La scelta di scrivere un
romanzo è tutt’altra cosa: è la scelta di affrontare temi
generali, se non universali, che riguardano prima di tutto i lati
oscuri di chi scrive. Ho voluto raccontare un male che è ovunque e
che io per primo porto dentro (se c’è un personaggio a chiave ne
“I buoni” è forse il solo Andrea, costruito su di me e sulle mie
potenzialità più negative).
Luca Rastello,
Lettera al Direttore di minima et moralia, 3 aprile 2014
... Sente freddo, allora tira
fuori dalla tasca il suo quadernetto e dalla controcopertina estrae
una foto della donna che lo tormenta, e la foto lo calma, come
guardare la terra quando è in volo. Non si vede niente, solo un
lampo e questa tregua fra lui e il cielo. una carcassa di aereo
schiantata al suolo e arrugginita sul prato, al di là di un recinto.
Poi qualcuno arriva e in pochi minuti c’è un’auto che schiva la
metropoli lungo strade dove l’asfalto è morto da secoli e lo porta
attraverso periferie e poi campi e steccati, fino a un villaggio dai
colori smorti, battuto dalla pioggia. Un complesso di baracche, quasi
tutte di legno, un cortile pieno d’erba come l’aia di una vecchia
cascina. Bambini. Sembra che vengano su dalle fessure fra le pietre,
gli corrono incontro e si fermano a un metro o due, più curiosi che
timidi, e poi la voce di un Mauro che lui conosce: «Andrea. Ti
aspettavano tutti». Lo aspettavano tutti. Andrea Vitaliano,
operatore umanitario. Poco tempo per salutarsi, un abbraccio, poi i
bambini gli sono addosso, parlano, e molte cose si
confondono.
«Quanto ti fermi?»
Orazio, occhi grandi, più
della testa sottile, mani lunghe da pianista che non userà.
«Parli
la mia lingua…»
«Tutti parliamo.»
Hanno imparato dal
frate.
«Allora quanto?»
«Qualche giorno, non so…
Dipende…»
Mauro lo porta dentro il refettorio, hanno
viaggiato insieme tante volte, amano raccontare delle guerre che
hanno visto, come un biglietto da visita di quella vita trascinata in
giro in cerca di seduzioni e stracci d’emozione (e allora il rumore
delle batterie pesanti che colpivano la Krajina, e il piccolo Izet
che piangeva, e i giorni in cui lui era pieno del pensiero di lei, e
lei lo aspettava, e ogni volta che lui tornava da aver salvato il
mondo lo guardava con gli occhi pieni di grazia e lui raccontava e
raccontava).
Mauro è un fotografo, gira per il mondo ma lo fa
per tirar su i soldi, per campare. Andrea no, lui lo fa per i
progetti. Ha accettato di incontrare Mauro quaggiù per mostrargli il
presidio per l’aids pediatrico allestito dalla sua ong. Mauro
Bulgarelli, fotografo, crede che possa valere un buon servizio, anche
fosse solo sulle pagine di quei settimanali del volontariato che
pagano poco. È così che si tira avanti, ormai. Andrea tollera, ma
vorrebbe guardare altrove.
Orazio ha un pattino solo ma ci sa
andare da maestro, gira frenetico nella sala, schivando le panche
all’ultimo momento e lo tempesta di parole, in italiano. Andrea si
lascia stordire da quel fulmine magro, e riconosce la voglia di padre
che ha già incontrato tante volte per il mondo. Mentre Orazio
volteggia, c’è anche un piccolo Christi che rimane attaccato alla
spalla e al ginocchio di Andrea, in silenzio, e lo guarda da
sotto.
Orazio dice: «Hai braccia grandi».
«Sì, ce le
ho. Appenditi.»
Si appende. Alza la gamba senza pattino, si
appoggia alle rotelle sul piede sinistro, si aggrappa con tutte e due
le braccia, Andrea corre, corrono, curva parabolica, urla: eh sì,
ora stanno pattinando. Orazio sparisce, ricompare con grandi occhiali
rossi: «I miei occhi non vedono più».
Andrea ha portato una
foto per Florentina, che gliel’aveva chiesta l’anno scorso, ma
Florentina se n’è andata dieci giorni fa. Gli volano in braccio da
tutte le parti, sputano, lui si copre con la mano una graffiatura al
polso, vogliono essere toccati.
Luca Rastello
I buoni
Chiarelettere, Milano 2014
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