Anche
se quello di fb non è un balcone da cui mi affaccio spesso, ritrovo
qui stamattina, svegliandomi all'alba del giorno in cui Luca avrebbe
compiuto 54 anni, tante parole che mi scaldano il cuore. E' una parte
consistente di quella rete di affetti e di coraggio che ci ha
consentito in questi dieci anni di non cadere nel vuoto della
disperazione e nel sacco della malattia. Ho tirato fuori una foto di
Luca bambino seduto al banco di scuola. Ha il grembiule e in mano una
penna un po' sollevata dal foglio. Le sopracciglia ben disegnate, che
ho cercato di imprimermi bene nella memoria nelle ore dell'agonia.
Quella penna si è poi posata su molti fogli e, come ha ricordato
Guido Montanari ieri sera, è stato uno strumento duttile e
tagliente. Una penna che ha saputo dare forma al racconto
dell'accoglienza dei profughi, a memorie familiari e storiche, al
racconto di luoghi lontani (dall'Ucraina all'Afghanistan e alla
Somalia), alla denuncia delle mistificazioni e della falsità (per la
Tav come per lo smercio del marchio della "bontà"). Quel
bambino non sapeva, non sa. Ma l'espressione seria, concentrata,
attenta, racconta molte cose sulle origini delle molte strade
percorse, con lo sguardo vigile di chi vuole capire e a occhi aperti
si tuffa nella vita "a testa in giù". Come ho detto ieri.
è stato Luca stesso a descriversi in questo modo, in "Piove
all'insù": "Sedici anni, più o meno, voglia di urlare e
di portarmi una ragazza pulita dentro quel mondo di urla spine
spigoli in cui mi sentivo ficcato a testa in giù". Luca ha
percorso davvero tutta la vita "a testa in giù" e io (la
ragazza pulita) l' ho seguito, finché è stato difficile, in molte
imprese difficili. Perché il suo motto era per davvero, come ci ha
spiegato lui stesso nella "lettera alle pulci", SI PUO'
FARE. Si poteva inseguire un amore con ardore donchisciottesco e
romantico (la madre dovette spedirlo a fare un viaggio perché si
togliesse "la ragazza pulita" dalla testa); ma si poteva
anche provare a risvegliare mio padre dal coma dopo un'operazione
all'aorta (e ci riuscì davvero), importare 365 profughi dalla ex
Jugoslavia (e farne passare 29 da casa nostra), affrontare una
malattia mortale. Per lui si poteva sempre "fare" al di là
di ogni evidenza e di ogni compromesso. E ha fatto davvero tantissime
cose, sentendosi anche una persona fortunata e felice (quando le
condizioni oggettive erano quelle di una lunga marcia in salita). Lo
so che è facile scivolare nel fossato della retorica e lui non lo
vorrebbe. Ma pensare il mondo senza le meccaniche dell'intelligenza
di Luca e senza i battiti del suo cuore generoso per me è molto
difficile. Ci mettemmo insieme nel 1979 e trentasei anni sono una
vita, sono la parte più consistente della mia vita. Si è meritato
tutto e, come ha detto il suo amico Lorenzo Fazio, si sarebbe
meritato anche di più: ma poi riusciva sempre a dire la verità, a
indispettire, a essere lucido (cosa che non è di questo mondo e di
questi tempi). Ma tutte queste cose, amici di una vita, voi le sapete
e allora forse la cosa più saggia è abbracciarvi tutti, senza
dimenticare nessuno. Siete i compagni con cui abbiamo navigato nella
bonaccia e nella tempesta, tutti diversi ma tutti solidali, pronti e
pieni di affetto. Tutto il mondo del d'Azeglio, che ha impresso il
marchio indelebile sulle nostre vite, il comitato profughi ex
Jugoslavia (una sua geniale invenzione il "permesso turistico
per motivi umanitari" con cui tirò fuori dall'inferno della
guerra molte persone), gli allievi di ogni scuola e di ogni tipo, i
fans, i lettori, i colleghi dei giornali in cui ha lavorato. Mi siete
passati davanti uno a uno in questi giorni, in una sorta di "rivista
militare" che a lui sarebbe molto piaciuta (come la preghiera
dell'alpino della quarantesima batteria). Lo avete accompagnato nel
passaggio difficile di cui parlammo molte volte in questi anni in
vario modo (dal grottesco al tragico al faceto) per poi concludere,
qualche giorno fa con un "non farà poi male". Un altro SI
PUO' FARE come un guanto di sfida gettato in faccia alla morte. Ha
vinto lui, amici, sarete tutti d'accordo. E vi ringrazio tutti, dal
primo all'ultimo, per averlo accompagnato (nel modo a lui più
congeniale, fra preghiere bosniache e fette di anguria, musica e
parole che abbiamo provato a versare nelle sue orecchie). Non sapete
il bene che mi ha fatto attraversare i vostri sguardi profondi e
grati, disperati e allegri, per strapparmi un sorriso che proprio non
veniva, perché, come diceva credo Machiavelli (alias il professor
Caldi) "rido e il riso non entra dentro, piango e il pianto non
esce fuori". Un abbraccio fortissimo
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