E' il primo componimento del Canzoniere
in morte di Laura, quello in cui si annuncia l'evento. Laura morì ad
Avignone il 6 aprile 1348, intorno all’ora prima, a ventun anni esatti dall'incontro con il poeta. Questi apprese la
notizia a Parma soltanto il 19 maggio, e subito la annotò sulla
prima pagina della sua edizione delle opere di Virgilio: «Laura,
illustre per le sue virtù e lungamente celebrata nelle mie poesie,
apparve per la prima volta ai miei occhi al principio della mia
adolescenza, l’anno del Signore 1327, il sei di aprile nella chiesa
di Santa Chiara in Avignone, di prima mattina; e nella stessa città,
nello stesso mese d’aprile, nella stessa ora prima del giorno sei
dell’anno 1348, la luce della sua vita è stata sottratta alla luce
del giorno». La rievocazione di Laura passa dal generico compianto
per la bellezza perduta al ricordo specifico dell’ultimo incontro
con lei, eccezionalmente pieno di speranze destinate a essere
cancellate dalla sorte.
CCLXVII
Oimé il
bel viso, oimé il soave sguardo
Oimé il bel viso, oimé il
soave sguardo,
oimé il leggiadro,
portamento altèro!
Oimé il parlar ch’ogni
aspro ingegno e fero
facevi umìle, ed ogni uom
vil gagliardo! 4
Et oimé il dolce riso onde
uscìo ’l dardo
di che morte, altro bene
omai non spero!
Alma real, dignissima
d’impero,
se non fossi fra noi scesa
sì tardo! 8
Per voi convèn ch’io
arda e ’n voi respire;
ch’i’ pur fui vostro; e
se di voi son privo,
via men d’ogni sventura
altra mi dole. 11
Di speranza m’empieste, e
di desire,
quand’io parti’ dal
sommo piacer vivo;
ma ’l vento ne portava le
parole. 14
Parafrasi
Oimè il bel viso, oimè il dolce sguardo,
oimè il portamento raffinato e nobile;
oimè le parole con cui rendevi umile ogni carattere
duro e selvatico, e coraggioso ogni uomo vile.
e oimè il dolce sorriso, con cui mi scagliaste la freccia
dalla quale ormai non spero di ottenere altro bene che la morte:
o anima regale, degna dell’impero,
se non foste nata tanto tardi!
E’ bene che io vi ami, che io viva per voi,
perché io sono stato sempre vostro; e voi ora non ci siete più,
per ogni altra sventura provo meno dolore.
Quando sono andato via da voi suprema gioia ancor viva,
mi avete riempito di speranza e di desiderio,
ma il vento portava via le parole.
Claudio
Monteverdi, Madrigali. Libro VI, n. 6, a 5 voci e basso continuo
https://www.youtube.com/watch?v=SLfz0FXD9cg
°°°
Emblema del tormento amoroso
...
lo spunto reale è, per il Petrarca, non più che emblematico: gli
serve, cioè, per stabilire fin dall’inizio un distacco dal
personaggio femminile della lirica erotica dello stilnovo e di Dante,
quasi ipostasi della divinità, e, comunque, sempre manifestazione
sensibile ed epifania di una figura divina, che partecipa
essenzialmente del cielo e indica all’amante la strada della
purificazione e della salvezza. Ma al di là di questo momento,
tuttavia fondamentale, il «personaggio» di Laura è molto più
lontano delle donne stilnoviste (di Beatrice) da ogni ambito di
concreta esperienza: Beatrice può manifestarsi sensibilmente in
exempla, nei quali segnala la propria condizione divina, di
Laura non riconosciamo mai un possibile episodio, un istante di vita,
una scena in cui agisca o appaia. Il fatto è che Laura è nel
canzoniere totalmente risolta in emblema. Per questo si fissano di
lei i più generali caratteri decorativi, i capelli biondi, la
mano bianca, le belle membra, che disegnano l’idea stessa della
femminilità quale molti secoli di poesia occidentale
ripeteranno fedelmente (almeno fino all’età barocca). In quanto
emblema, non esiste un paesaggio intorno a lei, che, anzi, risolve in
sé il paesaggio: è questo il senso dei giochi verbali su l’«aura»,
«l’auro», il «lauro», ecc., che ritornano costantemente nella
trama dei Rerum vulgarium fragmenta. Le indicazioni dei
luoghi, delle stagioni, della natura sono sempre in funzione della
predicazione unica, totale di quell’emblema amoroso che è
Laura: la quale esemplifica allora l’intera possibilità di dire
intorno all’amore, sia nel momento dello slancio e della
dichiarazione, sia in quello, strettamente al primo congiunto e
inevitabilmente presente per la possibilità stessa di fare poesia
d’amore, rappresentato dalla delusione, dal tormento, dal rovello,
dalla repulsa, dalla disperazione dell’impossibilità e della
lontananza. Tutta la dialettica della «bella fera» ha le sue radici
nell’emblematizzazione di Laura a luogo in cui si compendia
tutto lo sperimentabile amoroso: la contemplazione della bellezza
e la fuga della donna, il sorriso e l’ira, la vita e la morte. Si
comprende allora come sia assolutamente necessaria la divisione del
Canzoniere fra vita e morte di Laura: la morte di Laura
non è tanto un fatto biografico, quanto la manifestazione
estrinsecamente clamorosa dell’inevitabile presenza dello strazio e
della disperazione in quella totalità d’esperienza erotica che il
Petrarca intende raccogliere intorno all’emblema di Laura. A questo
punto, il Petrarca può rendere Laura anche emblema della gloria
(Laura = lauro = laurea), se è vero che Laura assorbe nella sua
funzione emblematica ogni possibile sezione del reale che il Petrarca
consideri praticabile. A un certo punto, il rapporto di pentimento
dell’errore rappresentato dall’«amar cosa mortale» e la
confessione a Dio saranno ancora sotto il segno di Laura, in quanto
anche il contrasto spirituale rappresenta un elemento di quello
strazio che l’amore porta con sé e che nell’emblema di
Laura si raccoglie. Non c’è, allora, nessun distacco fra la Laura
del Rerum vulgarium fragmenta e la Laura dei Trionfi
(soprattutto il Triumphum Amoris, il Triumphum Pudicitiae,
il Triumphum Mortis, dove è descritta mirabilmente la morte
di Laura come emblema della morte in assoluto). Nel decorativismo
gotico dei Trionfi appare ancora più chiara la funzione di
emblema totale dell’amore come misura del rapporto con il
reale che Laura rappresenta per il Petrarca.
Letteratura europea Utet
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