. Ma nel giro di relazioni eccellenti entra anche Giuliano Amato, ex premier ora in corsa per il Quirinale, da sempre gran protettore di Siena, città ultramassonica. Il filo si snoda ancora e porta indietro al 2002 quando Mps voleva acquisire la Bnl e venne stoppata dalla Banca d’Italia; Bankitalia chiede alla Fondazione di scendere sotto il 50 per cento come prevede la legge. E ancora al 2005. E’ l’anno delle scalate parallele, ma Mps si sfila e non sostiene la Unipol di Giovanni Consorte. E’ Mussari a guidare la Fondazione e il suo atteggiamento provoca una frattura nei Democratici di sinistra che controllano Siena e la banca. Piero Fassino e Massimo D’Alema se la prendono, ma i senesi possono vantare autorevoli amici a cominciare da Amato che viene eletto deputato proprio a Siena, e Franco Bassanini che del Montepaschi è stato anche vicepresidente. Sì, perché la politica in banca c’è entrata sempre, soprattutto là dove la banca è sempre stata sistema. Il sindaco è un dipendente del Monte che poi vuol diventarne il capo come Pierluigi Piccini che aspira a guidare la Fondazione. E’ allora che entra in campo il giovane avvocato nato a Catanzaro nel 1962, ma ormai senese a tutti gli effetti.
La debolezza del Montepaschi emerge già nella seconda metà degli anni 90, ricorda Angelo De Mattia allora alla Banca d’Italia con il governatore Antonio Fazio. La foresta pietrificata comincia a muoversi, le banche si aggregano, nascono nuovi gruppi. Il Mps si chiude a Rocca Salimbeni, il suo quartier generale, e difende la senesità. Quando mette gli occhi sulla Bnl, allora controllata direttamente dal Tesoro, la Fondazione azionista rifiuta di ridimensionare la propria presenza. Intanto è al governo Silvio Berlusconi e al Tesoro c’è Giulio Tremonti; i diessini senesi gridano al complotto della destra. All’insegna del rinnovamento, nel 2002 arriva Vincenzo De Bustis, banchiere dalemiano, che porta la Banca del Salento (poi ribattezzata 121). Con essa entrano nelle antiche casseforti del Monte anche esotici prodotti che si chiamano Mayway, 4you, Btp-tel e altre diavolerie per le quali la banca verrà condannata per scarsa trasparenza dai tribunali di Firenze e Brindisi. De Bustis passa a Deutsche Bank la quale finanzia Stefano Ricucci nell’improbabile assalto al Corriere della Sera.
Siamo all’estate dei furbetti e al gran rifiuto che un anno dopo porterà Mussari direttamente alla guida del Monte. I Ds si spaccano. Amato non nasconde la sua contrarietà alle scalate. I dalemiani s’inalberano. Vincenzo Visco che non aveva nascosto le sue critiche per l’autoreferenzialità della banca quando era ministro del Tesoro nel 2000, vorrebbe chiarezza. Nicola Latorre, pro D’Alema, se la prende con la Fondazione, “simbolo della conservazione”. La grande rivincita arriva nel novembre 2007 con l’operazione Antonveneta che coglie tutti di sorpresa. Il prezzo fa suonare un campanello d’allarme, ma le critiche vengono messe a tacere perché attorno tutto si muove in modo frenetico. Nel gennaio Intesa si fonde con Sanpaolo, creando un nuovo asse tra Milano e Torino, a maggio Unicredit acquisisce Capitalia e porta Cesare Geronzi sulla poltrona di Enrico Cuccia. Siena doveva restare con le pive nel sacco? Ettore Gotti Tedeschi, rappresentante in Italia del Santander fa da intermediario con Botìn che aveva appena preso la banca da Abn Amro, la banca olandese affondata dalla crisi dei subprime. L’orgoglio costa caro. Al di là delle inchieste giudiziarie (e vedremo che cosa verrà fuori) la decisione pare avventata. Per sopportarne l’onere, finanza creativa. Anche perché la gestione ordinaria non va bene. I titoli Alexandria erano stati acquistati nel 2005 da Dresdner Bank: 400 milioni e due anni dopo ne valevano 180. A quel punto, entra in campo Nomura con la quale si stipula un contratto per acquistare 3 miliardi di Btp trentennali facendosi prestare i quattrini dalla stessa banca giapponese. L’idea è di spalmare il rischio nel tempo. Intanto, la crisi dei debiti sovrani, i Btp crollano e viene firmato il contratto segreto che consente di scaricare le perdite su Nomura e abbellire il bilancio 2009. Spunta anche Santorini, vicenda che risale al 2002 e coinvolge Deutsche Bank: nel 2008 si stipula un prestito per coprire le perdite di un precedente contratto. Alla fine, per liquidare l’operazione nel 2009 si spendono 224 milioni.
Al di là dei dettagli tecnici che andranno esaminati con attenzione (i derivati sono marchingegni giuridici nei quali si perde anche chi li ha costruiti e tutto è nelle mani dei magistrati senesi) l’impressione è che il Montepaschi sia stremato da un’acquisizione al di sopra delle sue forze. Ecco perché tutti i fili di questa complicata matassa riconducono poi alla banca patavina. Mussari ha peccato di hybris? Si è fidato troppo della propria abilità, delle protezioni eccellenti, di quel sistema senese che mette insieme la curia, la massoneria, i sindacati, gli ex socialisti e gli ex comunisti? E’ probabile. Siena non può cadere, invece “è finito il mondo dei numi tutelari”, commenta De Mattia. Questo vale anche per i più autorevoli, fossero candidati al Quirinale o suoi inquilini. E ricorda la battuta di Cuccia: “Conta solo il titolo quinto, chi ha i soldi ha vinto”.

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