Marino Niola
L’enigma
di Enea. Eroe o disertore?
Maurizio
Bettini e Mario Lentano sulle tracce del personaggio virgiliano
la
Repubblica, 11 gennaio 2014
«La
fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia, due quarti alla
sorte e l’altro quarto ai loro delitti». La frase che Ugo Foscolo
fa pronunciare a Jacopo Ortis è profondamente vera, ma solo a metà.
Perché a fare una buona pasta d’eroe non bastano le materie prime.
Ad essere decisivo è il loro assemblaggio, il modo in cui l’officina
del mito ne costruisce la figura. E la ricostruisce. Dandole
connotati e significati che mutano col passare dei tempi. Un esempio
perfetto del funzionamento della macchina mitologica ce lo offrono
Maurizio Bettini e Mario Lentano in uno splendido libro dedicato a
Enea, un personaggio che più mitico non si può (Il mito di Enea.
Immagini e racconti dalla Grecia a oggi,Einaudi).
Coprotagonista
dignitoso dell’Iliade omerica, il figlio di Venere e Anchise
diventa, al termine di una lunga serie di peripezie, il primattore
dell’Eneide di Virgilio. Che ne italianizza la figura facendone il
lontano progenitore di Roma.
Gli
autori ci guidano abilmente attraverso la complessa partitura
mitografica decostruendola nelle sue innumerevoli varianti, poetiche,
letterarie, iconografiche, musicali. Ciascuna delle quali aggiunge o
toglie qualcosa al ritratto dell’eroe virgiliano. Che per noi resta
l’immagine madre, quella che ha tuttora il volto delpio Enea. Ma
chi Enea sia veramente è difficile dirlo perché più lo si guarda
da vicino più l’immagine si scompone in mille particolari. Che non
raccontano tutti la stessa storia. Anzi ciascuno è l’indizio e
l’inizio di una controstoria, dove le materie prime della ricetta
foscoliana, audacia, sorte, delitti, vengono rimescolate ogni volta
in modo diverso, con effetti spesso opposti. Risultato, Enea è uno
nessuno e centomila. E finché resterà un mito, capace di parlare
alla nostra mente e ai nostri cuori, continuerà a mutare pelle. Ed è
proprio grazie a questa incessante metamorfosi che le storie degli
antichi continuano a vivere nel nostro immaginario.
In
realtà l’Enea che nasce da quel big bang dell’universo
mitologico antico che è la guerra di Troia, ha un destino che va in
senso opposto a quello di Achille, Ettore, Aiace. I diversi frontman omerici sono esseri per la morte, per dirla con Heidegger. E la
loro fine segna appunto il tramonto dell’età eroica. La loro
dimensione è il passato. Tutto il contrario di Enea che comincia la
sua vita proprio dalle ceneri della città di Priamo, prendendo il
largo verso il futuro. Bettini e Lentano si mettono sulle sue tracce,
si calano nella profonda spirale del mito sottoponendo a
un’affascinante interrogazione le voci greche, romane e cristiane.
L’indagine finisce per gettare non poche ombre sulla condotta
morale del padre di Ascanio. E perfino sul suo ardore guerriero.
Secondo Tertulliano, Lattanzio e sant’Agostino che, da
intellettuali cristiani, avevano tutto l’interesse a screditare uno
dei simboli identitari della Roma pagana, l’eroe sarebbe stato così
poco coraggioso da abbandonare Troia prima della battaglia finale.
Così l’immagine edificante del grande guerriero che porta in salvo
il vecchio padre, viene oscurata da quella infamante del disertore. E
perfino del traditore. Della patria, ma anche delle donne che egli
incontra nel suo viaggio e dalle quali ha spesso figli: un nome per
tutti, Lavinia, moglie italica del troiano errante, nonché madre
primigenia di una stirpe che arriva a Romolo e Remo.
