martedì 15 settembre 2015

La moda dettata dal basso: i jeans e il rock



G. Simmel
La moda (1885)

La moda è imitazione di un modello dato e appaga il bisogno di appoggio sociale, conduce il singolo sulla via che tutti percorrono, dà un universale che fa del comportamento di ogni singolo un mero esempio. Nondimeno appaga il bisogno di diversità, la tendenza alla differenziazione, al cambiamento, al distinguersi. Se da un lato questo risultato le è possibile con il cambiamento dei contenuti che caratterizza in modo individuale la moda di oggi nei confronti di quella di ieri e di quella di domani, la ragione fondamentale della sua efficacia è che le mode sono sempre mode di classe, che le mode della classe più elevata si distinguono da quella della classe inferiore e vengono abbandonate nel momento in cui quest'ultima comincia a farle proprie. Così la moda non è altro che una delle tante forme di vita con le quali la tendenza all'uguaglianza sociale e quella alla differenziazione individuale e alla variazione si congiungono in un fare unitario.




















Eric Hobsbawm 
Il secolo breve (1994)


La cultura giovanile divenne la matrice di quella più ampia rivolu­zione culturale che, modificando i costumi, il modo di trascorrere il tempo libero e la grafica pubblici­taria, creò sempre di più la parti­colare atmosfera nella quale era immersa la vita di uomini e donne che abitavano nelle città. Due ca­ratteristiche della cultura giovanile sono rilevanti a questo proposi­to. Essa fu una cultura «demotica» (cioè di ispirazione popolare) e «antinomiana» (cioè avversa a ogni tipo di regola) soprattutto in merito alla condotta personale. Ognuno doveva «fare quello che gli pare­va», con il minimo di costrizione esterna, benché in pratica la pres­sione dei coetanei e della moda im­ponesse la stessa uniformità che in passato, almeno nei gruppi di gio­vani coetanei che condividevano la stessa sottocultura. […]
La novità degli anni '50 fu che i gio­vani del ceto medio e alto, almeno nel mondo anglosassone, che sem­pre più determinava il tono genera­le della moda e della cultura di massa, cominciarono ad accogliere come loro modello ciò che era, o ciò che essi consideravano fosse, la musica, i vestiti, perfino il linguag­gio delle classi inferiori dei centri urbani. La musica rock fu l'esem­pio più impressionante. A metà de­gli anni '50 il rock uscì all'improv­viso dal ghetto della musica che le case discografiche americane clas­sificavano nei propri cataloghi co­me «Race» o «Rhythm and Blues» e che era destinata ai neri america­ni poveri, per diventare il linguag­gio musicale universale dei giovani e in particolare dei giovani bianchi. I giovanotti eccentrici ed eleganti delle classi lavoratrici in passato avevano talvolta derivato il proprio stile dalla moda raffinata degli stra­ti sociali superiori o dalle sottocul­ture della classe media, come la bohème artistica; le ragazze delle classi lavoratrici avevano fatto lo stesso in misura ancora più alta. Ora sembrò verificarsi un curioso rovesciamento. Il mercato della moda per i giovani di basso livello sociale stabilì la propria indipen­denza e diede il tono anche al mer­cato riservato ai giovani delle classi alte. Mentre i blue jeans si diffon­devano sempre più tra uomini e donne, l'alta moda parigina arretra­va, o piuttosto accettava la sconfitta utilizzando i suoi marchi di presti­gio per vendere prodotti di massa, direttamente o attraverso la concessione di licenze commerciali. Il1965 fu, tra l'altro, il primo anno in cui l'industria francese dell'abbi­gliamento femminile produsse più pantaloni che gonne. I giovani ari­stocratici cominciarono a perdere l'accento che, in Inghilterra, aveva identificato immancabilmente l’ap­partenenza alla loro classe. e inizia­rono a usare un linguaggio che era un'approssimazione di quello pro­prio della classe operaia di Lon­dra (A Eton i giovanotti iniziarono ad usare questo tipo di linguaggio verso la fine degli anni Cinquanta, secondo un vicedirettore di quella scuola di élite). Giovanotti e anche signorine perbene cominciarono a copiare quella che un tempo era una con­suetudine volgare e inaccettabile diffusa tra gli operai. i soldati e si­mili, ossia l'intercalare di parole oscene nella conversazione normale.. La letteratura tenne il passo: un brillante critico teatrale pronunciò la parola «fottere» durante una tra­smissione radiofonica. Per la prima volta nella storia delle favole, Cene­rentola divenne la reginetta del bal­lo proprio perché non indossava abiti meravigliosi.





















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