Kamel Daoud
Il corpo delle donne e il desiderio di libertà di quegli uomini sradicati dalla loro terra
la Repubblica, 10 gennaio 2016
... In Occidente il rifugiato o l’immigrato potrà
salvare il suo corpo ma non patteggerà altrettanto facilmente con la
propria cultura, e di ciò ce ne dimentichiamo con sdegno. La cultura è
ciò che gli resta di fronte a sradicamento e traumi provocati in lui
dalla nuova terra. In alcuni casi il rapporto con la donna —
fondamentale per la modernità dell’Occidente — rimarrà incomprensibile a
lungo, e ne negozierà i termini per paura, compromesso o desiderio di
conservare la “propria cultura”. Ma tutto ciò può cambiare solo molto
lentamente. Le adozioni collettive peccano di ingenuità, limitandosi a
risolvere i problemi burocratici e si esplicano attraverso la carità.
Il rifugiato è dunque un “selvaggio”? No. È
semplicemente diverso, e munirlo di pezzi di carta e offrirgli un
giaciglio collettivo non può bastare a scaricarci la coscienza. Occorre
dare asilo al corpo e convincere l’animo a cambiare. L’Altro proviene da
quel vasto universo di dolori e atrocità che è la miseria sessuale nel
mondo arabo-musulmano. Accoglierlo non basta a guarirlo. Il rapporto con
la donna rappresenta il nodo gordiano nel mondo di Allah. La donna è
negata, uccisa, velata, rinchiusa o posseduta. È l’incarnazione di un
desiderio necessario, e per questo ritenuta colpevole di un crimine
orribile: la vita. Una convinzione condivisa, che negli islamisti appare
palese. Poiché la donna è donatrice di vita e la vita è una perdita di
tempo, la donna è assimilabile alla perdita dell’anima.
Il corpo della donna è il luogo pubblico della
cultura: appartiene a tutti, ma non a lei. Qualche anno fa, a proposito
dell’immagine della donna nel mondo detto arabo si scrisse: «La donna è
la posta in gioco, senza volerlo. Sacralità, senza rispetto della
propria persona. Onore per tutti, ad eccezione del proprio. Desiderio di
tutti, senza un desiderio proprio. Il suo corpo è il luogo in cui tutti
si incontrano, escludendola. Il passaggio alla vita che impedisce a lei
stessa di vivere».
È questa libertà che il rifugiato, l’immigrato,
desidera ma non accetta. L’Occidente è visto attraverso il corpo della
donna: la libertà della donna è vista attraverso la categoria religiosa
di ciò che è lecito o della “virtù”.
Il corpo della donna non è visto come luogo
stesso di libertà, in Occidente un valore fondamentale, ma di degrado.
Per questo lo si vuole ridurre a qualcosa da possedere o a una
nefandezza da “velare”. La libertà di cui la donna gode in Occidente non
è vista come il motivo della sua supremazia ma come un capriccio del
suo culto della libertà. Di fronte ai fatti di Colonia l’Occidente
(quello in buona fede) reagisce perché è stata toccata “l’essenza”
stessa della sua modernità — laddove l’aggressore non ha visto altro che
un divertimento, l’eccesso di una notte di festa e bevute.
Colonia è dunque il luogo dei fantasmi. Quelli
elaborati dall’estrema destra che evoca le invasioni barbariche e quelli
degli aggressori, che vogliono che il corpo sia nudo perché è
“pubblico” e non appartiene a nessuno. Non si è aspettato di sapere chi
fossero i responsabili, perché nei giochi di immagini, riflessi e luoghi
comuni, tale dato non conta poi molto. E non si vuole ancora capire che
dare asilo non significa semplicemente distribuire “carte” ma richiede
di accettare un contratto sociale con la modernità.
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