Louis-Jean-François Lagrenée, Tithonus e Aurora (1763) |
Alessandro Baricco legge e commenta La cognizione del dolore. Un romanzo che il suo autore, Carlo Emilio Gadda, ha lasciato incompiuto.
Il posto prezioso che hanno i veri grandi scrittori nella nostra vita,la cosa per cui noi abbiamo una grande gratitudine nei loro confronti, è che loro sono capaci di dare nomi alla vita, alla nostra esistenza. Erano grandi perchè riuscivano a nominare le cose, alcune molto semplici ed altre molto molto più complicate.
Nominare è una cosa preziosa per tutti, dare i nomi alle cose; si danno i nomi alle cose per difendersi dalle cose.
Se non sapete nominarle, non sapete cosa sono e non sapete come difendervi da loro. Noi raccontiamo, loro – i grandi – nominano la vita. Uno è particolarmente caro perchè lavorava con la nostra lingua, Carlo Emilio Gadda. Egli sapeva nominare le cose più strane con esattezza e bellezza quasi irripetibili […] Vi leggerò gli ultimi due capoversi dal libro “ La cognizione del dolore”, un libro che non ha finito.
E’ parso di capire agli studiosi che queste sono effettivamente le ultime parole scritte dall’autore. La situazione, in due parole, è che una Signora è stata aggredita di notte e sta per morire; non si sa se morirà, non lo sapremo mai. Hanno passato la notte, quel che restava della notte, hanno cercato di curarla; adesso lei è stesa nel suo letto, quello che si poteva fare l’hanno fatto. E’ un’agonia silenziosa, in una stanza, questo è cio’ che accade nell’ultimo brandello di notte, ciò che accade dopo è l’alba. Quello che scrisse fu questo:
Lasciamola tranquilla disse il dottore, andate, uscite. Nella stanchezza senza soccorso in cui il povero volto si dovette raccogliere tumefatto, come in un estremo recupero della sua dignità, parve a tutti di leggere la parola terribile della morte e la sovrana coscienza dell’impossibilità di dire: -Io-. L’ausilio dell’arte medica, lenimento e pezzuole, dissimulò in parte l’orrore. Si udiva il residuo d’acqua ed alcool delle pezzuole strizzate, ricadere gocciolando in una bacinella ed alle stecche della persiana già l’alba. Il gallo improvvisamente la suscitò dai monti lontani perentorio ed ignaro come ogni volta. La invitava ad accedere e ad elencare i gelsi, nella solitudine della campagna apparita.
Alessandro Baricco (spiegazione): “…parve a tutti di leggere la parola terribile della morte e la sovrana coscienza dell’impossibilità di dire: -Io- “.
L’autore ha espresso una cosa che molti di noi conoscono.
Quando tu vedi un agonizzante,uno che sta per morire, come dice lui…, i malati hanno tutti i capelli sudati, il pigiama sempre storto e la dentiera in giro, fanno fatica a tenere insieme questo corpo che sta per morire e mentre tu lo guardi c’è una parte di te che lo pensa -se poi tutto finisce così, cosa si salva di tutto quello che ho fatto?- .
Questa cosa noi vagamente la pensiamo ed è espressa in quella riga – Sovrana coscienza della impossibilità di dire -Io- – .
“…si udiva il residuo d’acqua ed alcool delle pezzuole strizzate”. Questa è una inquadratura cinematografica molto stretta. Lui te la rende con un suono -si udiva…- ma in realtà ti fa -vedere- con un rumore,un’immagine.
“…e alle stecche delle persiane già l’alba”.
Lui non dice -c’è l’alba- oppure -ce sta l’alba- , è -alba-
Ma non c’è il verbo! non c’è bisogno del verbo. Quello che tu vedi è nelle stecche delle persiane, il rimbalzo della luce. Più sei esatto e più quel nome resisterà. Se tu sei vago, i tuoi nomi durano una sera ma il giorno dopo non sai cosa fartene.
C’era da dire l’alba e lui dice questo:
“Il gallo improvvisamente la suscitò dai monti lontani perentorio ed ignaro come ogni volta”.
Il gallo è banale, ma che lui l’alba -la susciti- non è che la canta,che la chiama. C’è un verbo per quella cosa, nella nostra lingua c’è un verbo che dice -quella- cosa, ha il suono di quella cosa, è il nome di quella cosa.
Ultima frase. Come nei temi che si cercava di scrivere più bella non ho mai capito perchè, per lasciare una buona impressione e strappare il 6.
“La invitava ad accedere e ad elencare i gelsi”.
Lei, l’alba, non -ce sta- e nemmeno arriva o si avvicina, ma-accede-. Elenca i gelsi… Voi ve lo immaginate questo viale di gelsi? E l’alba che arriva ed è luce che arriva: il primo gelso, il secondo; il terzo gelso, trrrrr, e sale ed intanto -elenca-. La luce è quello che fa, eh, nella vita la luce -elenca-. Prima non capisci, dopo di che elenca.
Come l’elenco dei lavori fatti dal meccanico, faro, fanalino…Tu sai finalmente cos’ha fatto. Arriva la luce e tu -sai-. Quello che fa è elencare.
Guardate… in tre parole c’è un movimento e c’è il senso di un gesto, il senso della luce per sempre bloccato lì: elencare i gelsi.
“Nella solitudine della campagna apparita”.
Qui c’è una cosa di tempo molto bella. Lui inizia la frase che l’alba arriva -elenca i gelsi- e la finisce -nella solitudine della campagna apparita- fohp! E’ arrivata.
In una frase, l’inizio dell’alba e poi ti guardi intorno, è arrivata. Spazio, tempo tutto in una frase. Questa ultima frase è una melodia, un canto. Non si sente niente tipo -truffa, propano o propellente- è la danza dell’alba.
Noi possiamo sentire anche il suono, nessuna traduzione al mondo potrà restituirlo.
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