Ma
l’affaire più celebre resta quello con Didone, che gli autori
ricostruiscono in un avvincente capitolo intitolato «Aeneas in
love». Il transfuga, fresco vedovo di Creusa, arriva a Cartagine
dove conquista i favori e le grazie della bella regina. E poi la
molla per correre dietro alla sua missione. Sedotta e abbandonata,
l’infelice sovrana si uccide per il dolore. Mentre Enea non si
lascia sfuggire una sola parola d’amore per la donna. Come si
addice a un uomo duro e impuro. La storia comunque ha fatto
giustizia. Il lamento di Didone è sopravvissuto all’afasia di
Enea. Volando fino a noi sulle ali iridescenti della musica di Henry
Purcell. E ci spezza ancora il cuore. Perché alla fine la passione
vince su ogni missione.
Enea e Didone nell'Ade
Eneide, libro VI
traduzione di Luca Canali
450 Tra queste donne vagava nella grande selva
Didone con la ferita recente. Appena Enea
le fu vicino e la riconobbe in mezzo alle ombre,
oscuramente, come chi scorge o crede di scorgere
all’inizio del mese la luna in mezzo alle nubi,
455 pianse e le si rivolse con dolce amore:
“Infelice Didone, era dunque vera
la notizia che ti eri uccisa col ferro, compiendo la scelta suprema?
Io sono stato la causa della tua morte? Eppure ti giuro
sulle stelle, sugli dei, e se qualcosa fa fede sotto la terra,
460 malvolentieri, regina, ho lasciato il tuo paese.
Ma il comando divino che adesso mi fa andare in mezzo alle ombre,
per luoghi squallidi e desolati, nel buio profondo,
mi obbligò col suo potere, e non potevo credere
che la mia partenza t’avrebbe dato tanto dolore.
465 Fermati, non ti sottrarre al mio sguardo.
Chi fuggi? Per destino, è questa l’ultima volta che posso parlarti”.
Con queste parole Enea cercava di addolcire la donna
ardente, torva nel volto, e versava lacrime.
Lei senza guardarlo teneva gli occhi fissi per terra.
470 Le parole di Enea non cambiavano l’espressione
del suo volto più che se fosse di pietra o di marmo.
Alla fine si scosse e si rifugiò, ostile,
nel bosco ombroso, dove il primo marito, Sicheo,
risponde al suo affanno e ricambia il suo amore.
475 Nondimeno Enea, sconvolto dall’iniqua sciagura,
la segue a lungo nel suo cammino, e la commisera, e piange.
Eneide, libro VI
traduzione di Luca Canali
450 Tra queste donne vagava nella grande selva
Didone con la ferita recente. Appena Enea
le fu vicino e la riconobbe in mezzo alle ombre,
oscuramente, come chi scorge o crede di scorgere
all’inizio del mese la luna in mezzo alle nubi,
455 pianse e le si rivolse con dolce amore:
“Infelice Didone, era dunque vera
la notizia che ti eri uccisa col ferro, compiendo la scelta suprema?
Io sono stato la causa della tua morte? Eppure ti giuro
sulle stelle, sugli dei, e se qualcosa fa fede sotto la terra,
460 malvolentieri, regina, ho lasciato il tuo paese.
Ma il comando divino che adesso mi fa andare in mezzo alle ombre,
per luoghi squallidi e desolati, nel buio profondo,
mi obbligò col suo potere, e non potevo credere
che la mia partenza t’avrebbe dato tanto dolore.
465 Fermati, non ti sottrarre al mio sguardo.
Chi fuggi? Per destino, è questa l’ultima volta che posso parlarti”.
Con queste parole Enea cercava di addolcire la donna
ardente, torva nel volto, e versava lacrime.
Lei senza guardarlo teneva gli occhi fissi per terra.
470 Le parole di Enea non cambiavano l’espressione
del suo volto più che se fosse di pietra o di marmo.
Alla fine si scosse e si rifugiò, ostile,
nel bosco ombroso, dove il primo marito, Sicheo,
risponde al suo affanno e ricambia il suo amore.
475 Nondimeno Enea, sconvolto dall’iniqua sciagura,
la segue a lungo nel suo cammino, e la commisera, e piange.
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